Il primo scopo sociale Uaar è, recita il suo statuto, quello di “tutelare i diritti civili degli atei e degli agnostici, a livello nazionale e locale, opponendosi a ogni tipo di discriminazione, giuridica e di fatto, nei loro confronti, attraverso iniziative legali e campagne di sensibilizzazione”. Le iniziative legali avviate dall’Uaar nel corso della sua storia sono state numerose: in alcune occasioni senza esito positivo, molte volte con successo, alcune volte ottenendo risultati straordinari per i diritti civili degli atei e agnostici.
In questa pagina documentiamo almeno in parte questo impegno.
Crediti formativi e status insegnanti di religione
Crocifisso nelle aule scolastiche: il caso Lautsi
Crocifisso nelle aule scolastiche: la circolare Moratti
Crocifisso nelle aule scolastiche: il caso Coppoli
Crocifisso nelle aule scolastiche: il caso Mandas
Discriminazioni verso i non cattolici: il Premio maritaggio di Torre del Greco
Esenzioni Imu-Tasi alle scuole e alle cliniche private cattoliche
Libertà di espressione: censura campagna «Viviamo bene senza D» a Verona
Mass Media: iniziativa contro la Rai
Mass Media: iniziativa per la par condicio in Rai
Messe in orario scolastico: produzione e invio di diffide
Messe sul luogo di lavoro: il caso Anas
Messe universitarie: il caso di Palermo
Messe universitarie: il caso di Firenze
Obiezione di coscienza: censura della campagna «Testa o croce? Non affidarti al caso» a Genova
Ora di religione e ora alternativa: produzione e invio di diffide
Ora di religione e ora alternativa: il caso di Padova
Ora alternativa: tardiva attivazione
Sbattezzo: il caso Franceschetti
Sbattezzo: altri casi significativi
Statue religiose nelle amministrazioni pubbliche: il caso Galvagno
Testamento biologico: il caso di Rimini
Visite pastorali (e legittimità ad agire dell’Uaar): il caso del vescovo di Padova
Benedizioni a scuola
Nel febbraio 2016 il Tar emiliano, accogliendo un ricorso sostenuto dall’Uaar insieme a cittadini, insegnanti e Scuola e Costituzione, ha ribadito che le benedizioni all’interno degli edifici scolastici sono illegittime, anche in orario extrascolastico, perché sono carenti di «universalità». L’ambito pubblico, secondo i giudici, deve di per sé evitare discriminazioni. Il Ministero dell’istruzione ha fatto a sua volta ricorso e il Consiglio di Stato, nel marzo 2017, lo ha accolto: se fuori dall’orario di lezione e se facoltative, non sono illegittime. In altre parole, affinché sia legittima l’espletazione di un atto di culto è necessario che questo sia a partecipazione facoltativa e si collochi tassativamente al di fuori dell’orario scolastico.
Crediti formativi e status insegnanti di religione
Nel maggio 2007 l’Uaar con altre associazioni laiche ha presentato ricorso contro l’ordinanza ministeriale sull’attribuzione di credito scolastico valevole per gli esami di maturità agli studenti avvalentisi dell’insegnamento della religione cattolica. Accolto il ricorso dal Tar Lazio, il ministro Fioroni si rivolge al Consiglio di Stato, che blocca la decisione. Nell’agosto 2009 un nuovo ricorso viene nuovamente accolto dal Tar del Lazio, ma dietro richiesta della Conferenza Episcopale Italiana il governo investe della decisione il Consiglio di Stato che da ancora ragione al governo pur sostenendo che “la mancata attivazione dell’insegnamento alternativo può incidere sulla libertà religiosa dello studente o delle famiglia, e di questo aspetto il Ministero appellante dovrà necessariamente farsi carico”. Nel novembre 2017 l’Uaar ha presentato ricorso contro Roma Capitale per il bando di concorso per la stabilizzazione (a tempo pieno e indeterminato) di 50 insegnanti di religione cattolica nelle scuole dell’infanzia.
