Babbo Natale, Gesù adulto. In cosa crede chi crede?

Maurizio Ferraris
Bompiani
2006
ISBN: 
9788845257933

Più che a un libro, la copertina sembrerebbe adatta a un disco demenziale degli anni Novanta. Non è detto, del resto, che Maurizio Ferraris non sia un patito del genere. La sua è infatti una colta e intrigante dissertazione su uno dei trend più pubblicizzati di sempre (“il ritorno della fede”): un fenomeno che, tuttavia, pochi si sono ingegnati a esaminare in profondità. L’interesse dell’autore è infatti volto a capire quale tipo di fede stia ritornando.

Ferraris semina a piene mani il dubbio che, nell’odierna società secolarizzata, i dogmi abbiano perso definitivamente la partita. Il credente, da grande, smette di credere in Babbo Natale, o in Gesù Bambino che porta i regali: ma per essere veramente credente deve anche credere che colui che è nato a Natale è il Figlio di Dio, e che è risorto. E deve credere anche nella transustanziazione: e avere fede in «un uomo da venti secoli viene mangiato da miliardi di persone» è molto, molto più difficile che credere in Babbo Natale. Ebbene, è questa la fede che ritorna?

Secondo Ferraris no. Il “ritorno della fede” non è accompagnato da una diffusa credenza nella resurrezione, ritenuta al più un mito edificante. Non dovrebbe essere questione da poco per i credenti, laddove lo stesso Nuovo Testamento, con le parole di Paolo, sostiene che, senza la realtà della resurrezione di Cristo, la loro fede è vana. La figura di Dio diventa invece ogni giorno più evanescente: e «asserire di credere in Dio senza accettare o determinare un qualche contenuto è come non credere in niente». In questo modo viene meno l’idea stessa di religione o, quantomeno, il concetto di “religione” imposto negli ultimi due millenni. La religione non è (non dovrebbe essere) una guida morale più o meno accettata. Al posto di una fede che è condivisione di determinati dogmi, invece, si è fatta strada una sorta di religione del cuore, basata su assunti che, a mio modo di vedere, testimoniano la sconfitta (temporanea o definitiva purtroppo non lo sapremo) di una visione comunitarista della fede, e il trionfo di un individualismo sempre più relativista (con buona pace di Benedetto XVI). Si può credere a un dogma senza sapere come sostenerlo: «ancora un passo, e ci si può anche dimenticare del dogma, che importa?».

Tuttavia, la religione è effettivamente più invasiva di prima. Perlomeno nel nostro Paese. Ferraris mette a confronto Italia e Spagna, oggi e quarant’anni fa, ed è inevitabile pensare, se si è laici, che qualcosa sia andato storto. Una delle domande cruciali dell’autore («se non si sa chi è Dio, perché si impongono regole in nome di Dio?») potrebbe essere anche scritta in un altro modo: «se la popolazione non sa più chi è Dio, perché lascia che si introducano regole giustificate in nome di Dio?». Forse perché i credenti non abbandonano affatto la Chiesa cattolica, né diventano eretici, ma, in un periodo di scarse certezze, trovano un supporto nella religione degli avi. Questo spiegherebbe anche il revival di santi e miracoli: più “credibili”, si può convenire, della transustanziazione. Del resto, ricorda l’autore, si crede anche nei bond argentini e nelle azioni Parmalat, e quindi…

La strategia vaticana segue perfettamente l’onda: sì alle beatificazioni, cerchiamo di imporre la nostra morale e lasciamo perdere la dogmatica e la necessaria coerenza che richiederebbe, che tanto pare non interessino più nessuno. Su queste basi si possono avviare sinergie pressoché con chiunque, ed è così che nascono “mostri” come il Peratzinger: un’intesa dove la parte secolare è completamente succube, ma pur sempre un’intesa che non possiede alcun contenuto teologico. Puro pragmatismo. Se a ciò, seguendo Derrida (e Ballardini), uniamo la vocazione del cattolicesimo alla pubblicità, ci rendiamo conto che l’onnipresenza televisiva del papa non è affatto casuale.

Il papa stesso rappresenta “fisicamente” la nouvelle vague della fede del terzo millennio. Credere nel papa, anziché a Dio, è molto più facile: il papa è riconoscibile e in carne e ossa (non pretende di esser risorto); il papa trasmette un messaggio identitario accessibile a tutti (Europa = Cristianesimo); «i Papi hanno carisma, se sono buoni Papi, e dunque eccitano i fedeli a credere». A ben guardare, sostiene Ferraris, in tutto questo non c’è nulla di nuovo: sono le stesse idee di un altro Joseph, il teocon ante litteram de Maistre, che due secoli or sono furono rifiutate dal mondo cattolico, ma che ottengono ora un’inaspettata consacrazione postuma. Semplificando al massimo: se la vita deve porsi al di sopra delle leggi e dei poteri temporali, se la vita viene da Dio, e se l’identità di Dio è oscura, allora rifarsi al suo vicario e ai desiderata vaticani è una necessità logica e conseguente.

Colmo di arguzie stimolanti su temi nient’affatto banali, il testo è pur sempre opera di un docente di filosofia teoretica, e pertanto si sofferma talvolta su argomenti (Lyotard e il postmoderno, Derrida e la “mondialatinizzazione”) di non facile accessibilità. Ma resta comunque un’opera che propone interessanti chiavi di lettura e che spinge a riflettere su tante sfumature, normalmente trascurate, del controverso rapporto degli italiani con la fede. Una questione che riguarda tutti, credenti e non credenti.

Raffaele Carcano
29 dicembre 2006