A cura di Vera Pegna
L’idea di organizzare un convegno che contribuisse a riordinare e precisare i concetti insiti nel termine laicità risale a un paio di anni fa, in seguito alla constatazione che l’uso approssimativo e spesso ingannevole di questa parola impedisce ai cittadini di comprendere appieno quale sia la posta in gioco di una serie di leggi e di provvedimenti varati dal governo. Più recentemente, la presentazione della bozza di Costituzione europea - con articoli che legittimano i sistemi di concordato e di chiese di Stato e riconoscono alle chiese un ruolo istituzionale nel processo democratico europeo - ci ha spinti ad organizzare il convegno nel corso del semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’UE.
La prima giornata del convegno, dedicata ai rapporti fra Stati e chiese, si è aperta con le relazioni di taglio storico e teorico di Mario Alighiero Manacorda e di Piero Bellini, seguìti da Giuseppe Ugo Rescigno che si è soffermato sull’aspetto giuridico della bozza di Costituzione europea e da Georges Liénard che ha analizzato l’articolo 51 e le conseguenze che avrebbe sulla laicità delle istituzioni qualora venisse adottato. A due filosofi, il francese Henri Pena-Ruiz e il britannico Anthony Grayling, è stato richiesto di approfondire - rispettivamente - il concetto di laicità dal punto di vista ideale e della coesione sociale. Gli interventi programmati hanno fatto il punto sulle diverse situazioni nazionali: Giorgio Bogi per l’Italia, Adam Cioch per la Polonia, Dora Pfister per la Germania, Florian Ballhysa per l’Albania di tradizione laica. La mattinata della domenica, dedicata alle esperienze laiche in corso in Europa, ha consentito di ascoltare Franca Eckert Coen, delegata del Sindaco del comune di Roma e i belgi Luc de Vuyst e Marie-Ange Cornet sull’evoluzione del movimento laico-umanista e sulle sue conquiste anche a livello istituzionale. Nicolas Pomiès ha spiegato come, in Francia, anche il Social Forum ritiene indispensabile collegare la lotta per la laicità alle lotte sociali, e Valeria Ajovalasit, presidente di Arcidonna, ha confermato che questa tendenza incomincia a farsi strada anche in Italia. Giorgio Villella ha informato circa la resistenza laica nel nostro paese.
Nel raccontare i lavori del convegno, abbiamo preferito raccogliere le riflessioni dei relatori sui principali temi trattati, anziché presentare una sintesi di ciascuna relazione. È invece riportato quasi per intero, in ragione dell’urgenza del tema, l’intervento di Georges Liénard sull’articolo 51 della bozza di trattato costituzionale, la cui adozione - lo apprendiamo con sollievo mentre andiamo in stampa - è rinviata in seguito al fallimento della Conferenza intergovernativa.
«Ci risiamo. Ci risiamo un’altra volta in una situazione che nega l’importanza dei rapporti morali e culturali fra le persone, che non distingue la religione del potere dalla religiosità delle coscienze». È con queste parole che Mario Alighiero Manacorda ha dato inizio alla sua prolusione.
Le radici cristiane. La storia dell’Europa è la storia della resistenza alla imposizione del cristianesimo e del cattolicesimo come religioni del potere. Non sono certo i roghi, le crociate e i misfatti della confusione teologico-politica che hanno prodotto l’Europa dei Lumi e dei diritti umani. I grandi valori fondanti del diritto sono dovuti alla lotta contro 15 secoli di civiltà giudeo-cristiana. Inchiodare i valori a una particolare origine spirituale significa disprezzare le altre e volere dividere le persone. Quando un ideale è portatore di emancipazione di tutti gli uomini si libera dalla sua origine storica e assume una universalità che vale per l’Europa e per il mondo intero ed è sui valori condivisi di libertà, uguaglianza e fratellanza che dobbiamo invitare i cittadini a unirsi. Inoltre, una costituzione non è un libro di storia, ma un documento che prescrive qualcosa a tutti i cittadini, e dunque qualunque parola vi venga immessa diventa automaticamente fondamento possibile di una prescrizione: parlare di radici cristiane dell’Unione europea significa dare fondamento costituzionale alle pretese di chi, in nome di tali radici, vuole introdurre anche a livello dell’Unione poteri, privilegî e immunità per le confessioni cristiane.
