di Giorgio Villella
Nell’anno 1987, in una pizzeria di Padova, alcuni amici si lamentavano del nuovo concordato di Craxi: era stata abolita formalmente la religione di Stato, ma in pratica si era lasciato tutto come prima, anzi si erano introdotte due ore di religione cattolica nelle scuole materne che prima non c’erano e si era aumentato il finanziamento dello Stato alla chiesa cattolica. Martino Rizzotti propose di fare un’associazione che si ponesse come meta l’abolizione dell’art. 7 della Costituzione e facesse diventare laico, nei fatti, lo Stato italiano e le istituzioni pubbliche. Per rendere concreta questa iniziativa si fece versare subito diecimila lire da ciascuno come quota d’iscrizione; in pochi giorni trovò il nome, tracciò il programma, scrisse lo Statuto e individuò qualche altro matto che, anche se dubbioso della riuscita dell’impresa, si associò.
Nasce così dall’intuizione e dalla determinazione di Martino l’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti. Nel 1991 si costituisce legalmente presso un notaio e fa la presentazione in città; è lì che lo vedo per la prima volta. Passare da cinque a dieci soci, poi a cinquanta, poi a cento, duecento fino agli 884 del dicembre 2001 ha comportato un duro lavoro di elaborazione teorica e d’impegno organizzativo, sostenuto più di tutti da Martino; alla fine del 2001 c’era molto entusiasmo, esattamente due anni prima eravamo solo 272; tutti convinti ormai che l’UAAR ce l’avesse fatta a diventare una realtà concreta e definitiva che può adesso impegnarsi efficacemente per raggiungere i suoi scopi ed anche lui cominciava ad abbandonare il suo abituale pessimismo. Purtroppo ai primi di quest’anno Martino è entrato in coma e dopo due mesi è morto senza riprendere conoscenza; nel 1996 era stato colpito da un melanoma contro cui ancora combatteva in una altalenarsi di speranze e ricadute.
Abbiamo collaborato intensamente, per più di dieci anni nell’UAAR. Sarebbe un’occasione per tracciare un bilancio e mettere a fuoco le mete raggiunte, cosa che saprebbe fare magistralmente solo lui, io no. Per i molti anni iniziali in cui eravamo quattro gatti, ho dato il mio contributo tecnico e organizzativo, ma gli lasciavo tutta l’elaborazione teorica, la stesura delle tesi e quella dei regolamenti; in questo campo i miei pochi interventi erano di natura operativa. Aveva coordinato praticamente da solo il primo Congresso e ideato da solo le campagne “Scrocifiggiamo l’Italia” e la “Settimana Anticoncordataria”; insieme abbiamo portato avanti la richiesta allo Stato dell’Intesa con l’UAAR, pur con tanti contrasti e malumori di alcuni soci.
Quando, già ammalato, mi ha costretto a fare il Segretario e si è un po’ defilato dalle riunioni, mi sono rivolto a lui in continuazione e forse l’ho sfruttato troppo; gli telefonavo o andavo a trovarlo all’Università e facevamo lunghe discussioni che mi erano necessarie per prendere qualunque decisione importante. In quei primi tempi, senza avere in lui un punto fermo di riferimento, non avrei potuto fare il Segretario. Solo dopo quest’intenso tirocinio ho cominciato ad essere indipendente e occasionalmente a scontrarmi con lui perché Martino, scienziato e filosofo, era un ottimo teorico, ma le teorie astratte, indispensabili in molti campi, possono impedire i compromessi pratici necessari nelle organizzazioni e gli adattamenti che si impongono quando si interferisce con esigenze concrete che presentano limiti non contemplati dalla teoria.
Come molti hanno più o meno detto chiaramente, Martino, pur essendo complessivamente un ottimo compagno di discussioni, mai banali, e anzi un piacevolissimo compagnone sempre pronto a divertirsi per una battuta ironica o una barzelletta irriverente, era fondamentalmente chiuso e riservato; si apriva raramente a confidenze intime, ma quando lo faceva c’era uno scambio profondo che lasciava il segno. Non discuteva all’interno dell’UAAR di politica e di partiti forse per riservatezza, ma anche perché non voleva spaccature dannose per motivi estranei a quelli dell’associazione. Solo quando siamo diventati veramente amici ho scoperto le sue tendenze politiche, cui mi ha accennato occasionalmente e di sfuggita, senza confutare le mie, abbastanza diverse dalle sue.
Naturalmente ho tanti altri ricordi: con la morte di Martino una fetta significativa della mia vita negli ultimi anni è stata amputata, ma mi limito a scrivere un paio di aneddoti che mi sembrano significativi. Gli dicevo sempre di questo suo caratteraccio e gli facevo notare tutte le volte che si comportava con eccessiva durezza con qualcuno. Ebbene, non molto tempo fa, mi aveva raccontato che gli era stata prospettata la direzione della biblioteca di Biologia, che era un incarico che gli sarebbe piaciuto molto e che aveva sempre desiderato, data la sua passione per i libri e la sua mania di catalogazione; ma alla fine non l’aveva accettata per colpa mia: lo avevo convinto che aveva un carattere difficile ed era sicuro che alla fine avrebbe finito col litigare con molti colleghi. Devo dire che ero rimasto molto colpito da questa ammissione di debolezza e del fatto che me l’avesse confidata.
Una controversia di principio si è ripetuta spesso fra noi due, sulla quale ciascuno è rimasto poi fermo nella propria opinione: come giudicare gli eventuali rapporti sessuali tra docenti universitari e allieve maggiorenni? Per lui erano sempre e comunque da condannare, mentre secondo me questa condanna, a priori, poteva forse essere influenzata da una rigorosa e intransigente etica professionale. La mia posizione sosteneva che ci sono certamente casi deprecabili in cui ci può essere ricatto, sopraffazione o corruzione, ma ci può anche essere un rapporto di puro piacere e d’arricchimento reciproci. O almeno a me piace pensare che possa essere così.