“L’ateismo è il movimento no logo delle religioni”. Ce lo ammannisce in questi termini, a pagina 206 di questo suo nuovo libro, un sommo pontefice, un grande guru della comunicazione globale, un freddo analista dei fenomeni economici applicati ai fatti religiosi. E c’è sicuramente del vero. Si tratta di vedere quanto, di approfondire il concetto, non solo rispetto al no logo. Ce l’aveva anticipato fin dal 2000 lo stesso autore Bruno Ballardini, nel suo “Gesù lava più bianco, ovvero come la Chiesa inventò il marketing” (edizioni minimum fax, 2000), dimostrando come fu appunto la Chiesa cattolica delle origini ad inventare il marketing della “marca”, l’affare inesauribile della colpa, nella geniale intuizione del suo fondatore Paolo di Tarso e dei primi scrittori cristiani. Era un libretto (uso il diminutivo solo per le dimensioni) che noi allora forse non leggemmo né comprendemmo bene; tant’è vero che nella recensione sul sito Uaar del 2001 fu snobbato, e quasi quasi stroncato, come un libro scritto “con forte senso dell’umorismo e brillante ironia”, come se si trattasse d’una goliardata bizzarra, dai toni vagamente dissacranti; e ci sfuggì, credo, la profondità dell’analisi, portandoci a sottovalutare l’originalità dell’approccio socio-economico della fidelizzazione delle masse, del “Verbo”, del Logos, delle ri-scritture, delle “quattro p”, del mercato della colpa, della perpetua globalizzazione del business, e di quant’altro. Fu un bestseller, più all’estero che in Italia, dove venne in qualche modo occultato, come fatalmente tocca ai libri sgraditi alla Marca. Ora, per quanti sanno qualcosa di serio (o di serioso?) su storia, filosofia e teologia dell’Occidente, si raccomanda vivamente, a mo’ di degustazione, la godibilissima carrellata di slogan a sostegno dell’esistenza di Dio, prodotti da filosofi e teologi celebri, allineati e coperti nella “più grande copy strategy della storia”: uno spot pubblicitario che si snocciola da pag. 105 a 129 dell’edizione succitata. Leggere per credere!
Quello studio di Ballardini, sia chiaro, non aveva intenti ateistici, e neppure tanto anticlericali. Semplicemente, rileggeva le origini e l’evoluzione della marca clericale nell’ottica della conquista “fatta di parole”, nella prospettiva della vittoria. Per quanto riguarda l’ateismo, abbiamo conosciuto da allora autori ed opere di grande respiro (si pensi a Dawkins, Dennet, Harris, Odifreddi, Giorello, Hack); si è ampliato a dismisura l’orizzonte degli studi multidisciplinari sulle religioni (spazianti ormai dalle scienze cognitive alle neuroscienze, dalla comparatistica etnica alla più sofisticata neuro-teologia). Mancava tuttavia il sèguito e il compimento di quella tesi fondativa del marketing religioso applicato alla modernità. Ecco, Bruno Ballardini ce la presenta oggi con questi “saldi di fine stagione”. Eloquentissimo il titolo, che promette di spiegare perché la più grande e più antica multinazionale del mondo non “vende” più come in passato. Non cresce più, nonostante i successi così vistosi, a dispetto della grancassa planetaria, dei reboanti trionfi mediatici. In realtà, il secolo XXI debutta con un declino annunciato: emorragia inarrestabile di consumer (ovverosia fedeli), crisi di vocazioni, segnali di allarme. Urge discuterne tra esperti, al massimo livello strategico; e qui non sai se leggi uno saggio statistico, uno studio socio-psicologico, oppure un romanzo in forma di dialogo (forse inventato?) tra il Cardinale, potentissimo gerarca cattolico, e l’Autore, stratega riconosciuto della pubblicistica, chiamato a fare da “consulente”, anzi da “salvatore” dell’Istituzione, che perde colpi quasi dappertutto. E qui non c’entra Marx, il primo economista che capì la globalizzazione, ispirando peraltro il marketing scientifico del Novecento.
Ma l’azienda Chiesa deve capire come restare sul mercato. Il dialogo spregiudicato tra i due, continua pacato, oggettivo e quasi spassionato: sine ira et studio, si direbbe con Tacito. Al fine supremo di rilanciare la “marca”, si toccano temi delicati e intriganti, che non risparmiano nessuna delle tante criticità e ambiguità della multinazionale che opera ad ogni livello, in Italia e nel mondo. Se ne può fare solo una rapida panoramica: il crollo delle “Azioni”, i testimonial di Dio (dai divi dello spettacolo agli Atleti di Dio), le sétte concorrenti, i Gesù esoterici, le Public Relations e le lobbying, la pedofilia occultata, il turismo religioso, uso e abuso dei massmedia (da Radio Maria alle tv diocesane), il sincretismo afro-asiatico, il variegato universo delle denominations americane, delle consociate europee (Compagnia delle Opere, Opus Dei, Focolarini, Catecumeni, CL) e di innumerevoli movimenti ecclesiali e sedicenti “spirituali”, che formano l’infinita galassia del potere confessionale nel mondo.
Passando in rassegna tante sigle più o meno religiose (c’è pure la “non-religione” e/o Uaar, a pagina 203 e seguenti), si ha l’impressione che l’ipermercato delle fedi e/o superstizioni, nel mondo ormai secolarizzato, sia davvero inesauribile e imperscrutabile, come gli dèi da esse presupposti, e che l’unica vera chiave di lettura sia soltanto la moneta “unica”. Tra i retroscena del marketing strategico, per salvarsi dal declino, si delinea pure un ipotetico Concilio Vaticano III: un futuribile vagheggiato dal porporato ma non da Benedetto XVI. E nemmeno ipotizzato, fino ad oggi, dai solerti vaticanisti in servizio. Che lo stesso Ratzinger, come nel film Habemus papam di Moretti, abbia “problemi con la fede”, e abbia bisogno d’uno psicanalista?
Luciano Franceschetti
Maggio 2011