Crocifisso nelle aule scolastiche: il caso Lautsi
Nel 2002 Massimo Albertin e Soile Lautsi, soci Uaar, chiedono che il Consiglio d’Istituto della scuola media “Vittorino da Feltre” di Abano Terme, frequentata dai loro figli, non esponga il crocifisso sui muri delle aule scolastiche. Il Consiglio respinge a maggioranza la richiesta. Con il sostegno dell’associazione, Soile Lautsi presenta ricorso (il padre non avrebbe potuto, poiché componente dello stesso Consiglio). Il 14 gennaio 2004 un’ordinanza del Tar del Veneto decide di rimettere il ricorso alla Corte Costituzionale, la quale però il 15 dicembre dello stesso anno rinvia nuovamente al Tar, perché i provvedimenti che autorizzano l’affissione del crocifisso sono regolamenti e non leggi, e non soggetti quindi a un giudizio di legittimità costituzionale. Il Tar, con un’incredibile quanto ormai celeberrima sentenza stabilisce che il crocifisso rappresenta “un simbolo laico”; sentenza confermata in toto dal Consiglio di Stato. Esaurite le possibilità di impugnazione nazionali, l’iniziativa prosegue presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo. Nel novembre del 2009 la Cedu, con una sentenza storica, si esprime contro la presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche; la decisione è tuttavia appellata dal governo italiano e la Grande Chambre della Corte si è pronunciata definitivamente il 18 marzo 2011, ‘assolvendo’ l’Italia: ogni paese è autonomo in materia religiosa, ha sostenuto la Corte, e il crocifisso sarebbe comunque soltanto un simbolo “passivo” (ma non certo “laico”).
Crocifisso nelle aule scolastiche: la circolare Moratti
Il 3 ottobre 2002 Letizia Moratti, Ministro dell’Istruzione, emana una nota e una direttiva aventi come oggetto l’esposizione obbligatoria del crocifisso nelle aule scolastiche. L’11 aprile 2003 l’Uaar presenta un ricorso in via straordinaria al Capo dello Stato. Il 15 febbraio 2006 viene stilato il parere sfavorevole del Consiglio di Stato. Dopo un’ulteriore diffida al Ministero, affinché emettesse i provvedimenti di sua competenza, l’associazione ha presentato un nuovo ricorso presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che è stato tuttavia giudicato irricevibile.
Crocifisso nelle aule scolastiche: il caso Coppoli
Il prof. Franco Coppoli, in servizio dal 2008 presso l’istituto professionale ‘Alessandro Casagrande’ di Terni, era solito togliere il crocifisso dalla parete dell’aula all’inizio delle sue lezioni , per poi riposizionarvelo alla fine. Il consiglio di istituto, il 24 novembre, delibera all’unanimità l’intervento dell’Ufficio regionale scolastico e del Ministro dell’istruzione Mariastella Gelmini. Nel febbraio 2009 il docente viene sospeso dal lavoro per un mese, e con la collaborazione dell’Uaar presenta ricorso al tribunale del lavoro di Perugia per discriminazione sul posto di lavoro. Il ricorso viene respinto con il sostenere che la condotta dell’amministrazione scolastica non fosse qualificabile come “molestia”, non essendosi connotata per un intento discriminatorio. In seguito a un reclamo, il tribunale di Terni viene a sua volta chiamato a esprimersi, e con un’ordinanza del 5 ottobre 2009 decide che, a causa del trasferimento del professor Franco Coppoli presso un altro istituto, è “venuta meno l’attualità della condotta asseritamente discriminatoria con la conseguente sopravvenuta cessazione della materia cautelare del contendere”. Dopo le altre negative sentenze del tribunale di Terni e della Corte d’Appello di Perugia, e l’ulteriore sanzione di un mese di sospensione, la vicenda è giunta in Cassazione. Con sentenza 24414/21, depositata il 9 settembre 2021, le Sezioni unite civili della Cassazione hanno accolto il ricorso di Coppoli patrocinato dall’Uaar, annullato la sanzione disciplinare nei suoi confronti e dichiarato illegittimi l’ordine di servizio e la circolare del dirigente scolastico che imponevano il crocefisso in classe. Non solo, la Cassazione ha stabilito che «l’esposizione autoritativa del crocifisso nelle aule scolastiche non è compatibile con il principio supremo di laicità dello Stato. L’obbligo di esporre il crocifisso è espressione di una scelta confessionale. La religione cattolica costituiva un fattore di unità della nazione per il fascismo; ma nella democrazia costituzionale l’identificazione dello Stato con una religione non è più consentita».
Crocifisso nelle aule scolastiche: il caso Mandas
Sulla scia del clamore suscitato dalla prima sentenza Cedu sul caso Lautsi, nel novembre 2009 il sindaco di Mandas (CA) Umberto Oppus emana un’ordinanza che impone il crocifisso in tutti gli edifici pubblici, contro la quale l’Uaar ricorre al Tar sardo. Lo stesso Oppus però, intervistato il 20 febbraio 2010 dal quotidiano L’Unione Sarda, rivela di aver revocato l’ordinanza impugnata già in gennaio, perchè “non aveva più senso tenerla in piedi, dopo che il simbolo religioso era stato affisso ovunque”. Il suo obiettivo era “stato raggiunto”: aveva ottenuto grande pubblicità in seguito all’emanazione e l’Uaar stava ricorrendo contro il nulla. Il sindaco, “con aria furba” ha ammesso che nel caso venisse imposta la rimozione ricorrerebbe allo stesso trucco: “ristabilire l’obbligo con un’altra ordinanza e poi revocarla in gran segreto, come ho appena fatto. All’infinito”. Nel 2010 Oppus viene eletto per il suo terzo mandato come primo cittadino. Nel 2017 il Tar della Sardegna si pronuncia contro il ricorso Uaar.
