Palermo, 1-3 settembre 2002
RELIGIONI E CULTURE TRA CONFLITTO E DIALOGO
Dieci anni fa, il presidente della Commissione europea Jacques Delors, convinto che l’ambito della Comunità europea non potesse limitarsi all’economia e alla moneta, creò il gruppo di lavoro Un’anima per l’Europa: etica e spiritualità al quale affidò il compito di delineare appunto l’anima della futura Europa unita. Non è casuale che oggi siamo qui ad una tavola rotonda che ci riunisce sullo stesso tema, Un’anima nuova per l’Europa: non sono bastati dieci anni per far affiorare la nostra anima comune.
Il Gruppo creato da Delors era ed è composto dai rappresentanti delle religioni cattolica, evangelica, ebraica, musulmana e ortodossa e da un membro della EHF/FHE, European Humanist Federation, in rappresentanza dei non credenti, che presiede il Gruppo di lavoro.
La scelta dei massimi responsabili europei fu dunque di incoraggiare il dialogo sia fra esponenti religiosi sia fra questi ed esponenti di concezioni del mondo non religiose. Questa formula di dialogo si è dimostrata positiva per chi vi ha partecipato e utile per chi lo ha voluto, tant’è vero che il Gruppo viene consultato regolarmente dai membri del GOPA (Group of Political Advisers), il Gruppo dei consiglieri politici del Commissario europeo.
Tenendo presente questa esperienza, le due associazioni che rappresento, l’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti e la European Humanist Federation si sono offerte di partecipare a questa vostra tavola rotonda e colgo l’occasione per ringraziare gli organizzatori del Forum della ospitalità e salutare tutti voi a nome delle mie associazioni.
Il dialogo tra credenti e non credenti è auspicabile per conoscerci, per fare cadere le barriere dei pregiudizî e delle incomprensioni che ci dividono e per mettere a confronto concezioni diverse della società e dell’etica, nel rispetto reciproco delle persone e dei loro ideali. Ma noi tutti vogliamo un dialogo che non sia sterile e che ci aiuti a progredire verso la meta comune. Quindi dopo avere preso atto di ciò che ci unisce, ossia la condivisione dei principî e dei valori della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo - e non è poco - dobbiamo affrontare anche ciò che ci divide per potere dipanare la matassa insieme.
In Italia i non credenti (atei, agnostici, liberi pensatori, indifferenti alle religioni) sono il 16% della popolazione (fonte Eurispes 2002, e altre fonti concordi); in Europa i cittadini che non si riconoscono in nessuna religione sono oltre la metà della popolazione (vedi l’introduzione al volume Dall’accordo del 1984 al disegno di legge sulla libertà religiosa, edito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri nel luglio 2001). Si tratta di persone con idee e ideali molto diversi accomunate, però, da una concezione del mondo che esclude dogmi, verità rivelate ed entità trascendenti e dalla quale derivano, naturalmente, delle scelte individuali che questi cittadini desiderano vedere sancite nelle leggi e nelle istituzioni del loro paese. Una Europa unita che negasse di fatto il pieno diritto di cittadinanza alle concezioni del mondo aconfessionali nascerebbe esanime. Rianimarla a posteriori sarebbe una fatica improba.
Fino a pochi decenni fa, si parlava poco dei cittadini aconfessionali e delle loro associazioni anche perché i non credenti non ritenevano di doversi associare per difendere i loro diritti di cittadinanza. Forse affidavano questo ruolo ai loro partiti, forse ritenevano sufficiente che i principî di eguaglianza e di libertà fossero sanciti dalle loro Costituzioni nazionali, forse confidavano che la normale dialettica parlamentare, con una presenza trasversale di credenti e non credenti sia a destra che a sinistra, avrebbe garantito loro lo stesso trattamento di cui godono le persone e le associazioni religiose. Ma così non è stato, soprattutto negli Stati del Sud Europa come il nostro, dove i cittadini non credenti sono discriminati nella loro vita privata (in momenti anche dolorosi come aborto, ed eutanasia) e dove le loro associazioni non sono ufficialmente riconosciute e non possono quindi né rivolgersi alle istituzioni, né usufruire dei benefici, anche finanziari, di cui godono le associazioni religiose.
Ma oggi ci troviamo davanti a una svolta epocale. Stiamo inventando un nuovo soggetto politico e istituzionale libero - in quanto tale - da vincoli storici e molto diverso dai nostri singoli Stati nazionali. Inoltre, siamo alla vigilia dell’allargamento dell’Unione europea, che diverrà sempre più multietnica e multiculturale con i suoi 480 milioni di abitanti. Una vera ricchezza certo, ma foriera di tensioni sociali che è saggio prevenire.
Dicevo: affrontiamo insieme le questioni che ci vedono su posizioni diverse. E poiché siamo qui per parlare di una nuova anima per l’Europa, metto subito sul tappeto una questione che ci sta a cuore: la futura Costituzione europea.
Le gerarchie della Chiesa cattolica chiedono che venga riconosciuto il ruolo delle chiese nell’assetto giuridico-istituzionale della futura Europa unita e chiedono altresì che nella futura Costituzione europea sia fatto esplicito riferimento a radici cristiane. Richieste, peraltro, che non mi risulta siano state fatte dalle altre religioni cristiane.
Per i non credenti si tratta di richieste non accettabili per tre motivi. Il primo è che una costituzione è un documento giuridico-istituzionale che come tale non ha ragione di ospitare riferimenti di ordine storico o culturale, sempre aperte ad interpretazioni. Il secondo è che il contenuto etico delle leggi è espresso dai parlamentari eletti dal popolo e solo da loro. Ogni altro apporto, estraneo ala sovranità popolare, delegittima le istituzioni democratiche. Il terzo è che il messaggio di cui sono portatrici le chiese è un messaggio trascendentale, perfettamente legittimo finché si rivolge ai propri fedeli, ma impossibile da estendere erga omnes in quanto non condiviso dalla maggioranza dei cittadini anzi, dalla grande maggioranza di essi se, ai non credenti, sommiamo i fedeli delle religioni diverse da quella cattolica. Qualsiasi riferimento di questi tipo verrebbe vissuto quindi come un privilegio riconosciuto a una sola parte, e come una discriminazione verso le altre. Inoltre, che senso avrebbe accettare di fatto o di diritto milioni di nuovi cittadini comunitari ed extracomunitari se non si riconoscessero a loro, alle loro religioni e alle loro associazioni uguali diritti?
Per concludere, una considerazione personale sulle nostre radici. A me piace pensare che noi tutti, credenti e non credenti, buddisti e cristiani, musulmani ed ebrei abbiamo le stesse radici che affondano lontano nella storia della nostra Terra. E confido che l’impegno e la tensione morale che ci hanno portati qui a discutere di un’anima per l’Europa ci faranno scoprire che quelle sono le radici più belle perché appartengono a tutta l’umanità.
Vera Pegna
vice segretaria nazionale
Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti
membro del Consiglio di amministrazioneEHF/FHE European Humanist Federation
E-mail: international@uaar.it