Bergoglio e Boff: due svolte ambientaliste a confronto

di Stefano Marullo

 

Si è, come di consueto, molto parlato della cosiddetta svolta bergogliana contro l’antropocentrismo sancita con l’ultima enciclica sull’ambiente Laudato si’ (su cui scrive con il solito acume anche Enrica Rota su questo numero de L’Ateo e alle cui considerazioni si rimanda). Certa terminologia, in effetti, è abbastanza inedita in ambito cattolico nei documenti ufficiali. Ci si riferisce, in particolare, all’espressione contenuta nell’enciclica suddetta che recita: «Mossi da una spiritualità orientata alla conversione ecologica».

Diversi mesi addietro, il cardinale Parolin, intervenendo al Summit ONU sul clima (settembre 2014) aveva usato termini che richiamavano la responsabilità delle nazioni riguardo al pianeta. Il messaggio per la 10a Giornata per la custodia del creato (1° settembre 2015) era dello stesso tenore. Un ottimo viatico in vista del vertice di Parigi delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si svolge dal 30 novembre all’11 dicembre mentre noi andiamo in stampa. Si tratta, a ben vedere, di uno scostamento di non poco conto rispetto alla tradizione cattolica prevalente laddove, a partire dai Padri della Chiesa e con il suo apice durante il cristianesimo medievale, non si è mancato di sottolineare una concezione degradata della natura, una vera svalutazione del cosmo e del creato che, forte di riferimenti biblici che vanno dalla Genesi fino a san Paolo, ha voluto in tal modo esaltare il valore redentivo dell’incarnazione di Gesù Cristo.

Ma ancora non molto tempo fa, il Magistero ecclesiastico si esprimeva con toni molto diversi. Alla fine, infatti, del seminario internazionale promosso in Vaticano dal Pontificio consiglio della Giustizia e della Pace sui temi ambientali, alla presenza di esponenti del mondo scientifico e della politica, svoltosi il 26 e 27 settembre 2007, il presidente cardinale Martino scriveva nelle Conclusioni:

La natura è per l’uomo e l’uomo è per Dio […]. L’uomo ha una indiscussa superiorità sul creato e, in virtù del suo essere persona dotata di un’anima immortale, non può essere equiparato agli altri esseri viventi, né tantomeno considerato un elemento di disturbo dell’equilibrio ecologico naturalistico […] Nella considerazione delle problematiche connesse ai cambiamenti climatici, si deve riconoscere che la dottrina sociale della Chiesa deve fare i conti con molte odierne forme di idolatria della natura che perdono di vista l’uomo.

Ennesima svolta bergogliana dunque o più presumibilmente solita camaleontica mimetizzazione dei vertici della Chiesa Cattolica sempre bravi a fiutare l’aria che tira? Perché in fondo la perdurante ostilità di Romana Chiesa verso l’ecologismo, che in taluni ambienti fondamentalisti, dai teocon americani ai fanaticelli di casa nostra (Radio Maria) raggiungono toni parossistici, non nasconde forse la preoccupazione di vedere in un eccessivo interventismo delle nazioni, la messa in discussione dei soliti tabù (controllo delle nascite, contraccezione ed aborto, educazione sessuale) sui quali ancora molto timido appare il papa rivoluzionario?

Meno nota, forse, la svolta ambientalista che ha interessato uno dei più celebri protagonisti dello scontro che, negli anni Ottanta del secolo scorso, ha visto da una parte il Vaticano e dall’altra la teologia della liberazione: Leonardo Boff. La sua teologia liberazionista nel corso degli anni, e in particolare, dopo la sua riduzione allo stato laicale, ha subito un vero e proprio processo di meticciato incontrandosi sia con il pluralismo religioso sia con l’ecologismo militante. Della sua vasta produzione, il libro Ecologia – Grito da terra, grito dos pobres, del 1995 segna una tappa decisiva verso la nuova prospettiva critica che fa appello ad uno sviluppo sostenibile e per questo ha incontrato il favore dei movimenti terzomondisti e dei forum sociali (dove Boff è stato lungamente di casa e arringatore di folle).

È però in una serie di articoli pubblicati sulla rivista Concilium che Boff ha chiarito in modo inequivocabile il superamento non solo dell’antropocentrismo ma finanche del cristocentrismo riguardo al cosmo, alla natura, alla libertà umana, con toni inediti e, per certi versi, clamorosi. Partendo dal processo di globalizzazione non solo come fenomeno economico e finanziario ma anche come una fase nuova per la terra e l’umanità, all’insegna dell’apertura dei vari sistemi di valori, tradizioni e saperi, Boff arriva ad auspicare che anche il cristianesimo si spogli dei suoi limiti spazio-temporali non essendo «un fossile pietrificato nelle sue formulazioni dottrinali e nelle sue espressioni storiche». La dimensione cosmica di Cristo, colta attraverso alcuni passaggi delle lettere paoline ai Colossesi e agli Efesini diventa una sorta di nuovo paradigma: la creazione stessa assurge a forma di auto-manifestazione di Dio. Non più una creazione a perdere, decaduta dalla quale strappare l’uomo affinché non sia travolto dal peccato ma una interdipendenza tra creato e creatura. Sullo sfondo l’elemento che Boff chiama cristico, evocazione del Cristo cosmico che in Gesù di Nazaret raggiunge una manifestazione eccellente ma non ne esaurisce la forza e la complessità. Questo elemento, per Boff, è presente in molteplici figure storiche, ma anche «in ciascun essere, nella materia, nel mondo subatomico e nelle energie primordiali». La creazione torna a Dio perché ne è imbevuta (unta); per questo è sacra.

Delle due svolte olistiche, quella di Bergoglio appare distonica rispetto alla tradizione e da mettere al vaglio dei fatti. Quella di Boff sembra invece più coerente: la teologia della liberazione che si estende dall’uomo all’universo, a quella creazione che, in attesa della universale redenzione, ancora «geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto», come scriveva Paolo di Tarso ai Romani.

Da L’ATEO 6/2015