di Laura Balbo e Valentina Mutti
Nella fase attuale ci si confronta, in tutti gli ambiti del nostro vivere, con processi di cambiamento. Assai utile dunque il sondaggio che ha raccolto dati relativi al passaggio, in Italia, da una società fortemente segnata dalle tradizioni (e dalle istituzioni) della religione cattolica a una società “laica”: certo un tema di grande interesse. Si tratta di una rilevazione Doxa (commissionata dall’UAAR) e condotta nel gennaio 2014 su un campione di 2.016 casi. Ci si è proposti di contribuire a mettere in luce, con rilevazioni statistiche, aspetti e caratteristiche della fase che stiamo attraversando.
E però, partendo dai numeri, si tratta di guardare anche alle “parole” con le quali si descrive questo complesso scenario; e di collegare “praticanti” e “non praticanti”, “credenti” e “non credenti” alla dimensione della “laicità”. In una fase storica che definiamo con i termini “modernità” (anche, “post-modernità”) questo è il dato sociale da mettere al centro: dunque definirlo, analizzarlo. Guardare ai molteplici fattori che incidono sui comportamenti (e sulla consapevolezza, le scelte) di coloro che vivono radicali cambiamenti nella società e nella cultura di cui sono parte: questa, la chiave di lettura che proponiamo, portando particolare attenzione a due tratti molto rilevanti del momento che stiamo vivendo.
Il primo, messo in luce da un crescente numero di dati e di analisi, mostra come in Italia le molte “pratiche” e la “cultura” tradizionalmente riferite alla religione cattolica riguardino settori sempre più ridotti della popolazione. Per molti, non più il matrimonio nel senso tradizionale (o comunque ci si sposa dopo lunghi periodi di convivenza); alti i numeri che registrano separazioni, divorzi, convivenze. In diminuzione anche pratiche che hanno una tradizione consolidata (come alcuni sacramenti, o i numeri di scolari dell’“ora di religione”). E non si può non guardare alle scelte di vita, fino a poco tempo addietro tenute nascoste e considerate devianti, oggi portate all’attenzione dai media, menzionate in programmi politici, celebrate anche in occasioni pubbliche di grande visibilità (in molte città italiane diverse edizioni del Gay Pride).
L’altro aspetto al quale — per il suo evidente peso, per cambiamenti in atto e per tendenze per il futuro — va portata grande attenzione è l’impatto di un Papa che ha modificato e continua a modificare pratiche, e anche riferimenti e insegnamenti, propri del cattolicesimo tradizionale. Fortissimi, in tutto il mondo, rispetto e interesse per il suo attivismo, le iniziative e le proposte: tutte di forte innovazione. Ci troviamo di fronte a un modo radicalmente nuovo di definire l’esperienza religiosa: che certo porta molti a confrontarsi con le proprie scelte in termini più consapevoli e a riconsiderare con attenzione e impegno anche pratiche della vita quotidiana. Una fase dunque che può registrare dati di crescita relativamente ai “credenti” e ai “praticanti”, introducendo però definizioni nuove dei comportamenti (e delle stesse parole che si utilizzano). La stessa fase di crisi economica potrebbe far pensare a un riavvicinamento alla dimensione spirituale, sempre però con modalità nuove da indagare. Non ultimo, va considerata la crescente presenza nelle chiese dei migranti, soprattutto delle comunità tradizionalmente cattoliche (filippina, sudamericane), che a volte sono stati reclutati nel loro percorso migratorio dalle stesse reti cattoliche e ora diventano nuovi attori con cui confrontarsi.
Tutto questo richiede attenzione. Qui ci si propone di considerare appunto in questa prospettiva i dati rilevati nel sondaggio.
Forse nella società italiana si realizzano un’apertura, e un percorso, verso una cultura che si allontana da quella fino a pochi decenni addietro attribuita alla maggioranza della popolazione (e più o meno tacitamente condivisa, con poche, e scarsamente visibili, eccezioni). Siamo dunque a un passaggio di forte rilevanza, e l’attenzione si sposta: certe scelte e comportamenti che distinguono “praticanti” e “non praticanti”, “credenti” e “non credenti”: e però al centro l’ambito, e i soggetti, della laicità. Dal sondaggio Doxa risulta che per molti scegliere di definirsi “credenti” appare come scontato.
Un quadro complessivo di forte presenza di tratti e posizioni “tradizionali”. Dunque si dovrebbe concludere che una parte consistente della popolazione nemmeno li percepisce, e certo non vive, i processi del cambiamento. E però non ci si può limitare a questo modo di leggerli, i dati. L’altra prospettiva che appare utile proporre è portare l’attenzione su quei soggetti (certo, sulla base dei numeri, una minoranza) che sono attivi, consapevoli e impegnati a cambiare; e mettere appunto in luce gli aspetti di questa fase “di passaggio”.
