Il prezzo del velo

La guerra dell'islam contro le donne
Giuliana Sgrena
Feltrinelli
2008
ISBN: 
9788807171468

Ne Il prezzo del velo Sgrena affronta con lucidità e coraggio un argomento estremamente attuale nonché spinoso com’è la questione che mette in relazione laicità e diritti delle donne e, in particolar modo, delle donne che vivono in o provengono da paesi islamici. In vari paesi d’Europa è in atto oggi una discussione di fuoco intorno al cosiddetto “velo” islamico, discussione che peraltro divide ovunque gli stessi schieramenti politici. In Italia il dibattito sul tema è ancora molto giovane e confuso, tuttavia si distinguono intorno ad esso alcune – poche – voci autorevoli e “sensate” come quella di Giuliana Sgrena.

Attraverso i suoi numerosi viaggi e la sua lunga esperienza a contatto con le persone e soprattutto con le donne dei luoghi dove ha viaggiato, Sgrena ha maturato un’analisi precisa e coerente del nesso fra potere patriarcale e potere religioso che concorrono entrambi al controllo e all’oppressione delle donne da una parte all’altra del pianeta. La lettura principale che ci è offerta in questo libro guarda al di là delle culture, delle tradizioni, delle religioni per vedere le donne in primo luogo come persone portatrici di diritti. L’autrice va direttamente al punto quando nella premessa al suo libro cita l’amica e studiosa algerina Cherifa Bouatta: “I francesi non volevano assolutamente imporci Voltaire, anzi non volevano nemmeno farcelo conoscere, pensavano fosse una loro esclusiva, come i principi della Rivoluzione. Siamo noi che ce ne siamo appropriati: se Liberté, Égalité, Fraternité sono valori universali, lo devono essere per tutti, non solo per l’Occidente”.

Sgrena mette a nudo le profonde contraddizioni ormai insite nel pensiero occidentale tra l’affermazione dei diritti e quel mito del “rispetto delle cilture” che considera i valori più arretrati dell’Islam e le sue interpretazioni più fondamentaliste come i più “autentici” e i più rappresentativi di una certa comunità. Tale visione tende ad accettare qualsiasi sopruso sulle donne appartenenti ad “altre culture” tollerando un vero e proprio “apartheid di genere” in nome di una “pacifica” convivenza all’interno di una società sempre più multiculturale e di un mondo sempre più globalizzato. Sgrena scarta tutta la retorica intorno alla questione del “velo” per andare diritto al cuore del problema e cogliere il significato simbolico e politico che sta dietro alla diffusione del fenomeno: “Il velo rappresenta, e non solo simbolicamente, l’oppressione della donna nel mondo islamico. Dietro la sua imposizione non si nasconde solamente il tentativo forzato  di reislamizzare condotto dalle forze islamiche più tradizionaliste. È in atto una vera e propria guerra contro le donne, contro il loro corpo, visto come terreno di battaglia su cui affermare principi e consuetudini che in molti casi risalgono addirittura a ben prima della tradizione islamica, ma che s’incrociano perfettamente con un nuovo ritorno all’ordine maschile e reazionario”.

La difesa dell’uso del velo nel mondo islamico si fonda, dunque, su due aspetti principali che s’intrecciano tra loro rafforzandosi l’un l’altro. Da un lato vi è un progetto politico di ampio respiro che prevede l’affermazione dell’Islam nelle sue forme più retrive e che coinvolge i diversi paesi musulmani del Mediterraneo, la Somalia, il Medio Oriente, l’Iraq e così via verso l’Iran, l’Afghanistan ed oltre e, allo stesso tempo, i Balcani fino ad interessare i paesi europei che ospitano le comunità straniere più numerose (vedi G. Sgrena, Alla scuola dei talebani, Ed. il manifesto, 2002). Uno degli obiettivi prioritari della politica estera dell’Arabia Saudita è, infatti, l’esportazione del Wahabismo, religione di Stato oltre che corrente che rappresenta la visione più intransigente dell’Islam. “Con una sorta di neocolonialismo religioso, i Wahabiti impongono, nei paesi musulmani devastati dalla guerra e dalla miseria (dalla Bosnia alla Somalia), la reislamizzazione a suon di petrodollari”.  Sgrena riporta le parole della sociologa bosniaca Nada Ler Sofronic che denuncia quanto accade nel suo paese: “Ci troviamo di fronte a una ritradizionalizzazione e ripatriarcalizzazione della vita privata e politica con l’aumento dei fondamentalismi religiosi e del clericalismo”. In questo vasto progetto di promozione dell’islam, il velo indossato dalle donne è stato assunto come forte segno identitario e in misura sempre maggiore lo è diventato dopo “l’11 settembre”. Il problema, osserva l’autrice, è che tutto “sembra lecito se è compiuto in nome di un’identità (sempre più legata ad un’appartenenza etnica o religiosa), anche le guerre. Un’identità che, dopo il fallimento del progetto nazionalista arabo, viene ricercata quasi esclusivamente nella religione”.

Dall’altra parte, quanto detto finora si avvale di quella concezione tradizionalista, patriarcale e sessuofobica secondo cui l’onore del maschio passa attraverso la virtù e il pudore delle “sue donne”. In quest’ottica il velo sancisce l’appartenenza della donna all’uomo il quale considera legittimo celare la sua proprietà agli sguardi degli altri uomini, nascondendo le parti del corpo femminile che potrebbero indurre in tentazione. Ancora una volta si tratta di affermare un’identità a scapito del corpo e dell’identità delle donne, ossia l’identità del maschio all’interno della comunità nella quale egli si riconosce, così come afferma la scrittrice iraniana Chahdortt Djavann: “Il pudore e la vergogna della donna sono i garanti e l’espressione dell’onore e della virilità dell’uomo musulmano”.

E intanto, mentre l’Europa si dimena nella confusione ideologica attorno alla legittimità o non legittimità del velo, fra detrattori del velo in nome della “sicurezza” e sostenitori del velo in nume della “libertà di scelta”, Sgrena si schiera dalla parte delle donne dando voce a quelle che in più parti del mondo – dall’Algeria all’Afghanistan, dalla Turchia all’Iran, dalla Bosnia alla Palestina, dall’Iraq al Pakistan, dall’Egitto alle metropoli europee – ogni giorno resistono e lottano contro tradizioni tribali arcaiche e contro un Islam politico, sempre più invadente, reazionario e fondamentalista per affermare quei valori secolari di uguaglianza e libertà.

Debora Picchi, da L’Ateo n. 5/2010