L’inestricabile destino che per secoli legò le vicende di Roma a quelle del papato probabilmente non venne scalfito neanche nei lunghi 68 anni della cosiddetta cattività avignonese. Anche allora Roma fu senza Papa, ma la sensazione che si trattasse di una frattura temporanea destinata a ricomporsi (con intermezzi di antipapi, congiure e intrallazzi di potere) era palpabile anche tra i contemporanei. Sotto questo profilo la data del 9 febbraio 1849, che segna la nascita della Repubblica romana, rappresenta un punto di discontinuità. Nei mesi immediatamente precedenti lo Stato Pontificio vive uno dei momenti più drammatici della sua lunga storia, svegliatosi all’indomani dell’omicidio del primo ministro Pellegrino Rossi, ritenuto su posizioni moderate, con i moti democratici che lo investivano dopo secoli di assolutismo monarchico papale. Un vento rivoluzionario che stava minando anche il vicino Granducato toscano, che avrà come epilogo la fuga di Pio IX a Gaeta (Regno delle Due Sicilie) e l’instaurazione del triumvirato affidato il 29 marzo a Giuseppe Mazzini, Carlo Armellini e Aurelio Saffi. Amara ironia della storia Giovanni Maria Mastai Ferretti, che aveva arriso ai liberali nei primissimi suoi atti da pontefice, a Gaeta verrà raggiunto proprio da Leopoldo II di Toscana, anch’egli scacciato da un triumvirato di ispirazione democratica guidato dal letterato Francesco Domenico Guerrazzi mentre nella penisola imperversava la prima guerra d’indipendenza.
Scoppierà, da lì a pochi anni, quella che passerà alla storia come questione romana sintetizzata dall’ambiguità di Napoleone III stretto tra la moglie, l’imperatrice Eugenia, che parteggiava per il pontefice, e il cugino, principe Napoleone, che era genero di Vittorio Emanuele II. L’imperatore francese si era impegnato militarmente a fianco dei piemontesi ma non poteva scontentare il clero e i cattolici francesi lasciando che Pio IX perdesse i suoi territori e il potere temporale. Sempre in bilico tra queste due alternative alla fine Napoleone III, consapevole che il vento unitario che soffiava nella penisola non poteva in alcun modo essere arrestato, fece credere ai cattolici che avrebbe difeso le prerogative papali. Una guarnigione francese (che invero più volte respinse i garibaldini pronti a invadere lo Stato Pontificio) rimase a Roma fino al 1870 quando dovette ritirarsi a causa dell’incipiente guerra con la Prussia, lasciando mano libera alle truppe italiane che entreranno nella città da Porta Pia il 20 settembre.
Le resistenze e l’intransigenza papale si fecero molto più ostiche proprio a seguito della proclamazione della Repubblica romana e per certi versi sparigliarono le aspettative dello stesso Mazzini. Egli aveva immaginato che la partita dell’unità della nazione si giocasse partendo proprio dall’unificazione di Roma con la Toscana, dalla nascita di una Costituente italiana e dalla ripresa della guerra contro l’Austria con, magari, a fianco la Francia che prendeva atto dell’affermazione della nuova realtà politica nella città eterna. “Non può una Repubblica ergersi contro un’altra Repubblica”, scriveva a Mameli ancora il 17 gennaio 1849. Pia illusione. E pensare che molti moderati neoguelfi avevano finanche immaginato una confederazione di stati guidati dal pontefice. In realtà, a pochi giorni dalla proclamazione della Repubblica romana, Pio IX da Gaeta tramite il cardinale Antonelli, indirizzava alle nazioni cattoliche un accorato appello per un intervento armato che ristabilisse nei domini pontifici “l’ordine manomesso da un orda di settarj”. Linguaggio sorprendente o meglio ordito dal più bieco cinismo, se si pensa che solo un anno prima il pontefice aveva ritirato le truppe inviate a combattere gli austriaci con la motivazione che non era concepibile che soldati cattolici sparassero uccidendo altri soldati cattolici. Sarà proprio la Francia di Luigi Napoleone a raccogliere l’appello che si tradusse con l’invio delle truppe con a capo il generale Oudinot che avrà la meglio sull’eroica resistenza della giovane Repubblica romana anzitempo deposta.
Invero vi era già stata nel 1798 una Repubblica romana, giacobina e filofrancese, ma era frutto di una occupazione straniera. L’esperienza della sfortunata Repubblica romana del 1849 (che rimanda alla Comune di Parigi, se il paragone non appare troppo ardito) assunse un significato epocale e i provvedimenti quivi adottati sarebbero da definire, in senso etimologico inauditi: decadenza del potere temporale del papa, abolizione del tribunale dell’Inquisizione, incameramento dei beni ecclesiastici, rilancio dell’istruzione pubblica, libertà di stampa e di culto e abolizione di ogni forma di censura. Davvero un programma laicissimo, vorremmo dire. Una lezione che il futuro Stato unitario terrà ben a mente e che per certi versi imiterà tout court.
Le vicende testé esposte sono raccontate con dovizia storiografica e ricostruzione puntigliosa da Monsagrati in questo libro dalla prosa eccellentemente fluida, attraversata da una tensione narrativa che rende ancora più interessante e piacevole il racconto tanto da dare alla stessa un tocco romanzato (nel senso eminente del termine). Il volume è correlato da una ampia bibliografia a tergo.
Stefano Marullo
giugno 2014