Il quadro dei dati rilevati conferma come la nostra sia una società che ha tratti non omogenei: si ritrovano aspetti che da sempre distinguono il “Nord” e il “Mezzogiorno”; e i dati riferiti alla “dimensione di genere” non segnalano in nessun modo le trasformazioni che pure sappiamo essere un tratto significativo del contesto attuale. Naturalmente emerge il peso della popolazione “anziana”, dunque di quelli che sono cresciuti in fasi e contesti culturali in nessun modo segnati da prospettive di cambiamento.
Certo, i numeri segnalano una presenza di figure aderenti a valori e comportamenti che si ereditano e che non ci si propone di cambiare. Significativo in questa direzione il dato secondo cui il 61% dei non credenti battezza o farebbe battezzare un proprio figlio: contraddizioni apparenti, che segnalano ancora una volta come l’appartenenza religiosa non sia una ligia osservazione di precetti, ma un insieme di scelte, dettate di volta in volta da ciò che pare dare un senso al contesto in cui si vive.
Però chiediamoci se insistere su questo, parlando della nostra società in questa fase, sia una chiave adeguata. O se non sia utile portare l’attenzione su soggetti, sedi, occasioni, che costituiscono segnali del cambiamento: in una fase che da ogni parte viene descritta come segnata da vicende pesanti, ma capaci di portare a confronti, esperienze nuove, pressioni a cambiare.
Proprio quelle fino ad ora viste (e vissute, anche) come condizioni minoritarie, marginali anche, vanno messe al centro della “lettura” attuale. Sono questi (in parte, almeno) la componente più visibile e attiva del mondo laico e anche di quello cattolico: ci si può per esempio domandare quanto coloro che si definiscono credenti aderiscano alla morale cattolica sui temi legati alla sessualità e alla riproduzione (in primis, la contraccezione); quanto gli oratori di tutti i quartieri siano scelti dalle famiglie desiderose di veicolare una serie di valori religiosi oppure, come una ricerca in corso mostra, sia una scelta dettata dai costi competitivi che questi centri di aggregazione hanno rispetto alle società sportive o altri luoghi di attività extrascolastiche. Infine, quanto peso abbiano la “militanza” e l’impegno all’interno di movimenti legati alla Chiesa quali l’Azione Cattolica, Comunione e Liberazione, il mondo del volontariato legato alle parrocchie e ai territori.
Definirsi, e collocarsi come “laici”, nelle tante situazioni del vivere, implica percorsi complessi di elaborazione e ridefinizione. Si riconosce di essere in molte situazioni tenuti, e autorizzati anche, a scegliere, a decidere. A riconsiderare ed elaborare anche posizioni che fino a poco tempo fa non si vedevano come direttamente collegate con il proprio vivere. C’erano tradizioni, istituzioni e pratiche di educazione e formazione date per scontate, e una cultura comune. Tutto questo certo, non riguarda soltanto la religione cattolica: si parla di esperienze che vanno in questa direzione anche nel mondo musulmano (Paul Cliteur, La visione laica del mondo, Nessun Dogma 2013, pp. 267-275).
I numeri di coloro che si definiscono “non credenti”, che hanno già elaborato le decisioni e i passaggi delle loro esperienze di vita, riflettono una parte della popolazione consapevole e attiva in percorsi di cambiamento e in scelte di natura politica, come riflette il dato secondo cui il 54% del campione è in disaccordo sul pagamento degli insegnanti di religione da parte dello Stato.
In questo, come in altri ambiti, molte le esperienze che sollecitano a cogliere la disponibilità al cambiamento.
Se l’indagine chiede ai soggetti intervistati in che misura i dogmi della Chiesa cattolica influenzino la vita quotidiana delle persone e la propria, possiamo considerare la laicità e l’appartenenza religiosa come polarità non necessariamente opposte e radicalizzate: piuttosto, in un contesto di cambiamento, guardiamo alla creazione di identità multiple, in una dinamica mutevole che cambia con i passaggi generazionali e si nutre di materialità, luoghi ed oggetti più che di valori e precetti rigidamente fissati.
Laura Balbo è presidente onoraria dell’UAAR, docente di sociologia in varie università, presidente dell’Associazione Italiana di Sociologia, parlamentare della Sinistra Indipendente e, per un breve periodo, ministro delle Pari Opportunità.
Valentina Mutti, dopo la Laurea in Sociologia e il Dottorato di ricerca in Antropologia culturale conseguiti presso l’Università di Milano Bicocca è stata consulente per diversi enti, tra cui la Fondazione Unidea, Unicef Madagascar e l’Associazione Milano ODD. S’interessa di studi di genere, antropologia dell’educazione e tematiche migratorie.
Da L’ATEO 5/2014