Come spiegato conclusivamente, il volume presenta in modo narrativo (dunque senza seguire metodiche quantitative o statistiche) una «carrellata di casi, racconti e teorie fallaci», il cui zoccolo duro è rappresentato dalle pseudoscienze (pseudofisica, pseudotecnologie, pseudomedicine, ecc.), più che dal paranormale. Un ambito nel quale chi ha familiarità con l’irrazionalità sopravvivente nel mondo occidentale troverà inevitabili parallelismi: «le stesse idee ricorrenti, le stesse fallacie o, più semplicemente e tristemente, le stesse tipologie di truffa, oltre che le stesse motivazioni profonde, che si possono riconoscere in analoghi fenomeni diffusi nel mondo cristiano o occidentale», delle quali sono ben note la popolarità, la perenne capacità autorigenerativa, il sottrarsi alla falsificabilità popperiana, il mescolare dati apparentemente “osservazionali” ad una acritica validazione di racconti immaginifici soprannaturalistici (sul tipo della storicità dell’attraversamento del Mar Rosso).
Il volume non affronta (ma evidentemente non intendeva espandersi in tal senso) il problema del se e quanto le idee religiose siano alla base di quelle pseudoscientifiche, un tema che probabilmente ha meno rilevanza nel mondo islamico che in quello cristiano (probabilmente, ipotizzo, perché l’Islam nasce un millennio dopo l’ebraismo, in un mondo già più “moderno”).
Coerentemente con l’impostazione del CICAP, che pubblica il volume, l’autore si è dichiaratamente proposto di non mettere in discussione i fondamenti teologici dell’Islam e dunque di non analizzare i rapporti fra fede e religione, tema considerato fin troppo delicato (così come quello, anch’esso programmaticamente non affrontato, dell’etica). Non si tratta a mio avviso (unica personale critica) della migliore delle scelte, anche se, a ben vedere, l’astenersi da tale confronto potrebbe essere in qualche modo abbastanza giustificabile nel caso dell’Islam. Bigliardi stesso ce ne suggerisce una ragione: nello sviluppo della cultura islamica (forse anche della tecnologia) si è creduto che le conoscenze scientifiche non potessero che confermare il deposito teorico del Corano (e dunque dimostrare la sua ispirazione divina sulla base di conoscenze ancora non acquisite all’epoca della sua scrittura), laddove invece il cristianesimo le ha prevalentemente guardate con diffidenza ed ostilità (forzatamente, poiché la Bibbia «è piena di errori e di inaccuratezze dal punto di vista logico e scientifico»).
Il differente retroterra è ben messo in evidenza da Bigliardi nella sua analisi del “miracolo scientifico” coranico, contrapposto al miracolo soprannaturale biblico: nel primo si manifesterebbe infatti una perfetta armonia tra i passi coranici ed i dati della scienza; nel secondo, invece, le leggi della fisica sarebbero temporaneamente violate o sospese. A differenza della teologia cattolica impregnata di “misteri”, il Corano sembra dunque attribuire grande importanza alla conoscenza.
Un caso a sé, particolarmente messo a fuoco da Bigliardi, è il preoccupante fenomeno del sostegno e della visibilità dati dalle autorità politiche di molti paesi islamici alle pseudomedicine ed all’antimedicina, per lo più in un’ottica politica ed ideologica anti-occidentale (laddove in Occidente l’analogo e forse più corrosivo fenomeno, ha invece una chiave di lettura prevalente antiistituzionale).
Come ben sappiamo, e giustamente lo sottolinea questo volume, la pseudoscienza sembra dare sfogo ad alcuni bisogni umani di fondo: trovare scorciatoie sia intellettuali sia pratiche (ad esempio circa la salute) ed acquisire (ed aggiungo: padroneggiare) conoscenze che ci facciano sentire superiori al prossimo. Tali spinte divengono tanto più devastanti quanto più le pseudoscienze si ammantano di aspetti religiosi, perché a quel punto ogni discussione si sposta sul piano scivoloso dell’ideologia.
Francesco D’Alpa
Da L’Ateo n. 118