Nel 2018 l’Uaar ha presentato ricorso in Consiglio di Stato. Nel 2024 il Consiglio di Stato ha dato ragione all’Uaar, confermando che il sindaco non poteva emettere un’ordinanza per imporre il crocifisso, sia perché il provvedimento non era giustificato sia perché non era in linea con quanto stabilito dalla Cassazione nel 2021 sul caso Coppoli.
Discriminazioni verso i non cattolici: il Premio maritaggio di Torre del Greco
Il bando del premio maritaggio, indetto nel 2010 dal Comune di Torre del Greco (NA), era riservato esclusivamente alle fanciulle bisognose cattoliche: fra i documenti richiesti c’era persino il “certificato di buona condotta morale e civile dello sposo e della sposa rilasciato dalla chiesa”. L’Uaar chiede al Comune di visionare gli atti autorizzativi del premio in questione e vince il ricorso al Tar conseguente al silenzio dell’amministrazione. Ma la vittoria più importante è la seconda, nel luglio 2011. Il Tar campano ha infatti stabilito che quelle previste dal Comune erano“condizioni di assegnazione discriminatorie”, mentre avrebbe invece potuto stanziare le somme “per un premio di nuzialità destinato ai matrimoni in generale”. Il Comune sosteneva di aver soltanto eseguito quanto disposto dal testamento di un sacerdote risalente al 1883 e applicato per oltre un secolo, ma nella realtà sottolineata dal Tar non sono state destinate al premio solo ed esclusivamente «le rendite dell’immobile pervenuto dall’eredità”, ma anche «somme aggiuntive per un importo circa quadruplo”. In ogni caso, secondo il tribunale l’obbligo di riservare il premio alle sole spose cattoliche sarebbe dovuto venire meno fin dal 1890.
Approfondimenti: Questo matrimonio non s’ha da pagare, di Adele Orioli, da Nessun Dogma n.5/2022.
Esenzioni Imu-Tasi alle scuole e alle cliniche private cattoliche
Nel giugno 2014 il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha emanato un decreto che, di fatto, ha reintrodotto l’esenzione Imu e Tasi per le scuole e le cliniche private cattoliche. L’Uaar ha dunque chiesto alla Commissione Europea di aprire una procedura d’infrazione nei confronti dello Stato italiano. La richiesta è stata respinta in quanto l’Uaar non è un diretto concorrente di tali strutture (non possiede cioè scuole e ospedali).
Intesa con lo Stato
L’approvazione del nuovo Concordato nel 1984 ha portato alla stipula di diverse intese con i culti minori, così come previsto dall’articolo 8 della Costituzione. Fin dalla sua fondazione, al fine di porre fine alle discriminazioni nei confronti di atei e agnostici, l’Uaar ha formalmente chiesto alla Presidenza del Consiglio di addivenire alla stipula di un’Intesa, sulla falsariga di quelle sottoscritte con le confessioni. Nel 1996 la risposta del Sottosegretario di Stato Lamberto Cardia sosteneva che tali Intese non possono essere applicate “ad altre associazioni che non abbiano natura religiosa e confessionale”: mancando i requisiti, la richiesta non poteva essere accettata. Il 30 maggio 1996 l’Uaar ha presentato - e vinto - un ricorso straordinario al Capo dello Stato motivato, oltre che da evidenti violazioni della legge nell’iter e nella stesura della risposta, anche dalla mancata considerazione delle sentenze costituzionali che equiparano le norme riferite a confessioni e culti agli enti che si pongono sul medesimo piano, pur non avendo, ovviamente carattere religioso. Il 27 novembre 2003 il Consiglio dei Ministri si è pronunciato negativamente e l’Uaar nel febbraio 2004 ha presentato un nuovo ricorso, deciso nel 2008 dal Tar del Lazio che ha continuato a sostenere la totale discrezionalità e insindacabilità del Consiglio dei Ministri nell’addivenire a Intese. Nel novembre 2011 il Consiglio di Stato ha tuttavia dato ragione all’Uaar: contro tale sentenza il governo Monti ha presentato ricorso in Cassazione. Il 28 giugno 2013 le Sezioni Unite hanno depositato la sentenza, con la quale hanno anch’esse dato torto al governo. L’esecutivo è ricorso allora alla Corte Costituzionale, che nel marzo 2016 ha accolto l’istanza. L’Uaar ha quindi presentato ricorso alla Corte europea dei diritti umani, procedimento che è ancora in corso.
