di Mario Alighiero Manacorda
«Es waren schöne, glänzende Zeiten…»: erano belli, splendidi tempi (quelli del Medioevo!), in cui l’Europa era una terra cristiana, un solo capo supremo dirigeva e unificava le grandi forze politiche tramite un clero ovunque onorato, e un’infantile fiducia legava gli uomini ai suoi messaggi. Con questa appassionata rievocazione del Medio Evo come di una età dell’oro, cominciava nel 1799 l’ispirato pamphlet del giovanetto poeta Novalis, intitolato Cristianità o Europa. Nel pieno clamore della grande rivoluzione e della seconda coalizione, lanciava così il primo manifesto, antiilluministico e antirivoluzionario, del Romanticismo cattolico, la bandiera ideale della Santa Alleanza e della Restaurazione in Europa.
Oggi, nel 2002, al momento dell’insediarsi della Convenzione che dovrà redigere il testo della futura Costituzione dell’Unione europea, il meno giovane e meno poetico ma altrettanto nostalgico ex-presidente della Repubblica italiana, Francesco Cossiga, impugna la penna e scrive al presidente della Convenzione, Giscard d’Estaing, per ricordargli che «le radici storiche [d’Europa], che sono poi essenzialmente quelle umanistiche e cristiane, risalgono al Natale dell’800, quando Carlo Magno venne incoronato dal Papa primo sovrano e imperatore».
Vero o non vero che il Medio Evo sia stato un’età dell’oro? Vero o non vero che l’Europa abbia radici cristiane, da riproporre oggi a tutti, anche a chi cristiano non è, o, almeno, non vuole esserlo al modo di Novalis e di Cossiga?
Per verifica partiamo anche da un assunto più recente di quello di Novalis, dell’Italia di oggi, spina nel fianco della nascente Europa e sede mondiale della dominante religione cattolica. Penso a una dichiarazione del Concordato, versione craxiana 1984: “I principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano” (9,2), che possiamo estendere alla nascente Europa, così parafransandolo: “I principi del cristianesimo fanno parte del patrimonio storico dei popoli europei”. Vero o non vero?
Possiamo tranquillamente rispondere che sì, è vero: il cristianesimo, coi suoi principi e con la pratica di vita che ad essi si è ispirata o ha finto di ispirarsi, fa parte del patrimonio storico italiano ed anche europeo. Ma con ciò? Quante altre tradizioni ne fanno parte? E che cosa è stato questo cristianesimo? E non ne fa parte anche la resistenza al cattolicesimo, al cristianesimo e, soprattutto, al papato romano?
Ma domandiamoci ancora: l’Europa non ha forse nulla da temere per l’introduzione nella sua Comunità di una legislazione nazionale, come quella italiana col suo osceno concordato, che potrebbe agire come un cavallo di Troia e costituire un pericoloso precedente? Certo, di concordati la Chiesa cattolica, ovvero la Santa Sede, ne ha anche con altri Stati (eh, già: colpa di Napoleone, che li ha reinventati): e il rischio è che la religione, da cosa delle coscienze, libere ciascuna in sé, e uguali tutte nell’ambito dello Stato come multiformi espressioni delle coscienze dei cittadini, torni a configurarsi come un potere, questo sì medievale, sulle coscienze. Per secoli, nella storia europea, questo potere si è affiancato o contrapposto a quello dello Stato, ora in posizione subalterna, come nelle Chiese nazionali o nelle monarchie assolute, ora in posizione dominante. Deve davvero continuare ad esistere come tale?
Si pensi alle possibili conseguenze del nostro Concordato trasportate in Europa, dove i cittadini dovrebbero poter viaggiare, soggiornare, lavorare, studiare e insomma vivere, godendo di uguali libertà. Ma quale eguaglianza e quale libertà, se soggiornando nel nostro paese sarebbero soggetti ai vincoli concordatari? Ad esempio, avendo a che fare con una questura o un tribunale o una scuola in cui trionfa l’insegna di un crocifisso, di quali garanzie godrebbe un cittadino europeo? Il dover sottostare nelle sedi di queste istituzioni statali all’esposizione del simbolo cattolico presuppone una legge, o una sua applicazione, ad esso ispirata, E che ne sarebbe dell’Europa e delle sue libertà? Sorvolando qui su le tante angherie legali e amministrative, spesso anticostituzionali, che noi subiamo in Italia per il Concordato, ne additiamo una piccolissima ma altamente “simbolica”. Si tratta di un piccolo, odioso costume italiano, cominciato da alcuni presidenti della Repubblica e confermato, come si è visto in Tv il 10 gennaio 2002, dall’attuale presidente Ciampi: il collocare nelle cerimonie ufficiali, a fianco dello stesso Presidente non, come si era sempre fatto, le più alte cariche dello Stato, cioè i due presidenti del Senato, a destra, e della Repubblica, a sinistra; ma, guarda caso a destra, il cardinale presidente della Commissione episcopale italiana, assurto così a seconda carica dello Stato italiano. Al cerimoniale dello Stato si è sostituita la liturgia della Chiesa: ai distratti e agli smemorati può sembrar niente; ma ricorderò che per la Chiesa cattolica il cerimoniale ha un valore di liturgia, e che la liturgia raffigura la teologia, e che così liturgia cattolica viene proposta nelle alte sedi dello Stato. Ci si deve aspettare forse che anche nelle future cerimonie ufficiali della costituenda Europa, si debba vedere alla destra del suo eventuale presidente il rappresentante di questa o quella religione cristiana? Ciò segnerebbe non la libertà né l’unità d’Europa, ma i suoi confessionalismi e le sue divisioni.
