Il libro ha in copertina una rana gialla, sullo sfondo di una metropoli inquinata. Si tratta della “rana d’oro” di El Valle de Antón, una cittadina al centro dello Stato di Panama. La rana è ormai quasi estinta. Oggi gli anfibi godono del discutibile privilegio di essere la classe di animali più a rischio sul pianeta: «stiamo perdendo tutti questi anfibi ancora prima di venire a sapere della loro esistenza». Ma i tassi di estinzione di molti altri gruppi stanno raggiungendo livelli allarmanti: «si stima che un terzo del totale dei coralli che costituiscono la barriera corallina, un terzo di tutti i molluschi di acqua dolce, un terzo degli squali e delle razze, un quarto di tutti i mammiferi, un quinto dei rettili e un sesto di tutti gli uccelli siano destinati a scomparire».
La “rana d’oro” è il primo animale che incontriamo nel libro della Kolbert. Nei capitoli seguenti troveremo l’alca gigante (il “pinguino originario” estinto nell’Ottocento), fossili di ammoniti, granchi, molluschi, pipistrelli, rinoceronti, marsupiali; ma anche alberi e piante; e anche un nostro parente stretto, Homo neanderthalensis. Tutte storie di estinzioni, già avvenute o attualmente in corso, raccontate in modo interessante, piacevole e scientificamente documentato, conducendo il lettore in luoghi remoti e vicini e facendolo dialogare con biologi, zoologi, chimici.
Elizabeth Kolbert ricostruisce anche un’altra storia: quella del concetto di estinzione, una storia relativamente recente. Come osserva l’autrice, «quello di estinzione è forse il primo concetto scientifico con cui devono vedersela i bambini di oggi» giocando con i pupazzetti di dinosauri, ma Aristotele ha scritto una Storia degli animali in dieci libri senza mai prendere in considerazione quest’idea. Bisogna arrivare a Cuvier e ai suoi studi sui fossili animali, all’inizio dell’Ottocento perché l’idea di estinzione cominci ad essere presa in considerazione; poi agli studi evoluzionisti (Cuvier era “fissista” e non “trasformista”, come si diceva all’epoca, ma pensava che il corso della natura fosse in certe occasioni sconvolto da “catastrofi”), fino ai sempre più raffinati studi paleontologici contemporanei che hanno evidenziato nella storia della vita sul nostro pianeta almeno cinque estinzioni di massa: i “Big Five”, come vengono chiamati.
E ora, approdato all’Antropocene, termine inventato da Paul Crutzen, un chimico olandese che ha al suo attivo un premio Nobel per gli studi sulla fascia dell’ozono, il pianeta rischia la sesta estinzione di massa. «Sembra appropriato assegnare al tempo presente il termine “Antropocene”, un’epoca geologica sotto molti aspetti dominata dall’uomo», scrive Crutzen, indicando i seguenti motivi della rilevanza geologica dell’uomo: l’attività umana ha trasformato da un terzo a metà della superficie del pianeta; la maggior parte dei principali corsi d’acqua è stata arginata o deviata; le fabbriche di fertilizzanti producono più azoto di quanto ne venga fissato in natura da tutti gli ecosistemi terrestri; le industrie ittiche rimuovono più di un terzo della produzione primaria delle acque oceaniche costiere; l’uomo usa più della metà delle risorse accessibili di acqua sorgente al mondo; l’uomo ha alterato la composizione dell’atmosfera.
Homo sapiens è forse sul punto di causare una catastrofica crisi biologica, la sesta estinzione di massa, appunto. Come si legge su un cartello piazzato nella Sala della Biodiversità dell’Università di Stanford: «portando all’estinzione le altre specie, il genere umano sta recidendo il ramo su cui esso stesso si posa». Eppure, conclude l’autrice, forse «il destino della nostra specie ci preoccupa in misura esagerata. Ma a rischio di suonare antiumana – eppure ve lo giuro, molti dei miei migliori amici sono umani! – dirò che non è questa, in fin dei conti, la cosa di cui vale la pena occuparsi di più. Proprio ora, in quel magnifico momento che è per noi il presente, ci troviamo a decidere, senza quasi volerlo, quale percorso evolutivo rimarrà aperto e quale invece verrà chiuso per sempre. Nessun’altra creatura si è mai trovata a gestire nulla di simile, e sarà, purtroppo, il lascito più duraturo della nostra specie […] molto dopo che ciò che l’uomo ha scritto e dipinto e costruito sarà ridotto in polvere».
Con questo libro Elizabeth Kolbert ha vinto il Premio Pulitzer 2015 per la categoria non-fiction.
Maria Turchetto
da L’Ateo n. 106