Libertà di espressione: censura campagna «Viviamo bene senza D» a Verona
Nel 2013 l’Uaar lancia la campagna Viviamo bene senza D, con affissioni di manifesti in città distribuite su tutto il territorio nazionale. La Giiunta di Verona (sindaco Flavio Tosi, Lega Nord) è l’unica amministrazione pubblica che decide di censurare l’iniziativa, nonostante i manifesti fossero già stampati nel rispetto di tutti i regolamenti comunali, con la motivazione che trasmetterebbero un messaggio “potenzialmente lesivo nei confronti di qualsiasi religione”. L’Uaar presenta immediatamente ricorso secondo l’articolo 702 del codice di procedura civile, onde poter far accertare prima, e cessare poi, il comportamento evidentemente discriminatorio del Comune di Verona. Ma con una sconcertante e sbrigativa ordinanza il giudice in primo grado non accoglie quanto richiesto: secondo il Tribunale di Roma negare l’affissione non è stato discriminatorio «perché, lungi da una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla religione, ha semplicemente valutato un profilo di opportunità sul contenuto formale del messaggio, sul suo linguaggio e tenore letterale, non certo sulla possibilità di far valere le posizioni della società istante in ordine alle proprie convinzioni in materia di religione». A parte che l’Uaar non risulta sia una società, lo sconcerto è che per il giudice la pubblica amministrazione possa sindacare la libertà di coscienza e di espressione per ragioni di “opportunità” e non di legittimità. L’Uaar ricorre in appello con esito ancora una volta negativo giunto nel 2018: la Corte di Appello ritiene che la campagna «Vivere bene senza D» non è promozione delle scelte afideistiche, perché «non si caratterizza per alcun messaggio propositivo da parte di Uaar in favore dell’ateismo o dell’agnosticismo o più in generale in favore di valori dalla stessa propugnati; bensì assume un unico ed uniforme connotato di negazione della fede religiosa». Secondo i giudici inoltre l’Uaar sarebbe protetta costituzionalmente dall’articolo 21 (libertà di pensiero), diritto che sarebbe però limitato dall’articolo 19 (libertà religiosa) che alle scelte ateistiche non si applicherebbe. Arriviamo quindi al ricorso in Cassazione, che con l’ordinanza 7893 del 2020 ha pienamente accolto le ragioni dell’Uaar, annullando la decisione della Corte di appello di Roma con rinvio: si prevede un altro procedimento ex novo che, come è buona norma e prassi istituzionale, segua le indicazioni date dalla Suprema Corte. Nel febbraio 2022 quindi la Corte d’Appello di Roma si pronuncia definitivamente sul giudizio in riassunzione, confermando «il carattere discriminatorio del Comune di Verona, consistente nel rifiutare l’affissione». Il tribunale ordina «la cessazione della condotta discriminatoria» e l’affissione dei dieci manifesti censurati, nonché la pubblicazione della sentenza per estratto su Il Corriere della Sera a carico del Comune di Verona, condannato a pagare un lauto risarcimento all’associazione e a rimborsare le spese legali. Una storica vittoria legale dell’Uaar, in base alla quale è stato affermato il principio che atei e agnostici hanno diritto a professare convinzioni che si traducono nel rifiuto di una qualsiasi confessione religiosa. Un diritto tutelato dalla libertà di coscienza sancita dall’articolo 19 della Costituzione, alla stregua del credo religioso che si sostanzia nell’adesione a una determinata confessione religiosa.
Mass Media: iniziativa contro la Rai
L’Uaar nel 2003 aveva chiesto di poter godere delle stesse possibilità offerte alla Chiesa cattolica grazie: alla delibera Rai che ha istituito la struttura denominata Rai - Vaticano; all’accordo stipulato con la Chiesa cattolica, e/o con enti della medesima confessione (come la Cei), relativi alla gestione del portale su Internet www.religionecattolica.rai.it; al tariffario in vigore per l’inserimento nel Televideo, a pagamento, delle notizie relative alle “Istituzioni” (pag. 400 di Televideo). Di fronte all’inerzia della Rai nell’avviare contatti volti alla conclusione di accordi per la gestione in comune di un portale per l’informazione sulle concezioni del mondo ateo alle medesime condizioni tariffarie praticate alle confezioni religiose, l’Uaar ha presentato un ricorso al Tar, denunciando la violazione degli artt. 22 e seg. della Legge 7/8/1990 n. 241 ed eccesso di potere sotto diversi profili; il ricorso è stato però dichiarato inammissibile dal Tar del Lazio nel maggio del 2004 per tre motivi: perché la richiesta era stata presentata a una società diversa (Rai Spa anziché Rai-Net Spa); perché l’Uaar non era (ancora) associazione di promozione sociale; perché “le associazioni agnostiche da un lato e le associazioni religiose dall’altro sono quindi portatrici di interessi specularmene contrapposti… È proprio la radicale estraneità, nei rispettivi ambiti, del laicismo e delle confessioni religiose che fa dubitare della sussistenza di un interesse giuridicamente rilevante dell’Uaar”.
