di Carmelo R. Viola
La caratteristica psicodinamica (comportamentale) del clericale (come, del resto, di qualunque persona fede-dipendente) è quella di volere, anche senza rendersene conto, dominare i suoi simili ripetendo su di loro l’abuso che su di essi è stato, ed è continuamente consumato da parte di coloro che essi ritengono depositari o interpreti di verità «rassicuranti» (per es., sull’esistenza di un Dio, creatore della vita, e sulle devozioni da seguire per meritarne la protezione). Il fatto ci riporta ai primordi della storia, a parametri tribali secondo i quali lo stregone, l’illuminato (da Dio), il santone, poi il «messia» (o unto) costituiscono l’anello di congiunzione fra l’esistenza e l’essere, fra la terra e il cielo, intendendo per terra la realtà immediata e contingente dell’uomo, e per cielo l’onnipotenza eterna di Dio.
È davvero preoccupante - come giustamente diceva Eugenio Scalfari al Pinocchio di Rai Due - che questo avvenga ancora, perché quando la mentalità clericale avanza la civiltà arretra. Come sta avvenendo, purtroppo, nella nostra bella «patria del diritto».
Il discorso degli oppositori - clericali appunto - alla cosiddetta procreazione «eterologa» - è un’antologia di sofismi, vecchi e nuovi, sempre ipocriti, che non è difficile confutare anche se formulati con la dialettica di un Rocco Buttiglione, sicuro di rivolgersi ad un uditorio non sempre bene informato e comunque non sempre capace di cogliere - e colpire - alle radici i marchingegni verbali delle menzogne (del potere fine a sé stesso). Tra gli antagonisti di quel dibattito erano Gianni Vattimo e Lucio Colletti che, dell’antico piglio di marxista convinto, ha conservato almeno una parte dello spirito laico.
Il sofisma della coscienza. Decidere secondo coscienza, prof. Buttiglione, è un suo sacrosanto diritto (che io, irriducibilmente laico, sono disposto a difendere con animo volterriano) ma decidere solo per sé è un suo dovere. S’intende nel caso in questione. Lei, invece, pretende d’imporre a tutti gli altri la sua scelta attraverso l’obbligatorietà giuridica, cioè l’imperio della legge. Sta qui il carattere violento-repressivo di quella morale (cattolica) che nei secoli ha torturato e bruciato migliaia d’innocenti, per punirli di non professare la fede degli inquisitori. È la stessa morale che vorrebbe ancora impedire a due coniugi di sciogliere la loro unione e alla donna di rifiutare, sùbito dopo il concepimento, il frutto del concepimento stesso. È la stessa morale, cieca, fanatica e liberticida, che vuole ancora impedire alla donna di gestire il proprio potere procreativo, che è una prerogativa della natura e non una concessione di Stato.
Non vale dire, come fa ancora il Buttiglione, che ogni divieto, anche se giusto, come quello del semaforo rosso, limiti la libertà, anche se questo può essere vero. Nella realtà, il divieto giusto sostiene la libertà - parliamo della libertà umana - la quale non consiste nell’agire secondo istinto (come l’animale) ma nel (potere) fare, consapevolmente e responsabilmente, ciò che è necessario per il bene comune. Senza tale condizione la libertà umana non ha senso. Ben venga il divieto, se è davvero utile al bene. Il divieto del semaforo rosso è finalizzato ad un bene pubblico, ma quello, del tutto arbitrario, in fatto di rapporti affettivi, sessuali e procreativi, limita un bene privato che è la facoltà di disporre della propria affettività, sessualità e potere procreativo, anche se ciò può non piacere a qualcuno.
Il sofisma della «difesa del nascituro». Ricordiamo che stiamo parlando di coppie extralegali sterili, o comunque di donne sterili, che desiderano avere un bambino utilizzando l’apporto non cromosomico di una seconda donna, fertile, ovvero ricorrendo ad una specie di «reagente concezionale» senza togliere nulla a nessuno, senza arrecare danno ad alcuno. È stato ripetuto dagli specialisti che non esiste una doppia paternità. Inoltre, nel nostro caso, non esiste ancora un nascituro, ma un possibile futuro nascituro alla cui realizzazione l’apporto (eterologo, come si dice) è finalizzato.
Si noti la particolare virulenza del sofisma che fa assurgere a soggetto-prìncipe il pre-nascituro, mentre il nato verrà puntualmente degradato a soggetto passivo come privo di diritti. Infatti, sul piano dell’educazione (sempre secondo la detta morale) contano solo le preferenze, anche se religiose, degli adulti, che rivendicano il diritto d’infonderle ai figli. Vedere l’imperversante battaglia per la cosiddetta «parità scolastica» ovvero per far valere la volontà genitoriale di sottoporre i loro rampolli all’insulto della catechesi, che (anche se solo ideologica) è di fatto il sequestro preventivo della ragione dei minori, e che non tiene conto degli effettivi bisogni di questi, che vorrebbero certamente diventare e restare solo sé stessi, padroni della propria autonomia critica e non essere confezionati come cattolici, o musulmani o giudaici, o quant’altro. Sul piano economico è ancora peggio: costoro si preoccupano perché il feto nasca comunque (vedi lotta indiscriminata contro l’aborto), nulla importando se ciò avvenga in un sistema economico strutturalmente iniquo. Infatti, c’è chi nasce straricco e c’è chi nasce in totale indigenza. Questo ci conferma che il fine del potere clericale non è il bene, ma quello di esercitarsi sulle masse anche attraverso la gestione degli uteri.