Nel lontano momento storico in cui la comunità cristiana si costituì come “chiesa” di potere legata al potere, l’antica Roma imperiale le ha reso un grande servizio, offrendole, insieme con l’alleanza, non solo una sede prestigiosa bell’e pronta, ma anche la forma e la struttura di un potere autocratico: e questo servì, cosa nuova allora, al dominio non solo sui comportamenti ma anche sulle coscienze dei sudditi. Da allora la storia d’Europa è stata, sì, nel Medioevo e poi, la storia del cristianesimo (soprattutto di quello cattolico): e non sono davvero stati tempi splendidi e belli. Ma è stata anche e soprattutto la storia di una lotta secolare per liberarsi da questo cristianesimo come potere sulle coscienze: una battaglia non ancora vinta. Poi un servizio maggiore di quello dell’antica Roma, ma rovesciato, lo ha reso involontariamente alla Chiesa cattolica il nostro Risorgimento, quando, abbattendo lo Stato pontificio, l’ha liberata dalla trista presenza, e quasi dalla memoria, di un governo che era una vergogna in tutto il mondo. Fatto sta che, paradossalmente, questo giova oggi alla Chiesa che può presentarsi come paladina degli ideali che allora negava. Il Sillabo del 1864 citava, condannandola con anatema, l’affermazione che “Il Romano Pontefice può e deve col progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà venire a patti e conciliazione” (X, 80): oggi papa Wojtyla si fa candidamente annunciatore, a parole, di quelle stesse idee di progresso, liberalismo e moderna civiltà, che la sua Chiesa ha così solennemente condannato. È la stessa disinvoltura con cui, dopo avere affermato nel suo nuovo Catechismo “il diritto e il dovere degli Stati di infliggere la pena di morte”, finge oggi di avere inventata lui la sua abolizione.
Cossiga chiede che nel preambolo della Costituzione europea «si accetti come suo fondamento la civiltà religiosa ed etica europea, quella giudeo-cristiana, e si riconoscano … le sue radici nel Cristianesimo». Già: ma quale cristianesimo? Quello suo, che “rifiuta ogni volgare laicismo di bassa lega, che non è poi altro che una forma presuntuosa di ignoranza”? O quello del papato romano? Su questa base non si fa l’Europa, ma si riprospettano le sue millenarie e sanguinose guerre di religione. C’è piuttosto da rifiutare ogni religiosità come la sua, intollerante e di bassa lega, ed auspicare la piena laicità o, se la parola fa paura, la neutralità dello Stato nei riguardi delle coscienze dei cittadini.
Questo come prospettiva politica. Nella battaglia delle idee liberalismo, ateismo, materialismo ecc. hanno le loro buone ragioni da sostenere, e fanno bene a sostenerle: ma una cosa è la battaglia culturale, altra la battaglia politica. In sede politica è assurdo contrapporre materialismo a spiritualismo, ateismo a religiosità: con la contrapposizione frontale non si arriva da nessuna parte. Liberalismo, ateismo ecc. non disponendo di altrettanto potere quanto la religione, hanno più probabilità di saper rappresentare l’esigenza comune di libertà e convivenza civile: la forza politica non sta nell’essere materialisti, bensì nell’essere tolleranti, laici, nel battersi per la convivenza (o la compresenza, come diceva Aldo Capitini) di tutte le opinioni. L’importante non è tanto in che cosa uno crede, quanto il modo in cui crede. Si può essere religiosi, e tuttavia contrari a ogni imposizione della propria fede come l’unica verità; e si può essere atei, irreligiosi, antireligiosi, e tuttavia convinti che questa sia l’unica verità possibile, da imporre agli altri. In questo caso chi è più laico e democratico?
In sede politica la battaglia non è contro la religione in quanto manifestazione della coscienza; è contro la religione in quanto potere, alla Cossiga o alla Wojtyla. Una religione trasformata in chiesa, col clero al di sopra dei laici, col dogma da imporre, con l’alleanza con un potere politico pronto a ogni servilismo, è quanto di peggio si possa auspicare. Speriamo non capiti all’Europa: adoperiamoci perché non capiti.