Mass Media: iniziativa per la par condicio in Rai
Perdurando il clericalismo della Rai, nell’agosto 2014 l’Uaar ha chiesto che sia garantita la parità di trattamento in materia di ateismo e religione, presentando un esposto all’Agcom e alla Commisione parlamentare di vigilanza. A fine novembre l’Agcom ha respinto il ricorso con motivazioni alquanto pretestuose. Nel marzo 2015 l’Uaar ha riproposto la questione nel corso di un incontro con il presidente della vigilanza, Roberto Fico.
Messe in orario scolastico: produzione e invio di diffide
La normativa vigente vieta di organizzare cerimonie di culto in orario scolastico. Capita purtroppo che alcuni istituti scolastici se ne dimentichino. In tali casi, quando ne viene a conoscenza, l’Uaar interviene presso i dirigenti per chiederne l’annullamento, o lo spostamento al di fuori dell’orario scolastico. Tutti i casi seguiti sinora sono andati a buon fine.
Messe sul luogo di lavoro: il caso Anas
Nel dicembre del 2008 giunge allo sportello soslaicita@Uaar.it una segnalazione circa la previsione dello svolgimento di una messa natalizia in orario di ufficio presso l’Anas di Bologna. L’Uaar diffida immediatamente l’amministrazione e, anche se non è mai pervenuta alcuna risposta ufficiale, il rito viene annullato “per rispetto di chi non crede e delle altre religioni” e negli anni successivi organizzato con modalità corrette.
Messe universitarie: il caso di Palermo
Nel marzo 2005 l’arcivescovo di Palermo, card. De Giorgi, aveva chiesto e ottenuto di organizzare una messa in orario di lezione presso la locale università. La richiesta del circolo Uaar di Palermo di organizzare un sit-in di protesta davanti all’aula magna viene negata dal questore, che permette solo un volantinaggio fuori dai cancelli dell’università; tuttavia, le pressioni Uaar sono comunque servite perché la messa viene annullata. Per la successive funzioni natalizie, svoltesi regolarmente, i partecipanti sono stati così obbligati al recupero del permesso.
Messe universitarie: il caso di Firenze
Nel novembre 2010 il rettore dell’Università di Firenze, Alberto Tesi, invia un messaggio al personale e agli studenti dell’Università di Firenze per comunicare che “in occasione della cerimonia d’inaugurazione dell’Anno Accademico 2010-2011 dell’Università degli Studi di Firenze, Sua Eccellenza Monsignor Claudio Maniago, Vescovo Ausiliare di Firenze, celebrerà la S. Messa per gli universitari venerdì 3 dicembre 2010 alle ore 9 presso il Battistero”, messaggio che si conclude con “Alla S. Messa sono invitati tutti i dipendenti e gli studenti dell’Università di Firenze”. In seguito è lo stesso rettore, dopo aver ricevuto dall’Uaar l’invito a specificare con quali modalità il personale dell’Università avrebbe partecipato alla ‘Messa per gli universitari’, a precisare con un fax inviatoci che lo avrebbero fatto “fuori dall’orario di servizio usufruendo degli istituti contrattualmente previsti quali flessibilità, permessi, ferie”.
