La ricerca sulle cellule staminali embrionali è la più grande promessa della medicina del futuro e, nello stesso tempo, una delle istanze più scottanti sul tavolo del dibattito bioetico contemporaneo. Due aspetti strettamente intrecciati: si potrà conoscere il reale potenziale delle cellule solo se la ricerca su di esse potrà svolgersi liberamente. Ma se la ricerca verrà ostacolata, sarà anche più facile sostenere che si trattava di una promessa mendace: due atteggiamenti che a loro volta viaggiano talvolta di pari passo, a leggere le affermazioni di diversi leader religiosi.
Non a caso, l’illustrazione scelta per la copertina dell’ultimo libro di Armando Massarenti, già autore dell’interessante Il lancio del nano e altri esercizi di filosofia minima, mostra un prelato intento in un’osservazione al microscopio. Staminalia si rivela un libro indispensabile proprio perché si sofferma su questi intrecci, sulla necessità di scioglierli e sulle modalità con cui scioglierli. La prospettiva suggerita dall’autore, insieme laica e scientifica, sostiene che l’indispensabile confronto si svolga liberamente e trasparentemente, argomentando sulla base dalle evidenze disponibili e assicurando ampia diffusione dei risultati ottenuti.
Molta è la strada da percorrere. Sull’inizio della vita e sulla personalità dell’embrione le gerarchie cattoliche e l’evangelismo protestante hanno scatenato una vera e propria battaglia culturale, che si sta purtroppo combattendo ad armi impari: i mass media riprendono pressoché acriticamente le loro affermazioni sulla «sacralità della vita» o sui «valori naturali». Benché il valore dialettico di queste tesi sia praticamente nullo, basate come sono su premesse indimostrabili, la battaglia ha ottenuto risultati cospicui negli Stati Uniti e, in misura ancora più rilevante, in Italia. In questi due Paesi è stata autorevolmente rivendicata la priorità quasi assoluta da conferire alla ricerca sulle cellule staminali adulte, enfatizzando oltre gli eccessivi meriti “scoperte” (la transdifferenziazione delle cellule del sangue, le MAPCS, le staminali amniotiche) che a un’analisi scientifica rigorosa si sono rivelate inconsistenti. Ma quegli stessi mezzi di informazione che avevano amplificato questi studi (generalmente sostenuti da organizzazioni o enti confessionali) si sono guardati bene dal dare altrettanta rilevanza alle smentite.
Il fenomeno ha raggiunto il parossismo con il confronto realizzato da David Prentice sull’efficacia delle ricerche sulle staminali. Il suo contenuto è ben evidenziato dal titolo che gli dedicò Avvenire il 24 maggio 2005, in piena campagna referendaria: Adulte 58, embrionali 0: tra staminali non c’è partita. I dati raccolti da Prentice erano «più aneddoti che scienza», come scrive Massarenti, ma ciò non toglie che, nonostante la consistenza qualitativa e quantitativa delle smentite, Avvenire sia riuscito ancora il 22 febbraio 2008 a titolare un articolo I “miracoli” delle cellule staminali adulte. Il documento di Prentice è del resto ancora online (nel frattempo il divario è salito a 73-0): se Prentice persevera nelle sue convinzioni, nonostante la comunità scientifica internazionale ne abbia preso le distanze (la bibliografia sulla controversia presentata da Massarenti è decisamente consistente), perché darsi pena di fare diversamente sul quotidiano dei vescovi italiani?
In realtà, l’unica vera ricerca promettente riguarda le iPS, le cellule staminali embrionali indotte: in pratica, cellule adulte fatte regredire allo stato embrionale, e non si capisce perché i demonizzatori della ricerca sulle embrionali, se sono veramente convinti che la sperimentazione sulle embrionali porti in un vicolo cieco, abbiano accolto con entusiasmo gli studi sulle iPS. Anche in questo caso è d’obbligo soffermarsi sul modo in cui l’opinione pubblica ne è stata informata: a detta degli stessi scienziati che le hanno condotte, queste ricerche non avrebbero potuto aver luogo senza basarsi su precedenti studi sulle staminali embrionali. Ma i lettori di Avvenire non devono venire a saperlo: la redazione ha per esempio celermente provveduto a manipolare un’intervista per far credere loro che la realtà sia esattamente opposta.
La scienza, lungi dal volersi sostituire alla religione quanto a manie di assoluto, possiede già gli anticorpi necessari a fronteggiare gli imbrogli, come quello perpetrato dal dottor Hwang. Il dibattito all’interno del mondo scientifico è vivo, e ogni nuova teoria viene passata al vaglio della critica. Ma per un perfetto funzionamento del sistema è necessario che della sua eventuale sconfessione sia data notizia con almeno altrettanta enfasi: l’informazione su argomenti indubbiamente molto delicati deve essere ineccepibile. Dove non accade, come in Italia, il risultato è che una parte non piccola della popolazione interessata al tema crede che risultati “miracolosi” siano a portata di mano, o che il consenso del mondo della scienza sulle ricerche sulle staminali adulte sia pressoché unanime. Anche da questo punto di vista Staminalia si rivela un libro laico a 360 gradi perché, oltre a mettere in guardia dalla scarsa scientificità degli oppositori della ricerca sulle staminali embrionali, invita razionalmente a non dare per scontato che le eventuali scoperte si dimostreranno prodigiose: «il miracolismo in medicina si rivela sempre crudele verso i pazienti, che speranzosi si fanno curare prima che la ricerca abbia fatto i passi necessari».
Nel nostro Paese, un condizionamento importante è anche quello imposto dalla politica, a cui spetterebbe in teoria il compito di creare le condizioni per il libero svolgimento del dibattito bioetico. Impresa improba, quando un ex candidato premier nonché vicepresidente del consiglio (Francesco Rutelli) riesce a presentare una proposta di legge in cui si citano studi su cellule inesistenti. Anche il Comitato Nazionale di Bioetica è un organismo di nomina politica, e guarda caso vi sono scarsamente rappresentati proprio gli scienziati. Se negli Stati Uniti, nonostante l’opposizione del presidente Bush, la ricerca ha comunque trovato una valvola di sfogo nella ricerca privata e in quella finanziata dai singoli Stati, in Italia si è costretti a far buon viso a cattivo gioco. In un Paese in cui i fondi per la ricerca sono quasi esclusivamente di provenienza pubblica e in cui solo il 10% di essi è assegnato con procedure di peer-review, non stupisce che si preferisca seguire una fantomatica «via italiana» nello studio delle staminali: ma è un Paese sbruffone quello che, dedicandosi alla sola ricerca sulle cellule adulte, pensa di essere più intelligente degli altri. Va da sé che i relativi finanziamenti sono assegnati senza la minima trasparenza e destinati, in gran parte, alle stesse persone incaricati di concederli…
Pochi fondi, spesi male, in un Paese in declino: aggiungiamoci il diffuso antiscientismo italico, e il risultato non potrà che essere drammatico. Ma è proprio il senso civico che traspare da un libro come Staminalia a lasciare ancora qualche barlume di speranza.
Raffaele Carcano
Circolo UAAR di Roma,
settembre 2008