Le religioni. La storia ci dimostra che tutte le chiese hanno cercato di imporsi con la forza, anche perché ogni religione rappresenta una minaccia per le altre e nessuna è immune da integrismi. La pretesa di rappresentare i proprî fedeli perché essi, secondo le gerarchie ecclesiastiche, condividono la concezione di dio e del mondo decisa dal clero, racchiude gli stessi adepti in un ghetto e in tal modo ghettizza anche chi ne è escluso.
Le istituzioni religiose hanno sempre cercato di accrescere la propria influenza e di ottenere fondi pubblici e privilegî che nel tempo sono diventati altrettante violazioni dei principi fondamentali dei diritti dell’uomo sanciti dalle nostre costituzioni. Un concordato fra Stato e chiesa non è altro che un lungo elenco di obblighi unilaterali dello Stato senza alcuna contropartita, e apre la porta a richieste sempre nuove, quale (in Italia) l’esposizione dei crocifissi nei luoghi pubblici, che pure non è prevista dal Concordato. L’esistenza di un sistema di intese con varie religioni significa che un paese è pluriconfessionale e non che è laico, poiché esclude, quindi discrimina, le persone che sono libere da ogni religione o che appartengono a confessioni non riconosciute dallo Stato.
La libertà di religione. Sia nel linguaggio comune, che nel linguaggio dei giuristi e delle leggi vengono confuse e spacciate per “libertà” - parola e concetto nobile e inattaccabile - leggi e atti amministrativi che concedono alle istituzioni religiose poteri e immunità. Il risultato è un’evidente asimmetria voluta e organizzata delle autorità pubbliche, fra confessioni religiose da un lato e atei o comunque non religiosi dall’altro, mentre il concetto di libertà religiosa che noi difendiamo fa parte della tutela della convivenza sociale di tutti con tutti. La libertà religiosa è pienamente tutelata dalle altre libertà, in particolare quella di coscienza, quella di manifestazione del pensiero, quella associativa, perché compresa in esse alla luce del principio di uguaglianza. Il menzionarla a parte, come fa la bozza di Costituzione europea, costituisce un privilegio e quindi una discriminazione per chi ne è escluso.
La laicità è la compresenza di persone libere di manifestare le proprie idee senza imporle con l’aiuto del potere costituito. È la tolleranza e la curiosità verso gli altri, il rifiuto del dogmatismo e anche della vetusta contrapposizione categorica fra “verità” ed “errore”. È il rispetto del convincimento personale di ciascuno che corrisponde all’anelito dell’uomo a cercare le supreme ragioni del proprio essere. Nella sfera pubblica, ovvero fuori dalla propria casa e dalla propria chiesa, le persone devono potersi incontrare senza etichette religiose o ideologiche, poiché queste inevitabilmente entrano in competizione, nel tentativo di conquistare altre menti e altri cuori. La laicità non è contrapposizione alla religione intesa come religiosità dei singoli, ma alla religione del potere. Il rifiuto dell’alleanza tra coscienza e potere continua a diffondersi fra quelle persone religiose che respingono il mercimonio fra autorità politica e religione. Da ogni luogo della società deve spirare la brezza dell’amicizia e della concordia fra e per tutti gli esseri viventi.
La scuola. La libertà di apprendimento non si identifica affatto con la possibilità di scelta, da parte delle famiglie, della scuola che meglio corrisponde ai propri presupposti ideologici e culturali, perpetuando e consolidando così le identità che già sono state imposte ai bambini nei primi anni di vita. La libertà dello studente deve essere tutelata anche nei confronti di tali pretese familistiche, consentendogli di incontrare prospettive culturali differenti in un ambiente che favorisca il confronto; e tale libertà non è certo garantita dal pluralismo delle scuole confessionali o ideologicamente orientate, bensì dal pluralismo all’interno di una scuola pubblica e laica. I bambini devono imparare il valore dell’uguaglianza a scuola, al loro primo contatto con le istituzioni pubbliche, e dunque godere degli stessi diritti. Devono sapere che le conoscenze sono universali ma che le credenze sono individuali e che la religione e l’ateismo appartengono alla sfera privata. I corsi di religione nella scuola pubblica costituiscono un deficit di laicità perché la richiesta di deroga per atei e agnostici significa che la religione è la norma e che la non religione è una deroga alla norma. Ciò abitua i bambini a considerare legittime le discriminazioni.