Obiezione di coscienza: censura della campagna «Testa o croce? Non affidarti al caso» a Genova
Nel 2018 viene lanciata dall’Uaar la campagna “Testa o croce? Non affidarti al caso” per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla scelta di medici non obiettori. Nei manifesti della campagna sono affiancate le immagini di un medico in camice e con lo stetoscopio e di un sacerdote con la tonaca e una croce al collo, corredate dallo slogan «Testa o croce? # Non affidarti al caso» e l’invito «Chiedi subito al tuo medico se pratica qualche forma di obiezione di coscienza». Sebbene i manifesti della campagna compaiano senza obiezioni in diverse città (tra cui Ancona, Biella, Bologna, Cagliari, Palermo, Ragusa, Ravenna, Savona), il Comune di Genova all’inizio del 2019 decide di negare l’affissione sostenendo che vi sia «una possibile violazione di norme vigenti in riferimento alla protezione della coscienza individuale» e «al rispetto e tutela dovuti a ogni confessione religiosa». Curiosamente proprio il sindaco Marco Bucci aveva difeso, prima della partenza della campagna Uaar, l’affissione dei manifesti di un gruppo integralista anti-aborto che ritraevano un feto “parlante”, proclamando: «In questo Paese esiste la libertà di pensiero, quindi non penso proprio che lo toglieremo». L’Uaar ha quindi presentato ricorso dal Tar della Liguria, ottenendo una vittoria con sentenza del marzo del 2019. La decisione del Tribunale amministrativo regionale è stata però ribaltata qualche settimana dopo dal Consiglio di Stato, che ha accolto il ricorso del Comune. Lo stesso anno l’Uaar ha portato quindi il caso alla Corte europea dei diritti umani.
Ora di religione e ora alternativa: produzione e invio di diffide
La normativa vigente impone alle autorità scolastiche l’istituzione di insegnamenti alternativi a quello della religione cattolica. Anche in questo, capita purtroppo che alcuni istituti scolastici se ne dimentichino. In tali casi, quando ne viene a conoscenza, l’Uaar interviene presso i dirigenti per chiederne l’attivazione. Tutti i casi seguiti sinora sono andati a buon fine.
Ora di religione e ora alternativa: il caso di Padova
Una scuola primaria di Padova costringe una bambina, i cui genitori avevano optato per l’insegnamento alternativo, a restare in classe durante l’ora di religione; in seguito le concede di essere trasferita in altre classi parallele, continuando però a rifiutarsi di attivare le lezioni alternative. L’Uaar ha sostenuto fin da subito il caso; se una prima richiesta viene respinta, l’esito del ricorso è invece positivo: il tribunale di Padova, con un’ordinanza del 30 luglio 2010, ha definito tale comportamento «discriminatorio e illegittimo», condannando in solido a millecinquecento euro di risarcimento tanto l’Istituto quanto lo stesso Ministero.
Ora alternativa: tardiva attivazione
Nel gennaio 2013 l’Uaar presentò ricorso al Tar del Lazio contro la circolare ministeriale che, recependo le indicazioni dei vescovi, istituiva una discriminazione tra studenti al momento delle iscrizioni: l’ora di religione poteva essere scelta con mesi di anticipo (nel periodo delle iscrizioni) e di conseguenza attivata all’inizio dell’anno scolastico, quella alternativa poteva essere scelta solo ad anno scolastico già iniziato con conseguenti ritardi anche di mesi per la sua attivazione. Il 21 marzo 2013 il Tar respinse il ricorso d’urgenza: non negò l’evidenza, ma sostenne che il pericolo non era immediato perché le lezioni non sono erano ancora cominciate. Dopo sette anni il Tar dà ragione all’Uaar e torto al Ministero: con la sentenza del 9 ottobre 2020 stabilisce che «il rinvio della seconda opzione all’incipit dell’anno scolastico contrasta con la possibilità di tempestiva organizzazione ed idonea offerta delle attività alternative, con conseguente inizio ad anno scolastico ormai avviato e con soluzioni formative inadeguate o inesistenti che possono portare all’effettiva frustrazione del principio di non discriminazione per motivi religiosi e del diritto di insegnamento». La scelta delle attività alternative, così i giudici del Tar, «deve avvenire in tempi che garantiscano la tempestiva programmazione e l’avvio dell’attività didattiche secondo quanto richiesto dai principi di ragionevolezza e buon andamento».
Sbattezzo: il caso Franceschetti
Nel 1995 l’Uaar avviò una campagna per la “bonifica statistica” dei battezzati. Dopo aver verificato le risposte fumose ed evasive alle richieste di cancellazione ricevute dai parroci (quando si degnavano di rispondere), preferì spostare il confronto in sede giudiziaria. L’allora segretario Luciano Franceschetti intraprese un ricorso al Garante per la protezione dei dati personali, chiedendo di intervenire nei confronti della sua parrocchia, refrattaria alla cancellazione del battesimo. Secondo il provvedimento del Garante del 13 settembre 1999 non si può cancellare un battesimo, in quanto documenta un episodio storico effettivamente avvenuto: è però possibile, per chiunque lo desideri, far annotare la propria volontà di non appartenere più alla Chiesa cattolica. L’Uaar, incassato il parziale successo, ha comunque deciso di ricorrere al tribunale di Padova, che con il decreto del 29 maggio 2000 ha in sostanza confermato quanto statuito dal Garante, sancendo tuttavia che “è lo Stato che si riserva il potere di verificare se sussistano i presupposti per escludere il proprio intervento con riguardo agli atti dell’autorità ecclesiastica”.
