Come in Francia si respiri tutta un’altra aria – molto meno viziata – rispetto a quella nostrana ce lo dimostra nel suo piccolo questo pamphlet. A chi verrebbe in mente, qui da noi, anche solo di pensare, di immaginare un’Italia senza papa? Ne siamo così imbevuti, di “papità”, che la consideriamo un dato di fatto, una normalità, addirittura un elemento della nostra italianità. L’autore, che vive e lavora come professore di storia in Francia (ironia della sorte, ad Avignone), invece prova a fare questo esercizio legittimo di libero pensiero e a porre le basi per una riflessione generale sulla questione dell’antipapismo, riaggiornato al terzo millennio.
Prima di tutto, si parte da un aspetto ovvio, ma spesso ignorato dal provincialismo italico: il cattolicesimo romano è solo una delle tante confessioni cristiane, con una storia definita e irrimediabilmente “terrena”: «è un mero principio di potere, non è essenziale al messaggio cristiano e, probabilmente, gli è opposto […] nasce dalla storia d’Italia». Uscire da questo “sagrato mentale” è una premessa indispensabile anche solo per auspicare un qualsiasi cambiamento.
È bene anche tenere a mente – proprio per opporsi ai tentativi di revisionismo storico – gli ostacoli che ha posto la Chiesa negli ultimi secoli alla diffusione della cultura moderna e della democrazia, e di come essa abbia d’altra parte favorito ampliamente fascismi, dittature e antisemitismo. Per l’autore – e per noi – non è un caso che il fascismo sia sorto proprio in Italia. D’altronde, la concezione cattolica, infiltrata per secoli nella coscienza degli italiani, è responsabile di quella «grande mansuetudine che ogni giorno noi italiani dimostriamo di fronte ai soprusi più lampanti».
In un Paese come il nostro, destinato a diventare multietnico, l’impostazione cattolica – nella sua ricerca della «purezza etnico-religiosa» e nella promozione di un modello premoderno e sessuofobico – diventa di fatto un freno per l’integrazione e per l’estensione dei diritti.
La Chiesa inoltre ha spesso imbavagliato la scienza, che si è affermata per l’appunto «contraddicendo il pensiero metafisico e trasgredendo le proibizioni di ricerca e di diffusione dei risultati scientifici ottenuti»: il tema, non a caso, torna di tremenda attualità – se si pensa solo alla “breccia della Sapienza”, una pantomima in cui sono stati protagonisti un papa “perseguitato” e una gang di scienziati e studenti satanisti. Questa lotta antiscientifica costringe però gli stessi cattolici a cadere nel tanto vituperato relativismo, «Poiché un atteggiamento troppo apertamente servile è improponibile nel clima del mondo contemporaneo, in risposta a esso gl’ingegni cattolici si sforzano di offrire un’interfaccia moderna, integrata, mediatica».
Un altro elemento da non sottovalutare è che la storia italiana ci offre una secolare tradizione antipapista – sia religiosa che non: l’antipapismo non è un qualcosa di recente, artificioso o minoritario, ma è uno dei fondamenti della nostra stessa italiana, andata perdendosi proprio nei compromessi politici e nei buonismi di questi ultimi decenni.
Liberarsi dell’influsso vaticano per gli italiani diventa una questione particolarmente spinosa, dato che ci porta a ridiscutere una parte consistente del nostro passato (basti pensare al patrimonio artistico). Ma un trapasso culturale dal cattolicesimo alla modernità – che non significa fare tabula rasa – è possibile se si parte dalla consapevolezza di «riappropriarci del nostro patrimonio senza sottostare al ricatto cattolico […] che appartiene a tutti gli italiani, a tutta l’umanità» proprio perché creazione umana legata a particolari esigenze storiche. D’altronde, ammirare la classicità non implica necessariamente il dover offrire sacrifici a Giove et similia…
Secondo l’autore, la battaglia contro il clericalismo deve farsi filosofica, partendo da un approccio monista – in contrapposizione a quello dualista di derivazione platonico-cristiana – aperto a esperienze orientali, alla tradizione moderna occidentale, alla poetica.
Il modo più sensato per «sbarazzarsi» della gerarchia vaticana non è di certo quello della violenza o dell’intolleranza, controproducente fabbrica di martiri e vittimismo, ma nel «sottrarre al papa l’appoggio delle masse cattoliche» e denunciare in maniera sistematica l’enorme drenaggio fiscale a vantaggio della Chiesa – e a svantaggio dei cittadini (in Francia – ci segnala Sanchi – la locale associazione di Liberi pensatori ha stilato, per il centenario della Legge di laicità del 1905, un dettagliato Livre noir des atteintes à la laicité). Il tutto sempre con rispetto e in senso costruttivo, perché si combattono «non gli uomini, bensì le idee».
Il testo di Sanchi è un tentativo di risposta, a tratti un pacato sfogo a suo modo utopico, lodevole, sentito, romantico, d’altri tempi, quasi da esule volontario, seppure minato dalla sua brevità (eccessiva!)– che impedisce di approfondire, limitandosi a gettare semi e a non trovare concrete soluzioni – e forse da un certo velleitarismo, un po’ incomprensibile per noi cinici italiani vaticanizzati. Ma in realtà, questo non è il suo compito: il senso profondo sta nell’osare rivalorizzare questa sognante prospettiva antipapista, oggi del tutto accantonata, come tappa necessaria per risollevare il nostro Paese dal torpore generalizzato che sembra vivere.
Valentino Salvatore,
Circolo UAAR di Roma,
aprile 2008