La tendenza alla specializzazione esistente nei licei è una perdita enorme di cultura e aumenta le divisioni fra le persone.
I principî fondanti della laicità nell’Europa unita. Quando un popolo si costituisce come comunità politica di diritto, come res publica, e decide di scegliere la laicità, deve porsi tre domande.
- È legittimo che un gruppo imponga i suoi valori agli altri gruppi? No, la coscienza umana deve essere libera. La libertà religiosa è solo una fattispecie della libertà di coscienza e i testi giuridici devono definire ogni termine nel modo più ampio possibile. È il primo grande principio della laicità.
- È legittimo che un gruppo goda di privilegi che gli altri non hanno? No. Già nel 1789 la rivoluzione francese ha stabilito che gli uomini nascono e rimangono uguali e liberi. L’uguaglianza e la libertà non sono negoziabili, i pubblici potere non possono concederle o negarle. Sono valori intrinseci alla dignità umana. L’uguaglianza davanti alla legge è il secondo grande principio della laicità.
- La legge è comune a tutti. Può prevedere vantaggi per gli uni e non per gli altri? No. La ragione d’essere della legge e la sua unica finalità sono l’interesse generale e il bene di tutti. La legge è produttrice di universalità. Questo è il terzo grande principio della laicità.
I regimi di chiese di Stato e di concordati esistenti in Europa contraddicono l’uguaglianza dei cittadini e sono quindi in contrasto con la laicità. Così come è avvenuto nel caso del materialismo storico eretto a regime ufficiale dello Stato, o della Polonia odierna, che impone la preghiera nelle scuole pubbliche. Ma l’oppressione secolare dell’ateismo e dell’agnosticismo da parte delle chiese non significa che per essere laici bisogna invertire il dominante e il dominato, ovvero prendere il posto della chiesa. L’ideale laico è grande e bello perché accoglie tutti gli uomini sul medesimo piano di parità e sopprime il principio stesso di dominio esercitato nel nome di una scelta spirituale. Tende a eliminare ogni dominio dell’uomo sull’uomo, quindi è universale. La laicità è il mondo comune a tutti gli uomini al di là delle loro differenze e non solo un mosaico di differenze. Le differenze non vanno negate, ma affermate con la moderazione e il ritegno che permettono alle altre differenze di emergere ed essere visibili. Non è quindi un livellamento, ma l’apprendimento a vivere queste differenze nell’universalità e unità dell’umanità. Il messaggio della laicità è la liberazione degli uomini dall’asservimento ad una ideologia o convinzione particolare.
Che cosa nasconde l’articolo 51 della bozza di Costituzione europea. La questione fondamentale posta dall’articolo 51 non riguarda la religione ma la laicità, poiché tale articolo nasconde un modo di funzionamento della democrazia nell’Unione europea che ristabilisce una collusione fra Stato e chiesa simile a quella esistente nell’Ancien régime. L’articolo 51 si colloca sotto il Titolo VI: La vita democratica dell’Unione, mentre l’articolo 46, intitolato Principio della democrazia partecipativa stabilisce che «Le istituzioni dell’UE mantengono un dialogo aperto, trasparente e regolare con le associazioni rappresentative e la società civile», ovvero che tali associazioni possono esprimere il proprio parere al Parlamento europeo, al Comitato dei ministri, alla Commissione. Ma le gerarchie ecclesiastiche, pur affermando che le chiese fanno parte della società civile, non intendono essere comprese nell’articolo 46. Con una mobilitazione a tutto campo sono riuscite a far inserire nella bozza europea ciò che nel Trattato di Amsterdam era stato relegato a dichiarazione aggiuntiva. Con l’articolo 51.1 l’UE afferma che non ha niente da dire sui rapporti che gli Stati membri intrattengono con le chiese. Che cosa succede allora quando l’UE emana una direttiva - approvata dal Parlamento e dal Consiglio dell’Unione europea - che gli Stati sono tenuti a recepire nel proprio ordinamento e che riguarda in qualche modo le chiese? Se, come è più che probabile, l’articolo 51 verrà approvato, nessuna direttiva dell’UE si potrà applicare alle chiese e neppure agli enti, associazioni e gruppi che a esse fanno capo. Vale la pena ricordare che dai vari sondaggi condotti dall’UE, comprensivi della Polonia, risulta che le persone che dichiarano di appartenere a una religione sono il 25-30% della popolazione, il che equivale ad imporre il volere delle chiese al restante 70-75% dei cittadini europei.