Sbattezzo: altri casi significativi
L’esito del caso Franceschetti ha spinto l’Uaar a proseguire l’impegno giuridico sulla questione anche negli anni successivi, con lo scopo di allargare questo diritto all’intera popolazione italiana. Nel 2002 viene presentato e accolto il primo ricorso al Garante contro una parrocchia inadempiente, e nel 2003 viene presentato e accolto il ricorso al Garante contro la pretesa del Vicariato di Roma di chiedere al richiedente di presentarsi presso i suoi uffici “per dimostrare e controfirmare la sua richiesta in modo inequivoco”, sancendo l’illegittimità dell’obbligo di incontro vis à vis per dar seguito allo sbattezzo. Nel settembre 2006 un nuovo provvedimento del Garante ha permesso e permette a tutti coloro che non conoscono la parrocchia di battesimo (o che sono stati battezzati all’estero) di annotare le proprie volontà di non far più parte della Chiesa cattolica sull’atto di cresima. Del 2009 è invece il provvedimento con cui il Garante si è espresso sul primo, e probabilmente ultimo, caso di debaptismum: un cittadino che aveva fatto regolare domanda di sbattezzo si era infatti visto recapitare dalla parrocchia una lettera in latino (“quod adnotatio in registrum Baptizatorum huius Paroeciae hodie a me adscripta est”), mentre la legge stabilisce che la conferma dell’avvenuta annotazione debba essere redatta in modo chiaro e comprensibile. Infine, nel 2011 una lunga vicenda di un socio Uaar ha visto definitivamente sancito il diritto al risarcimento delle spese da parte della parrocchia, quando lo ‘sbattezzando’ è costretto a ricorrere al Garante in seguito all’ingiustificata indisponibilità a dar corso alla legittima richiesta.
Il caso Franceschetti ha sancito per le parrocchie l’obbligo di dar corso alla richiesta dello ‘sbattezzando’ presente nei loro registri. Nei casi in cui il parroco parrebbe non ricordarsi di tale obbligo, nemmeno dopo un sollecito inviato per conoscenza alla diocesi, l’Uaar fornisce ai cittadini che ne fanno richiesta una consulenza gratuita su come presentare ricorso davanti al Garante. Tutti i ricorsi presentati finora, se inoltrati contro la parrocchia dove effettivamente era stato amministrato il battesimo, si sono conclusi con esito positivo: tra il 2006 e il 2010 sono stati ben trentasette i casi di questo tipo trattati dal Garante.
Statue religiose nelle amministrazioni pubbliche: il caso Galvagno
L’ispettore della polizia municipale di Paternò (CT), Pietro Galvagno nel 2008 ha denunciato il proprio Comune, chiedendo la rimozione di tutte le immagini sacre (tra cui una statua della Madonna) presenti all’interno degli edifici pubblici. L’amministrazione comunale, nell’invitare il vigile a chiedere il trasferimento, ha difeso la presenza delle immagini religiose, a tutela “dei sentimenti cattolici della popolazione”. Il tribunale di Paternò ha stabilito il 20 gennaio 2008 che “qualsiasi simbolo religioso (di qualunque religione si tratti, non solo quella cattolica), qualora denoti un valore di civiltà, non risulta contrastare con i principi laici dello stato, giacché esso, lungi dal tradursi in una “dichiarazione collettiva di appartenenza ad una determinata religione”, non fa altro che sottolineare, in uno stato democratico e pluralista, il rispetto delle norme di vivere civile, senza in alcun modo contraddire o mettere in discussione la laicità del contesto o del luogo in cui il simbolo religioso stesso è collocato”. In seguito il ricorso è stato prima accolto dal tribunale di Catania, poi nuovamente respinto da quello stesso tribunale, per essere poi definitivamente bocciato dalla Corte di Cassazione il 7 luglio 2009. L’Uaar ha compartecipato alle spese per l’iniziativa legale.
Testamento biologico: il caso di Rimini
Nel novembre 2010 l’Uaar, l’associazione Luca Coscioni, Arrigo Bonnes (pastore della Chiesa valdese di Rimini) e Meris Celati (del Comitato Articolo 32) hanno presentato ricorso al Tar contro il sindaco di Rimini e la giunta comunale. Secondo i ricorrenti, l’amministrazione ha disatteso la richiesta sottoscritta da tanti cittadini riminesi per istituire un registro dei testamenti biologici, approvando un provvedimento che in realtà nega tale diritto.
