Il “poverello” di Assisi viene ancor oggi presentato come il simbolo d’una religiosità semplice, pura, disinteressata, persino ingenua, lontana dagli interessi materiali, con quel pizzico di criticità nei confronti del papato ricco e potente, addirittura come precursore di tendenze animaliste, ecologiste e pacifiste, tali da attirare anche le simpatie di molti laici, e persino non credenti. Parlarne al di fuori di questa cornice agiografica e conciliante può sembrare seccante e ingenerare l’idea di voler fare i “criticoni” antireligiosi per partito preso. Ma cosa c’è di reale in tale immagine edulcorata accettata dai più? In questa indagine il giovanissimo Andrea Armati ci propone un resoconto più smaliziato e realistico del santo, che ne rivela «il volto proibito […] distante anni luce da quanto la tradizione cattolica e gli slogan no global ci hanno raccontato».
In realtà il frate, tutt’altro che semplice e sprovveduto, «non si limitò a realizzare un’esperienza alternativa di fede, ma inventò un “format” facile da capire e immediato da riconoscere», dimostrandosi più colluso coi potenti e col papato, meno disinteressato e più egocentrico di quanto non si pensi. Tanto che l’autore afferma: «i sogni di gloria non abbandonarono mai la mente di Francesco; anche dopo la conversione, il poverello mantenne uno spiccato senso di protagonismo, un bisogno innato di essere riconosciuto e ammirato dagli altri».
La predicazione di Francesco coglie il passaggio culturale dall’immagine del Christus triumphans a quella del Christus patiens – più umano e vicino al popolo, in contrapposizione a una Chiesa mondana. Tale cambiamento, all’apparenza unicamente iconografico, ha in realtà conseguenze profonde, tanto che il frate vuole «essere considerato dai suoi seguaci il nuovo Cristo» – emblematico il caso delle stimmate, «di evidente origine psicosomatica».
I “miracoli” e le pratiche di Francesco si inseriscono in tale tendenza auto-esaltatoria e fanno emergere inoltre una religiosità legata a culti pre-cristiani ancora profondamente radicata nel mondo contadino, condannata esplicitamente dalla Chiesa come eretica e stregonesca – come nei casi del culto degli alberi e della comunicazione con gli uccelli. Anche per questo è «opportuno sgombrare il campo dalle farneticazioni che si sono consolidate nel corso degli ultimi decenni, su tutte la balle del Francesco animalista».
Il “mito” di Francesco è frutto di profonde mistificazioni, veicolate prima dalla Chiesa – che ne inglobò la figura per scopi propagandistici – ma anche dalla politica: il santo viene infatti esaltato come “eretico” e ribelle dal clima risorgimentale; diventa poi il rassicurante esponente dell’umile ruralismo tradizionalista in epoca fascista, che aiuta a creare un clima favorevole al Concordato; ancora peggio, nel dopoguerra viene ammantato di socialismo, di internazionalismo e del pacifismo dalla cultura di sinistra per intercettare l’elettorato cattolico. In realtà, l’autore fa crudamente notare come Francesco non fu affatto un pacifista (coltivando ad esempio contatti con nobili e capi militari), né si oppose a guerre e crociate – anzi, seguì come fervente embedded i crociati e si mostrò sostanzialmente ostile all’islam, rispetto al quale prospettava la lotta e la necessità di conversione, con piglio zelante (nonostante si sia creata la leggenda del pacifico incontro “interculturale” col sultano Malik al-Kamil – che non fu né così pacifico, né così interculturale). Non ci si può quindi non interrogare sul senso della marcia per la pace Perugia-Assisi, cui l’autore preferirebbe una «Monreale-Palermo», nel ricordo di un contemporaneo del pio frate, ovvero Federico II, in confronto al primo ben più “laico”, tollerante e aperto verso le altre culture.
La diffusione delle icone francescane è l’ulteriore dimostrazione di come il santo sia divenuto il fulcro di una vera e propria «operazione mediatica» studiata dalla Chiesa, che tenne conto persino delle diverse tipologie di “pubblico”: così Francesco diventa «santo da una parte, stregone dall’altra», a seconda che si tratti del target cittadino e borghese, oppure di quello rurale e paganeggiante.
L’autore così tira le somme: «L’immagine che il Medioevo ci ha trasmesso di Francesco è parzialmente falsa; oltre che povero tra i poveri l’assisano fu anche un’astuta mente politica in grado di comunicare alle masse senza perdere i contatti con le persone che contano». Insomma, Francesco d’Assisi fu un personaggio molto più complesso, contraddittorio, ambiguo e oscuro di quanto non si voglia comunemente credere: il lavoro di Armati – che verrà approfondito da ulteriori ricerche – apre molti squarci in un quadretto fin troppo innocuo e perfetto veicolato durante i secoli e attraverso le ideologie.
L’Autore
Andrea Armati (Assisi, PG, 17/8/1986) attualmente lavora a un’indagine storica sulle origini religiose dell’Umbria.
Valentino Salvatore
Circolo UAAR di Roma
dicembre 2007