di Maria Turchetto
Santa Romana Chiesa è davvero sessuofoba? Il sesso — tranne quello praticato dalla coppia eterosessuale unita in matrimonio religioso, con moderazione e per finalità riproduttive — è peccato: questa è la sua posizione, decisamente repressiva, visto tutto quel che condanna per esclusione. Il fatto è che la Chiesa Cattolica non si limita affatto a escludere: entra nei particolari, disquisisce sui metodi anticoncezionali (prima di escluderli tutti — tutti quelli serî, intendo), sanziona specificamente comportamenti che a un divieto troppo generico potrebbero sfuggire (in primo luogo l’onanismo), organizza incontri prematrimoniali, classifica ciò che è «contro natura». Insomma, parla con grande prolissità di ciò che apparentemente censura. La Chiesa Cattolica assegna al sesso un’evidente centralità, a scapito di altri peccati, sicuramente a scapito della pretesa «spiritualità» del credo cristiano. Al di là dei grandi anatemi contro l’omosessualità o contro l’aborto, colpisce particolarmente l’accanimento sulle piccole cose: preservativi, scollature, masturbazioni, «toccamenti» — come dicono pudicamente i pretini (e aggiungono: «quante volte?»). Oggetti e gesti tanto evidentemente innocui quanto puntigliosamente spiati, catalogati, braccati, cercati negli angolini buî. Da dove viene quest’attenzione al sesso decisamente morbosa? Deriva forse dalla costrizione al celibato (addirittura alla castità, nel caso di frati e suore) che caratterizza il clero cattolico? Penso proprio di sì, almeno in parte, ma c’è dell’altro. Secondo Michel Foucault la centralità del sesso — oggetto di divieti ma con ciò stesso continuamente evocato, «messo in discorso» — è una caratteristica dell’occidente moderno: ed è stata proprio la Chiesa Cattolica a cominciare, con l’istituto della confessione.
Con la Controriforma il sacramento della penitenza cambia profondamente: acquista importanza, frequenza e soprattutto modifica l’impostazione di fondo. L’attenzione si sposta dalla sfera esterna delle azioni a quella interna delle intenzioni. Non si tratta più semplicemente di ammettere un fatto: occorre scandagliare la propria interiorità, fare un meticoloso esame di coscienza che non tralasci pensieri, desiderî, immaginazioni. Oggetto privilegiato di questo nuovo esercizio di introspezione è proprio il sesso: «Il sesso, secondo la nuova pastorale, non deve più essere nominato senza prudenza; ma i suoi aspetti, le sue correlazioni, i suoi effetti devono essere seguiti fin nelle loro ramificazioni più sottili: un’ombra in una fantasticheria, un’immagine scacciata troppo lentamente, una complicità mal scongiurata fra la meccanica del corpo e il compiacimento della mente: tutto deve esser detto»1. I manuali ecclesiastici insegnano al penitente come procedere all’autoesame e al confessore come condurre l’interrogatorio: «Esaminate tutti i sentimenti, particolarmente i primi del vedere e dell’udire, e molto più l’ultimo del toccare. Esaminate i pensieri, le parole, le opere. Esaminate sino i sogni…»2. L’obbligo di confessare le infrazioni gravi - l’adulterio, la sodomia, la «bestialità» — come esigeva la penitenza tradizionale cede il passo al «compito, quasi infinito, di dire, di dire a se stessi e di dire a un altro, quanto più spesso possibile, tutto ciò che può riferirsi al gioco dei piaceri, sensazioni e pensieri innumerevoli che, attraverso l’anima e il corpo, hanno qualche affinità col sesso»3.