Visite pastorali (e legittimità ad agire dell’Uaar): il caso del vescovo di Padova
Nell’ottobre 2007 il vescovo di Padova Antonio Mattiazzo aveva programmato un intero ciclo di visite pastorali in molteplici scuole della sua diocesi. L’Uaar ha diffidato i dirigenti scolastici dall’autorizzare lo svolgimento degli incontri, ma senza risultato: l’associazione è pertanto ricorsa al Tar del Veneto, che però ha incredibilmente bocciato la richiesta come inammissibile, “per carenza di legittimazione attiva dell’associazione ricorrente”, sostenendo in pratica che l’Uaar, benché sia un’associazione di promozione sociale riconosciuta dal ministero, non possa far valere le prerogative legali che la legge sulle associazioni di promozione sociale le riconosce, pur in assenza di precedenti simili. L’Uaar è stata inoltre condannata al pagamento della cifra esorbitante di 6.000 euro: anche in questo caso non risultano precedenti tanto onerosi. L’Uaar ha subito presentato ricorso al Consiglio di Stato, che si è espresso il 6 aprile 2010 con una decisione agrodolce. Dolce perchè secondo il Consiglio la sentenza del Tar del Veneto è “meritevole di censura” e l’Uaar possiede infatti “la capacità, ai sensi dell’art. 27 della legge citata, di promuovere azioni giurisdizionali a tutela dell’interesse dell’associazione, e quindi di “ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi lesivi degli interessi collettivi relativi alle finalità” generali perseguite dall’associazione”. Amara nella parte in cui per il CdS “non può riconoscersi un effetto discriminatorio nei confronti dei non appartenenti alla religione cattolica, dal momento che, indipendentemente dalla qualificazione contenuta nel codex iuris canonici, sottolineata dai ricorrenti e che ha invece valore limitato all’ordinamento al quale si riferisce, la visita programmata non può essere definita attività di culto”. Considerato l’esito di questa vicenda l’Uaar ha desistito dall’analoga iniziativa avviata presso il Tar toscano in merito a una visita pastorale del vescovo di Grosseto, ma ha comunque presentato ricorso contro la sentenza del Consiglio di Stato presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Vilipendio: il caso di Papozze
Nel 2009 a Papozze, in provincia di Rovigo, il referente provinciale dell’ Uaar Manlio Padovan fece affiggere sette manifesti a cura dell’associazione con la scritta “La cattiva notizia è che Dio non esiste. Quella buona, è che non ne hai bisogno”, dopo avere regolarmente pagato al Comune la prevista tassa e aver ottenuto il timbro di convalida da parte della polizia municipale. Tuttavia il 9 giugno, a seguito di segnalazione di alcuni residenti, le forze dell’ordine (due carabinieri e un operatore ecologico) entrarono in azione per tutelare il “sentimento religioso della zona” e i manifesti vennero defissi e sequestrati.
Nei confronti di Padovan venne quindi avviato un procedimento penale, promosso per i reati di cui all’art. 403 (Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone) e 404 (Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio o danneggiamento di cose) del Codice penale.
Passati mesi senza che le indagini preliminari venissero concluse entro i termini di legge (con l’esercizio dell’azione penale ovvero con la richiesta di archiviazione), i legali Uaar chiesero l’avocazione delle indagini al procuratore generale; richiesta però respinta perchè il procedimento non sarebbe rientrato tra quelli a trattazione prioritaria e la carenza di organico presso la procura di Rovigo avrebbe obblligato i sostituti procuratori a una costante presenza in aula.
Persistendo però l’inattività del Pm la seconda richiesta, seguita dalla richiesta del Pm di archiviazione è stata, a fine del 2012, accolta e si è conclusa la vicenda giudiziaria.
Vanno sottolineate però le motivazioni che hanno portato il pm Ciro Savino a richiedere l’archiviazione. Con riferimento all’art. 404 afferma che non si è realizzata la condotta, essendo mancato il vilipendio delle cose, mentre in relazione all’art. 403, si sottolinea la mancanza dell’elemento soggettivo: i manifesti avevano quindi “un indubbio contenuto offensivo nei confronti della popolazione di Papozze di culto cattolico”, ma “può ammettersi (in dubio pro reo) che egli si sia voluto limitare a diffondere il proprio pensiero, sebbene la frase, provocatoria, abbia poi comunque offeso i cattolici abitanti di Papozze”. In poche parole, è soltanto perché non è provabile che Padovan (e quindi l’Uaar) volesse offendere i cattolici che si è risparmiato una condanna penale.
SOS Laicità
Infine, si ricorda che attraverso lo sportello informatico soslaicita@uaar.it l’Uaar presta da anni una consulenza quotidiana, gratuita e confidenziale ai cittadini vittime o testimoni di prevaricazioni religiose o di violazioni della laicità dello Stato.