Rompere l’incantesimo

La religione come fenomeno naturale
Daniel C. Dennett
Raffaello Cortina
2007
ISBN: 
9788860300973

Nell’acceso dibattito sul New Atheism, che a partire dal 2007 ha animato gli ambienti intellettuali (e non solo quelli) di mezzo mondo, questo libro è stato spesso accostato a Letter to a Christian Nation di Sam Harris e a The God Delusion di Richard Dawkins. Due testi, ancora in attesa di traduzione italiana, che hanno portato l’ateismo in testa alle classifiche di vendita. Quanto a diffusione, Rompere l’incantesimo non gode certo dei loro numeri: eppure non è affatto un caso che sia stato inserito nel lotto a formare una sorte di dissacrante Trimurti. Se quelli di Dawkins e Harris hanno avuto molta più visibilità nelle librerie, il libro di Dennett ha saputo invece spargere la convinzione che costituisca una sorta di spartiacque, uno di quei testi che solo qualche decennio dopo la prima pubblicazione viene già definito come un “classico”, come un testo “fondamentale”. Rompere l’incantesimo ha infatti tutte le credenziali per cambiare il corso della storia degli studi sulla religione.

Daniel C. Dennett è un filosofo della scienza di fama mondiale. Non solo per le sue tesi provocatorie, ma soprattutto per l’autorità dei suoi studi sulla mente. Lo scopo di questa sua nuova opera è «sottoporre la religione in quanto fenomeno globale allo studio interdisciplinare più intensivo che possiamo condurre, coinvolgendo i migliori intelletti del pianeta. Perché dico questo? Perché la religione è troppo importante per poterci permettere di rimanere ignoranti in questo campo». E Dennett ritiene che questo sia il momento giusto per farlo. E per farlo ha deciso di fungere da “ambasciatore”, presentando le principali idee e introducendo i più importanti testi sull’analisi scientifica della religione che circolano all’interno del mondo accademico statunitense. Un evento particolarmente importante per l’Italia, dove questi libri non sono stati quasi mai tradotti né tantomeno sono stati affrontati dal mondo accademico.

La religione come fenomeno naturale, dunque: «le grandi idee della religione hanno tenuto gli esseri umani sotto una sorta di incantesimo per migliaia di anni, più a lungo di quanto si estenda la nostra storia documentaria; ma è un lasso di tempo piuttosto breve per la biologia. Se vogliamo comprendere la natura della religione ai giorni nostri, in quanto fenomeno naturale, dobbiamo guardare non soltanto a come è oggi, ma a come è stata in passato». Ma cosa si intende per “naturale”? Per Dennett la religione «è un fenomeno umano fatto di eventi, organismi, oggetti, strutture, forme e simili, che obbediscono alle leggi della fisica o della biologia e che dunque non implicano alcun miracolo». E in ogni caso, ammesso che i miracoli esistano, «la sola speranza di poterlo dimostrare a un mondo che ne dubita dipende dall’adozione del metodo scientifico», e «chi rifiuta di giocare con queste regole può solo indurre il sospetto che, in realtà, egli non creda veramente che la religione sia un fenomeno soprannaturale». E pazienza (per i credenti), se il risultato sarà la rottura dell’incantesimo.

La prospettiva di Dennett è schiettamente atea. Ciò potrebbe costituire un grosso freno alla ricerca, anche perchè è ancora assai diffusa la convinzione che lo studio della religione debba essere riservato ai soli credenti, gli unici in grado di riservare un’adeguata attenzione al sacro. Ma, come spiega l’autore, «gli atei sono aperti a una messa in discussione intensa e obiettiva delle loro concezioni, delle loro pratiche e delle loro ragioni (Anzi, questa loro incessante esigenza di autocritica può diventare persino noiosa). I religiosi, invece, reagiscono duramente alle impertinenze, alla mancanza di rispetto, al sacrilegio compiuto da chiunque voglia esaminare le loro concezioni». Uno degli scogli più ardui è proprio questo: convincere i credenti che lo studio della religione può essere utile anche a loro. Come? Rafforzando le proprie certezze mettendole a confronto con altre. Quale religione può seriamente aspirare a ergersi depositaria della Verità se impedisce a tale verità di confrontarsi con le altri opinioni? «Il prezzo che dovrete pagare per qualunque affermazione sulle virtù della vostra religione (o di qualunque altra) è la disponibilità a sottoporre tale affermazione a un esame rigoroso», scrive Dennett.

Una delle prospettive da cui analizzare la religione è la biologia evoluzionista, dalla quale è germogliata, già trent’anni or sono, un’idea “pericolosa” per gli scienziati delle discipline umanistiche. Sto parlando della teoria di Richard Dawkins sui “memi”, gli elementi culturali che verrebbero replicati con minime variazioni, quelle vantaggiose per la sopravvivenza e diffusione dell’elemento stesso: «quel che viene copiato è un certo modo di dire qualcosa, un comportamento o una routine». A detta di Dennett, la prospettiva dei memi è utile perché consente di affrontare il problema del beneficiario di ogni aspetto della religione (il fedele? l’élite? ogni individuo? la società nel suo complesso?), eliminando così due teorie “semplicistiche” quali l’esistenza di un “gene della religione” o di una “cospirazione dei preti”.

Che Dennett non abbia preconcetti lo dimostra l’ampia citazione dell’opera di William James, un credente (a modo suo) che rappresenta un punto di riferimento anche per un notorio comunitarista come Charles Taylor. Ma in questo libro è ricordato anche Hume, il vero precursore dello studio naturale della religione. E mai in una logica adulatoria. Le stesse tesi di Boyer, Atran e Sperber, frequentemente citate, sono, laddove l’autore l’ha ritenuto opportuno, oggetto di confutazione (a ragione o no, dice bene Dennett, lo dirà solo il futuro della disciplina).

I temi toccati sono veramente tanti. A mo’ di esempio, può comunque essere utile ricordare che il volume tratta, tra l’altro, della definizione di “religione”; della nascita, dello sviluppo e del futuro dei culti, dalla religione popolare dei primordi alla religione organizzata odierna; di effetto placebo; dell’influenza della religione sulla moralità, e della sua capacità di fungere da controllo sociale; delle basi psicologiche della fede; del volontariato religioso e laico; dell’educazione religiosa; e soprattutto della “credenza nella credenza in Dio” (la circostanza, che anche molti non credenti ritengono vera, che una diffusa credenza in Dio sia comunque necessaria – e sembra quasi che Dennett stia parlando dei nostri atei devoti…).

Come si vede, non sono temi nuovi: è nuovo il modo con cui li si affronta. Mani avanti, dunque: siamo in presenza di un testo non facile, denso, voluminoso, costoso. Un testo che richiede un’enorme attenzione al lettore, ma che in cambio può dargli molto. Offre infatti prospettive assai stimolanti, e chi porterà in fondo la lettura non guarderà più alla religione con gli stessi occhi di prima. Credente o non credente che sia.

Raffaele Carcano
maggio 2007