Oltre a prendere in considerazione opere di autori famosi che sdoganano finalmente la miscredenza, è interessante anche notare come il tema venga trattato con gusto e attitudine particolari anche da “semplici” appassionati, come Biagio Catalano. Quest’opera, completamento della disamina storica Il vangelo secondo Cesare, è incentrata sulle problematiche inerenti al cristianesimo a livello logico e propagandistico. L’autore, con la tipica ironia forbìta e navigando tra citazioni colte e pubblicistica religiosa, spiega come le religioni siano solo rimedi sociali e politici apparenti, in realtà dannosi perché impediscono la concreta soluzione dei problemi.
Il dio ignoto è diviso in tre sezioni: nella prima si affronta la questione delle basi “logiche” della religione. Caratteristica del cristianesimo è infatti la sua “razionalità”, basata in realtà sul fatto che «è stato reso molto più completo di tante altre quanto a corredo dialettico; i funambolismi dei suoi difensori sono studiati appunto di modo da far apparire plausibile un argomento tradizionalmente ereditato». L’autore fornisce spunti sull’origine delle religioni, sull’esegesi laica della Bibbia, sulla “fisica” religiosa, sui miracoli (con citazioni di Guitton e Messori da antologia). La tendenza ad attribuire il corso degli eventi a Dio si traduce in quello che l’autore definisce “principio del minor male”, «secondo il quale è meglio che non si agisca, che si lascino le cose così come stanno, onde evitare problemi maggiori, dato che la scienza è tuttora incapace di risolvere i problemi umani alla radice». Il rapporto ambiguo del cristianesimo con la classicità (di cui a tratti ingloba la filosofia, a tratti la rigetta) e la scienza spinge la Chiesa a una «tattica alla lunga […] controproducente, quanto a credibilità; nel delicato tentativo di far consonare due campane opposte, di regola si finisce per frantumarle entrambe».
Nella seconda sezione dell’opera vengono esaminati gli strumenti che rappresentano il puntello culturale e propagandistico delle religioni. L’ingerenza “intelligente” della Chiesa, viene giustificata dal conforto che essa darebbe ai diseredati: ma in realtà diventa uno strumento di potere. Parallelamente, vi è una sistematica campagna di denigrazione del non credente, il quale «è sempre individuale pur riunito in gruppi di comune interesse, poiché nega non tanto il buonsenso, bensì la base aggregazionale della società “normale”», accostata al tentativo di controllare l’impianto culturale e mediatico al fine di impedire (o addomesticare) la diffusione di idee scettiche o critiche verso la religione e i suoi rappresentanti. L’apologetica è un potente strumento di propaganda, non per le idee espresse, quanto per gli espedienti sofistici elaborati nel supportarle, di cui l’autore fa un’agile carrellata (come fosse una sorta di “manuale di autodifesa”, ma anche vera e propria galleria degli orrori, a leggere le citazioni dai vari papi e teologi – in particolare dagli scritti di Alfonso Liguori). In pratica, «le tecniche adoperate dagli apologisti costituiscono indubbiamente un’evoluzione della retorica classica: ma […] questo progresso è da imputarsi comunque principalmente al sostanzialmente basso profilo delle basi concettuali del cristianesimo, che spinge i suoi avvocati a varcare le frontiere del ragionamento artificioso, adagiandosi infine nella sofistica».
Nella terza sezione, emblematicamente intitolata Pathologia Christiana, l’autore prova a enucleare gli effetti negativi di questa religione sulla società. Infatti l’artificiosità e la impraticabilità dei precetti “cristiani” in ultima analisi amplificano il “Male”: «Abbiamo dunque dei medici perennemente sdegnati dal fatto che le medicine da loro prescritte come panacee infallibili non guariscano non solo i comuni pazienti, ma anche i loro stessi colleghi». Tutto è complicato dalla strumentalizzazione dei martiri, dei “deboli”, dalla contraddittoria teodicea, dalla corsa verso una squilibrata “santità”. Ciò fa dire all’autore che «il Male è per l’appunto la funzione di garanzia primaria del cristianesimo, senza il quale non ha ragione d’esistere: in pratica, è semplicemente l’altra faccia della medesima moneta». Alla fine di questa disamina, l’autore afferma che il cristianesimo «è più che altro un gesto scaramantico innalzato a culto, nel quale il Bene non è l’attore crocefisso, bensì la sua esecuzione: la salvezza del popolo non consiste nel personaggio, bensì nell’atto che lo rende innocuo»; quindi, di fatto, garantisce lo status quo. L’opera si conclude con un messaggio propositivo, etico e “politico” insieme: «le religioni non sono l’unico metodo applicabile […]; viceversa, dovremmo chiederci per cosa esistono le istituzioni, le leggi, l’istruzione, l’informazione, la consapevolezza, mezzi molto più validi e onesti, la cui diffusione pianificata è tale da ridimensionare persino un’immanente coercizione secolare». Insomma, in questo senso davvero, un altro mondo è (forse) possibile.
Valentino Salvatore,
Circolo UAAR di Roma,
novembre 2007