Il sofisma della «famiglia stabile». Il nascituro - dicono - ha bisogno di una famiglia stabile, la quale - aggiungono - non può essere rappresentata da individui soli, da conviventi more uxorio o da coppie omosessuali. Noi, per contro, diciamo che ciò di cui ha bisogno - e quindi diritto - ogni progetto di vita (quale è il feto) è, senza dubbio, un ambiente il più possibile sano e favorevole alla crescita e alla maturazione - proprio come un seme vegetale, di un humus ottimale; ma che tale ambiente sia costituito soltanto da genitori cattolicamente sposati è un’affermazione priva di qualsiasi fondamento biologico e quindi scientifico. La compagine coniugale di tipo cattolico è uno strumento classico del potere clericale, uno strumento sessuofobico forzatamente assurto a costume, il quale ha provocato i più gravi danni civili degli ultimi due millenni e che, in ogni caso, da solo non dà alcuna garanzia di stabilità, come ci provano ampiamente esperienze e fatti di tutti i giorni. Infatti, la sessualità umana - lungi dall’essere unicamente procreativa - è così varia, che la formula monogamica e indissolubile è solamente una riduzione teorica, arbitraria e astratta dalla realtà nella quale non un solo individuo rimane «fedele», anche solo con la mente, ad una sola persona! La stabilità affettiva, relativa, può venire solo da un’intesa esistenziale fra i componenti il nucleo tutore, nonché dalle buone condizioni materiali, che presuppongono un’economia di tipo mutualistico.
In questo nuovo scontro con la risacca clericale risalta la carenza del concetto del vero diritto, purtroppo anche, almeno formalmente, sul fronte laico; il che rende difficile un’impostazione preventiva del problema su basi oggettive, al di sopra delle convinzioni e preferenze personali. Non è certo opinione di chi scrive che il diritto, essenziale, non deriva dalla legge, ma dalla natura ovvero dal bisogno biologico. Ho fame, ergo, ho diritto di mangiare. Anche se con motivazioni di ordine teologico, cioè di presunta genesi del potere, non si può tuttavia non tenere conto che la Chiesa è una sostenitrice del diritto naturale. Se non ci fossero i bisogni biologici (naturali), non ci sarebbe nemmeno bisogno di leggi. La legge, pertanto, non fa che regolare ciò che le preesiste (donde la distinzione e insieme l’interazione fra diritto naturale e diritto positivo).
Cadono nel grottesco quei clericali che insistono sul concetto di famiglia, a loro parere, stabilito dalla carta costituzionale (e che ricalcherebbe quello cattolico), in un momento in cui si parla di riforme istituzionali (e quindi costituzionali), come se quella «carta» non fosse un codice convenzionale e, per l’appunto, revisionabile, ma fosse invece (perché loro conveniente nel caso specifico) un «decalogo calato dal cielo». Nel caso in questione, come in quelli del divorzio e dell’aborto, non si tratta di fare assurgere la volontà di una maggioranza a legge impositiva per tutti, ma di stabilire in che modo ognuno possa scegliere una soluzione cònsona alla propria situazione, senza impedire ad altri di fare la stessa cosa e senza usare violenza contro chicchessia.
Il confine fra «medioevo» e civiltà adulta ci è indicato proprio dalla concezione del diritto. Il medioevo resiste nella misura in cui il pubblico potere pretende di «partorire» il diritto (il nazismo sapeva e decideva chi aveva diritto di vivere e chi no); la maturità comincia laddove il potere si limita a legiferare sui diritti naturali che preesistono ad esso. I diritti naturali si scoprono per compatibilità reciproca.
La procreazione eterologa è una delle maggiori conquiste attuali della biogenetica ed è perfettamente compatibile con la bioetica (costruita appunto sui diritti naturali intercompatibili) e non solo perché il materiale fisiologico dell’apporto non contiene DNA, ma anche perché al… prenascituro non gliene importa proprio un bel niente della sintesi dei fattori che ne faranno una persona reale. In un mondo in cui mostri generano liberamente dei mostri, anche solo tendenziali, dovremmo essere contenti della possibilità di scegliere un contributo selezionato per i nostri eredi.
La nuova biogenetica consentirà a donne sterili, qualunque sia la loro sessualità e la loro condizione relazionale, di tentare di diventare madri, se lo vorranno. Nessuno potrà mai costringere le buone cattoliche «alla Buttiglione» a fare altrettanto.
Mettere ai voti il divieto dell’esercizio di un diritto che preesiste alla legge è, paradossalmente, un atto antiparlamentare, insomma antidemocratico. È la pretesa di codificare la volontà e gli interessi dei più forti, di voler legiferare su tutto, il che snatura uno dei poteri dello Stato, mentre sommerge il paese di leggi inutili o assurde. Non è da escludere - e ce lo auguriamo - che in extremis si faccia ricorso ad un ennesimo referendum, per l’ennesima sconfitta del medioevo clericale.