Americana di nascita ed europea di formazione, la «first lady della letteratura nordamericana» (così è scritto sul frontespizio dell’opera) si libra tra i due mondi culturali, partecipando di entrambi. In questa autobiografia la disposizione a narrare si accompagna all’analisi introspettiva dei pregiudizi, delle convenzioni sociali, dei sentimenti e delle superstizioni che insidiano il formarsi d’una personalità straordinaria.
- Mia nonna. Aggressiva praticante, era completamente priva di sentimenti di misericordia. La sua pietà era un atto di guerra contro i parenti protestanti. […] La grazia che invocava era lo sterminio del protestantesimo. La sua mente era ossessionata dalla conversione: la conquista di un’anima a Dio era il diversivo preferito della sua fantasia: un protestante di meno al mondo! (p. 46)
- Perdere la fede. La gente mi chiede sempre come sia giunta a perdere la fede, immaginandosi come immediato precedente un periodo di profonda lotta interiore. […] «Dì che hai perduta la fede», suggerì premuroso il diavolo, assicurandomi nel contempo che non c’era nessun rischio a scegliere con cura il momento adatto. […] Chi tergiversa è perduto: «Qui ne risque rien n’a rien» osservò il demonio, cadendo nella lingua francese, com’è nelle sue abitudini (134).
- A Seattle, nel convento delle Dame del Sacro Cuore. Pregare Dio che mi fornisse argomenti a sostegno dell’ateismo (ma era proprio cosi?) per me tredicenne significava solamente sfidare la sua severità. Che fare? (137)
- La parte più strana era tutto quel «fingere». Ecco, io ero un ammasso ambulante di bugie: fingevo di essere cattolica e andavo a confessarmi, mentre in realtà avevo perduto la fede; fingevo di avere i miei periodi mensili e mi tagliavo apposta con le forbici delle unghie… (163)
- Nonostante il mio ateismo gustavo moltissimo le funzioni religiose, il mattino e la sera, nella cappella della scuola. Mi piacevano gli inni e le litanie, mi piaceva ascoltare la nostra Preside declamare i salmi al cadere della notte (198).
- Per me, queste memorie aspirano all’appellativo di «storiche», il che significa che molto di quanto contengono è controllabile (Al lettore, 11).
- Mia madre, poco dopo il matrimonio, si era convertita e, sebbene io non sapessi che cosa significasse essere una Figlia di Maria, arguivo che dovesse trattarsi di qualcosa di meraviglioso […] ella era orgogliosa di essere una convertita e il suo atteggiamento induceva noi ragazzi a pensare che essere cattolici fosse un piacere particolare, il coronamento di tutti i piaceri e di tutti i privilegi (Al lettore, 21).
- A me non dispiace di essere stata cattolica, anzitutto per motivi pratici: ho acquistato una certa conoscenza della lingua latina, dei santi e delle loro vite, e non tutti hanno questa fortuna (Al lettore, 33).
- L’unica vera. La religione cattolica è fra tutte le religioni (della maomettana non so nulla) la più pericolosa dal punto di vista morale, perché pretende di essere la sola vera e, quindi, coltiva nei suoi adepti quella coscienza di un privilegio: l’idea, cioè, che non tutti hanno la fortuna di essere cattolici (33).
- Impronta indelebile. Chi è nato e cresciuto cattolico ha assorbito, prima dei dodici anni, una buona parte della storia universale e di quella delle idee. Ed è proprio come imparare una lingua straniera in tenera età: l’effetto è indelebile (34).
- La scommessa di Pascal. Perciò, come cattolica che ha abbandonato la sua religione, io, dopo tutto, non mi lascio turbare dalla possibilità che Dio esista. Se esiste (il che sembra più che dubbio), nel mondo futuro io mi troverò nei guai; ma non per questo intendo venire a patti con la mia coscienza e credere in Dio allo scopo di salvarmi l’anima. La scommessa di Pascal […] mi colpisce per il suo eccesso di prudenza. Quanto a me, preferisco non giocare la partita con tanta cautela né, giunta all’estremo della vita, manderò mai a chiamare un prete o mi metterò a recitare l’Atto di Contrizione. Non mi importa se perdo la mia anima per l’eternità. Se esiste una specie di Dio tale da condannarmi perché non ho stretto un patto con Lui, pazienza! Non ci tengo affatto a passare l’eternità in compagnia di una persona del genere (Al lettore, 37).
L’AUTRICE
Mary McCarthy (Seattle, USA, 1912- New York 1989), scrittrice statunitense. Rimasta orfana a sei anni, ricevette una bizzarra educazione (da parenti di confessioni religiose diverse) di cui analizza gli effetti con pungente sincerità. Dai racconti ai romanzi (Una vita stregata, Il gruppo, Cannibali e missionari), quasi studi di costume e di satira, alla saggistica di viaggio e di politica (Osservando Venezia, Vietnam, Hanoi), agli scritti autobiografici (Come sono cresciuta, Intellettuale a New York), la scrittrice si rivela testimone lucida e appassionata del nostro «breve» secolo XX.
Luciano Franceschetti
Giugno 2000