Non abusare di Dio

Gian Enrico Rusconi
Rizzoli
2007
ISBN: 
9788817015875

Nella traiettoria del pensiero di Gian Enrico Rusconi, editorialista de La Stampa e apprezzato politologo, non è difficile scorgere un costante interesse per lo studio del rapporto tra democrazia e laicità. Possiamo anche dire che, nel corso del tempo, è andata invece aumentando la preoccupazione per le sorti dello Stato secolare, oramai apertamente dichiarata. Chi ha letto il suo Come se Dio non ci fosse (2000), che fin dal sottotitolo suggeriva una contrapposizione tra laici e cattolici, resterà forse un po’ stupito nel leggere l’incipit di Non abusare di Dio: «Tutti in Italia si dichiarano laici. Contemporaneamente però nel linguaggio pubblico corrente continua a valere la distinzione, se non la separazione, tra “laici e credenti”, tra “laici e cattolici”, con il sottinteso che i laici siano non-credenti e viceversa. In realtà i due termini non sono affatto sinonimi». E nemmeno antonimi, aggiungo io: la parola più corretta per esprimere il contrario di “laico” è “confessionalista”, quella più immediatamente comprensibile è più che mai “clericale” («denominazione che pensavamo fosse diventata obsoleta», constata Rusconi).

Certo lo scenario è cambiato, molto cambiato: ora abbiamo persino un papa che invoca una «sana laicità». Nonché un mondo ateo che si va facendo sempre più consapevole della necessità di entrare da protagonista nel dibattito: anche questo aspetto traspare dalle pagine del libro, nei ricorrenti riferimenti a Richard Dawkins così come nella decisa affermazione che «non è sospettabile dal punto di vista morale nessuna posizione che si dichiari atea»«atteggiamento che oggi richiede persino un po’ di coraggio nell’esprimersi pubblicamente».

Di fronte all’offensiva delle gerarchie ecclesiastiche, scrive l’autore, «non basta criticare, occorre argomentare». Un compito non facile nel nostro Paese, dove «il credente-di-chiesa si atteggia talvolta a vittima e si lamenta di essere discriminato nell’esercizio del suo diritto di costruire una “società buona” secondo i suoi criterî». Dove il reale atteggiamento religioso (o non) del cittadino è auto-occultato «dietro il grande schermo dell’omaggio alle autorità della Chiesa consentendo a queste ultime di gestire con pragmatico paternalismo comportamenti di fatto difformi e trasgressivi». Dove lo stesso credente risponde a «una logica di tipo identitaria di tipo comunitarista, di riconoscimento cioè dei diritti di una comunità (in questo caso cattolica) che si muove ai limiti della democrazia». Dove nei discorsi dei politici «non si cita Dio, ma il papa: non si menzionano la Bibbia o il Vangelo, ma le encicliche papali».

Veramente impegnativo è dunque il compito del laico. Eppure la laicità è dotata di strumenti idonei a sviluppare adeguati anticorpi. Ad esempio, si dovrebbe ogni tanto ricordare che «l’ufficio politico-legislativo delle società democratiche e secolarizzate, in cui vive [il credente], non lede in nulla l’autonomia, la libertà di espressione, di pratica e di testimonianza del suo credere». È mai stato vero il contrario, nelle teocrazie o nelle ierocrazie? Allo stesso modo, quando si ciarla di “valori naturali”, si dovrebbe anche meditare sulla possibilità che «la natura umana sia congruente con la somma dei valori che chiamiamo laici». Se l’ethos pubblico è ciò che dà senso alla cittadinanza, rammenta Rusconi, come si colloca la posizione degli uomini di Chiesa, che non riconoscono pari dignità etica all’approccio laico, ma tentano di contrabbandare la propria dottrina morale come religione civile, identificando di fatto «ethos e religione-di-chiesa»? Non è dunque affatto un pleonasmo ribadire, forse per la miliardesima volta, che «lo Stato è laico proprio perché non pretende dai cittadini identità di credenze in campo etico-religioso ma reciproco rispetto e considerazione dei differenti convincimenti, sempre aperti al confronto», da avviare sulla base di regole condivise.

Ma vi è una reale possibilità di confronto, o stiamo piuttosto assistendo a un interessato monologo? È su questa domanda che Rusconi introduce l’interessante proposta di differenziare “sfera pubblica” («spazio sociale in cui si manifestano tutte le opinioni») e “discorso pubblico” (intervento «che mira strategicamente a trasformare determinate convinzioni specifiche – nel senso che rispondono a una specifica identità collettiva – in norme di legge che valgono per tutti»: principî non negoziabili che sono per di più presentati dai vertici cattolici come “razionali” e “naturali”). Di fronte a questa asimmetria, il compito di «sviluppare un discorso pubblico che sia dotato di forza persuasiva ed efficacia pari a quella delle argomentazioni dei suoi interlocutori» è per il laico impresa quasi improba. È un circolo vizioso: per parlare liberamente di laicità occorrerebbero istituzioni a garanzia, per ottenere istituzioni a garanzia è indispensabile poter parlare liberamente di laicità.

Il livello del testo raggiunge livelli accademici quando l’autore si addentra nell’amata riflessione sull’Etsi Deus non daretur o nella meticolosa analisi delle posizioni espresse da Böckenförde, Habermas e Ratzinger. L’ampio spazio dedicato a temi come il crocifisso, la rivendicazione delle radici cristiane, la secolarizzazione, lo status dell’embrione, i valori naturali e la diatriba creazionismo-evoluzionismo rendono tuttavia la lettura di Non abusare di Dio un esercizio consigliabile a tutti.

Raffaele Carcano
aprile 2007