L’articolo 51.3 impegna l’UE a mantenere con le chiese «un dialogo aperto, trasparente e regolare». Sono le medesime parole che qualificano il dialogo fra istituzioni europee e associazioni rappresentative della società civile. Ma in un documento ufficiale del giugno 2002 al GOPA (Gruppo dei consiglieri politici del presidente della Commissione) i vescovi europei hanno definito il significato che attribuiscono a tali parole e ciò spiega perché le chiese non hanno voluto essere trattate alla stregua delle associazioni della società civile previste all’articolo 46. Il documento precisa che le chiese vogliono essere associate alla fase pre-legislativa, ovvero pretendono di avere voce in capitolo nella preparazione delle leggi europee su ogni materia che le riguarda, e si riservano il diritto di indicare le materie di loro interesse. Inoltre, chiedono di aprire un ufficio di collegamento (bureau de liaison) presso gli uffici della Commissione per esercitare ufficialmente una azione di lobby nei confronti del presidente della Commissione, del Consiglio dei ministri e del Parlamento europeo e per sviluppare un “partenariato” con la Commissione. Chiedono altresì di avere incontri occasionali con il presidente della Commissione in persona e sessioni di lavoro regolari su obiettivi specifici da indicare volta per volta. Non si tratta quindi di un dialogo, ma della pretesa di intervenire in due momenti essenziali del processo democratico europeo: quello della elaborazione dei documenti e quello della loro approvazione. Il significato di questo tipo di dialogo si chiama tutela delle chiese e mantenimento delle disuguaglianze.
Sul tema dei rapporti UE-chiese i governi non si sono mossi, e poco hanno fatto anche le associazioni laiche. La Federazione Umanista Europea ha divulgato il documento dei vescovi e tenuto audizioni e conferenze-stampa presso il Parlamento europeo, insieme ad associazioni che rappresentano milioni di soci direttamente lesi dall’ingerenza delle chiese nelle scelte personali (quali famiglia, divorzio, eutanasia, pianificazione familiare, coppie di fatto, ma anche ricerca bio-medica e pari opportunità, gay e lesbiche, insegnanti). Tra queste associazioni anche due organizzazioni cattoliche che, a loro volta, raggruppano numerose associazioni di base. Il loro discorso è: noi siamo cattolici, siamo nella chiesa ma siamo adulti e non abbiamo bisogno di una chiesa che ci venga a dire - ad esempio - se dobbiamo fare figli o non farne. È un cambiamento radicale di cui le associazioni laiche e umaniste devono tenere conto perché questi gruppi, sempre più numerosi, difendono gli stessi nostri principî, pur rimanendo religiosi. Costituiscono una spina nel fianco delle gerarchie cattoliche, che queste non hanno ancora avvertito ma che avvertiranno qualora fosse approvato l’articolo 51.
Continuiamo a batterci insieme contro l’articolo 51. Difendiamo il nostro ideale laico comune con un’offensiva risoluta e con una vigilanza costante, incessante, dura. Uniamoci intorno a un grande manifesto europeo per la laicità che parta dai valori comuni a tutti gli uomini.
Vera Pegna,
vice segretaria dell’UAAR,
vice presidente della EHF/FHE