La letteratura dedicata ai santi è in massima parte d’ispirazione celebrativa e caratterizzata da toni tra il patetico e lo stucchevole dato che, appunto, ha lo scopo precipuo di fabbricare santini a uso e consumo della devozione popolare. I libri che – invece – con serietà e impegno, sulla base dei dati e con approccio scettico e demitizzante, tentano di dare una visione più critica e realistica di queste figure, mostrandole come esseri umani, fatti anche di miserie e debolezze, sono davvero pochi. Il pericolo, si sa, è quello di “offendere la sensibilità” dei credenti. Questa di Guerri è una delle opere più interessanti di ispirazione laica in merito, dedicata a Maria Goretti, la santa ragazzina che per conservare la sua verginità avrebbe preferito (forse) la morte.
Degno di attenzione è il quadro sociale e culturale della zona, sul quale l’autore si dilunga nella prima sezione dell’opera (Il calvario, non a caso). La vicenda si svolge nelle Paludi Pontine, un territorio nel quale all’inizio del secolo scorso si vive in condizioni di povertà e ignoranza spaventose. La massa dei contadini, sfruttata dai proprietari terrieri (tra cui figura la Chiesa), è abbrutita da un’esistenza malsana tra malaria e fame nera; la religiosità di queste persone si riduce spesso alla superstizione e alla sorda accettazione di un cristianesimo ben poco consapevole.
Nella seconda sezione – Il martirio – l’autore descrive la triste vicenda di Maria Goretti. Trasferitasi dalle Marche in quel luogo spaventoso, alla fine dell’Ottocento, la bambina vive una vita di stenti. Per quanto riguarda la sua devozione, «è impossibile credere che un bambino possa disporre di una religiosità lucidamente acquisita e coscientemente vissuta, tanto più se si trova nelle condizioni di Maria. Quella poca e superficiale che Maria aveva era indotta e accettata come componente essenziale dell’ambiente in cui viveva», ed è anche l’unica risposta possibile alla miseria umana intorno a lei. L’altro protagonista del “martirio”, l’assassino Alessandro Serenelli, è un giovanotto frustrato che vive assieme al padre nella stessa abitazione di Maria, il quale proprio in tale clima sessuofobico e misero matura l’idea di violentare la ragazzina. Ciò porterà all’uccisione di Maria nel 1902, quando lei aveva 12 anni – e che dai primi resoconti non ha tracce inequivocabili di “eroico martirio”.
Nella terza parte dell’opera, L’ascesa in cielo, viene ricostruita la beatificazione di Maria, caratterizzata da una progressiva e sistematica manipolazione delle informazioni riguardanti la vita della “martire”, di Alessandro e delle testimonianze dei protagonisti. La ragazzina deve apparire assolutamente pia (tanto che aumentano le comunioni che ha ricevuto, fluttuando anche a livello temporale, e le sue “tentazioni” diminuiscono drasticamente) e persino bellissima (con tutta una trafila di ritratti per santini), a costo dell’attendibilità storica. Il fenomeno “Goretti”, sostanzialmente minoritario, esplode nel 1929 – agevolato dalla vicinanza tra regime fascista e Chiesa – con le prime mosse per la causa di beatificazione. Viene quindi descritto il processo canonico, tra pedanterie e capziosità; è coinvolto anche l’assassino, pian piano coinvolto affinché dia solennemente il suo imprimatur a una “verità” di fatto già scritta, mentre la madre è addirittura felice che Maria sia morta illibata, piuttosto che viva ma “impura”. Caduto il fascismo, la causa ha di colpo una svolta, perché serve per dare un esempio moralistico alla società “corrotta”: Maria «contadina […] aveva avuto un martirio elementare e recente, un martirio alla portata di tutte. Che fosse ignorante, piccola e costretta a lavorare invece di andare in estasi o chiudersi in convento non era una controindicazione […] era ideale per il culto popolare perché aveva agito al di fuori dalle gerarchie ecclesiastiche e non era una santa astrusa, dagli incomprensibili meriti teologali o monastici».
Valentino Salvatore,
Circolo UAAR di Roma,
settembre 2007