Se non è nuovo l’impegno laico di Stefano Rodotà, nuovo è questo libro dove, per la prima volta, affronta di petto i (tanti) temi sul tappeto. L’impostazione giuridica dell’autore emerge fin dall’inizio, laddove definisce la laicità una «componente essenziale del discorso pubblico in democrazia», uno «spazio costituzionale che consente a tutti la convivenza e il confronto».
È tuttavia possibile, ci si chiede, convivere e confrontarsi con colei che ritiene di essere detentrice della Vertà con la ‘V’ maiuscola? Domanda non semplice, e soprattutto imbarazzante: rispondere affermativamente significa ammettere, quantomeno implicitamente, che il coinvolgimento nell’agone pubblico della Chiesa cattolica significa accettare la partecipazione alla competizione di un concorrente che, costitutivamente, non gioca con le stesse carte dei suoi avversari.
Non è dunque un caso che la classe politica tenda a scantonare dal fornire una risposta. Non vi si sottrae invece Rodotà, secondo cui «il dialogo non è possibile quando una delle parti afferma di essere depositaria di valori appunto «non negoziabili», e prospetta una rivolta permanente contro lo Stato»: esiste infatti «il rischio di un allineamento a un «indirizzo etico dominante», di cui la Chiesa sarebbe unica depositaria». Il problema, a detta del giurista, non sarebbero nemmeno i valori in sé, quanto la pretesa di imporli a tutti: e «la pretesa d’avere il monopolio in questa materia rivela un’attitudine autoritaria, non compatibile con le regole di un sistema democratico».
Le osservazioni di Rodotà sono ineccepibili, e tuttavia faticheranno a trovare ascolto non solo nelle aule parlamentari, ma persino nel partito a cui l’autore dovrebbe ideologicamente essere più vicino: il PD. Freddezza ricambiata, si direbbe: il PD non viene mai espressamente citato, quasi fosse considerato un ‘favoreggiatore’ della dilagante invadenza ecclesiastica nella cosa pubblica, e nell’indice dei nomi spicca la malinconica assenza di Veltroni e D’Alema. Ma è indubbio che Rodotà parli anche a loro, esponenti di un partito dove convivono (per quanto ancora?) clericali e laici, laddove ricorda il rischio che, per garantire la libertà di coscienza dei parlamentari cattolici, si finisca per intaccare quella dei cittadini, o che per garantire i diritti dell’obiettore di coscienza si possa mettere a repentaglio i diritti della donne. La vera disobbedienza civile, ricorda l’autore, è quella in cui «il prezzo della scelta è pagato da chi la fa, non dagli altri cittadini».
Il testo è diviso in due parti: interessanti sono soprattutto le riflessioni generali presentate nella prima. Nella seconda, dove sono raccolti articoli già pubblicati su Repubblica, il volume finisce per slabbrarsi e ripetersi un po’. Se discutibile e non dimostrato è il «ritorno del sacro» a cui si accenna a pagina 37, e se la distinzione tra laici e cattolici, continua, almeno per chi scrive, a non essere giustificata né nella forma né nei contenuti, di limpidezza cristallina è l’obbiettivo che percorre questa bella testimonianza di impegno civile e democratico: una laicità «senza aggettivi», di cui cresce giorno dopo giorno il bisogno.
Raffaele Carcano,
febbraio 2009