Per non credere è necessario qualche motivo? Servono forse per credere: è chi afferma che ha l’onere della prova, e chi crede dovrebbe prima verificare se le evidenze prodotte sono credibili. Non accade quasi mai: la fede si eredita, di solito, per trasmissione familiare, e gli educatori delle diverse religioni si rivolgono a platee che danno già per scontato che esista Dio. Il loro.
Sono così soprattutto i non credenti a parlare e scrivere dell’esistenza di Dio. Dante Svarca, prendendo sul serio quanto afferma la stessa Enciclopedia cattolica («la soprannaturalità deve essere provata. Contravvenire a questo principio è peccare contro la fede per eccesso, e significa aprire la porta a tutte le superstizioni») ritiene vi siano (almeno) 101 motivi per non crederci. Ma già Margherita Hack, nella prefazione, ricorda che «ne basterebbe uno solo: rispondere a tutti i perché a cui la scienza non sa ancora rispondere, al perché si nasce e perché si muore, a volersi illudere di seguitare una qualche forma di vita dopo la morte». Ed è lo stesso autore che, in apertura, prendendo spunto da una osservazione di Piergiorgio Odifreddi, («che cosa sia dio si sa: è qualcosa di cui non si sa né cosa sia, né se ci sia»), osserva che «dei 101 motivi per non credere nell’esistenza di un qualsiasi dio, contenuti in questo lavoro, in effetti, i prossimi 100 sono superflui. Questo primo motivo, da solo, dovrebbe essere sufficiente a impedire che persone normali, dotate d’intelligenza normale, si trasformino in credenti». Una sola ragione può bastare, per non credere.
Come si sarà capito, le argomentazioni di Svarca sono polemiche e dirette, lo stile quasi aforistico, con preferenza per l’inversione («non è miscredente chi non crede in dio, ma chi non crede in se stesso»). La critica alla religione non è mai occultata sotto giri di parole («è un ripiego adatto all’infanzia degli uomini e all’infanzia dell’umanità»), e quella al cristianesimo lo è ancora di più («La religione che si definisce cristiana è falsa e crudele più delle altre»). I vescovi sono paragonati ai ciarlatani, ma in considerazione del loro enorme potere sono «grandi» ciarlatani.
Svarca assegna molto importanza al ruolo della scienza, a cui riconosce il merito di aver cambiato in meglio tanti aspetti della vita umana. È un po’ sorpreso, tuttavia, del fatto che abbia conquistato «la vita delle persone, ma non del tutto la loro mente… Le religioni continuano a vivere, anche se malconce». L’umanità è, a suo dire, a un bivio a dir poco vertiginoso: «In futuro, se l’umanità deciderà di progredire usando la ragione e non la superstizione, il Figlio dell’Uomo diventerà homo deus». Un’ambizione molto forte: quasi a raccogliere provocatoriamente la critica che Benedetto XVI ha scagliato contro l’uomo contemporaneo, accusato di «farsi dio elevandosi al livello di Lui».
Erede della tradizione polemista settecentesca, il libro è traboccante di informazioni (qualcuna anche errata, come quando sostiene che «fino al Concilio di Trento, la chiesa riteneva che le donne non avessero l’anima»), e costituisce un utile compendio non solo delle ragioni per non credere in Dio, ma anche e soprattutto per non credere ai libri sacri e a ogni clero che se ne fa interprete. Del resto, sono «solo libri», ed è facendo propria questa premessa che andrebbero studiati.
Agosto 2010