In questa nuova pratica della confessione il sesso viene sempre meno nominato in maniera diretta, per non peccare con la parola (inizia l’epopea degli eufemismi, vengono coniate formule prudenti che hanno tra l’altro l’effetto di associare giudizi di valore: «atti impuri», «cose sporche»…), ma se ne parla in continuazione. Non se ne parla pubblicamente, per non dare scandalo, ma nel segreto del confessionale, a tu per tu con un unico ascoltatore privilegiato, in una situazione a dir poco ambigua. Il risultato è notevole: il penitente cattolico è sempre e comunque colpevole, per il fatto stesso di essere sessuato, di avere pulsioni, curiosità, desideri; e il confessore cattolico, che istituzionalmente ascolta e conduce l’infinita interrogazione sul sesso, instaura con il penitente un rapporto davvero molto speciale.
Cosa degna di nota, la colpa del sesso non risparmia nemmeno i bambini: anch’essi vengono precocemente e sistematicamente interrogati su pratiche, desideri, fantasie sessuali o presunti tali. Con prudenza, con domande «un po’ vaghe e che affrontano l’argomento da lontano», raccomanda Alfonso de’ Liguori nel suo Quomodo se gerere debeat confessarius cum pueris, adolescentibus et puellis4. Ma a chi sarebbe mai venuto in mente, prima della nuova pratica confessionale uscita dalla Controriforma, di sospettare colpe sessuali nei bambini? Secondo Foucault, è in ultima analisi dal Concilio di Trento che deriva un’idea tipica delle moderne società occidentali: quella secondo cui «tutti i bambini si danno o sono suscettibili di darsi a un’attività sessuale […] di cui i genitori, le famiglie, gli educatori, i medici e più tardi gli psicologi devono occuparsi, in modo continuo»5. Un’idea abbastanza stravagante, a pensarci bene; un’idea che non ha riscontro in altre società, e che nella nostra — sempre secondo Foucault — si è radicata «soprattutto nella guerra contro l’onanismo, durata in occidente quasi due secoli»6. Foucault scrive molte altre cose interessanti sul processo che egli definisce di «pedagogizzazione del sesso del bambino», sul suo diffondersi come preoccupazione e come pratica pedagogica ben al di là delle istituzioni religiose, sulla sua funzionalità alla organizzazione familiare ristretta, tipica della società borghese, con la nuova posizione del bambino nel centro del gruppo parentale. Consiglio vivamente la lettura di La volontà di sapere, l’opera di Foucault che ho fin qui citato, e degli altri scritti di questo autore sulla sessualità.
Per parte mia, vorrei invece tornare alla specificità delle istituzioni religiose cattoliche per trarre qualche conclusione. Prendete un clero tutto maschile e costretto al celibato, escluso cioè istituzionalmente da quella che la stessa Chiesa Cattolica considera l’unica sessualità normale e lecita, vale a dire quella praticata entro la coppia eterosessuale coniugata. Assegnate a questo clero il compito pruriginoso di ascoltare e condurre l’infinita disamina delle colpe sessuali, previsto dalla confessione controriformata. Considerate ora chi principalmente si rivolge al sacramento della confessione: pochi maschi adulti, e con scarsa frequenza; un certo numero di donne, oggi sicuramente meno che in passato; soprattutto, e con la regolarità di chi è inquadrato nei ranghi della catechizzazione, bambini e preadolescenti. Bene, tirate le somme e chiedetevi: è un caso che proprio nei ranghi del clero cattolico siano così frequenti i casi di pedofilia? Non è un caso, evidentemente, ma il risultato di ben precise scelte istituzionali e organizzative, di pratiche volute e consolidate. Che dire di chi mantiene e perpetua queste pratiche e queste istituzioni? Se non è un caso, c’è una responsabilità. E grave: farebbero meglio a legarsi una macina al collo e a gettarsi in mare, diceva Gesù Cristo. Io che sono una comune mortale mi accontenterei di qualche seria misura di ordine pubblico.
Note
- M. Foucault, La volontà di sapere, Feltrinelli 1978, p. 21.
- P. Segneri, Il penitente istruito a ben confessarsi, Torino 1672, p. 241 (citato in M. Foucault, op. cit., p. 21).
- M. Foucault, op. cit., p. 22.
- Citato in M. Foucault, op. cit., p. 21.
- M. Foucault, op. cit., p. 93.
- Ibidem.