L’allargamento al di fuori della cerchia degli amici ci aveva portato a contatto con informazioni che all’inizio ci mancavano. In particolare eravamo venuti a sapere dell’esistenza di altre associazioni laiciste che propugnavano molti dei nostri obiettivi. Tuttavia nessuna di queste era costituita espressamente da atei e da agnostici, nessuna era effettivamente “omologa” alle associazioni religiose, alle chiese. Alcune di esse potevano ospitare, e talvolta ospitavano dichiaratamente, anche cattolici eterodossi, cattolici laici o addirittura anticlericali, cattolici che si dichiaravano più autenticamente tali di quelli proni alle direttive del papato. Questa nostra specificità ci incoraggiò non solo a continuare, ma anzi ad accarezzare l’idea di allargarci a livello nazionale, cominciando di pari passo a collaborare con le altre associazioni laiciste. Nel frattempo si ebbero vari avvicendamenti, fra i quali il passaggio delle consegne come tesoriere da Ziron a Zoppi (19 dicembre 1989).
Nell’ottica di una proiezione nazionale si concepì una lettera indirizzata alle massime autorità dello Stato in data 15 maggio 1991 per ottenere l’assegnazione dell’8 per mille dell’IRPEF, al pari di quanto era stato concesso alle religioni. Questo passo costituiva la conclusione logica di un lungo dibattito, nel corso del quale si era affermata una posizione che rivendicava un nostro inserimento a pieno titolo fra le associazioni di carattere filosofico. Rivendicare il principio della pari dignità di ogni scelta filosofica, al posto di quello più angusto della libertà di religione, richiedeva qualche passo concreto, anche se nessuno si illudeva che avremmo ottenuto risposta. Ci si ripromise fin dall’inizio, anzi, di praticare questo terreno con maggiore proprietà dal punto di vista giuridico non appena se ne fosse presentata l’opportunità. Il nostro tentativo di varare una tattica virulenta, che ritenevamo efficace per fare capire a tutti in che cosa consista la discriminazione degli atei e degli agnostici, non avrebbe comunque intaccato l’obiettivo strategico che rimaneva quello di indurre lo Stato a non interferire nelle scelte filosofiche dei cittadini. I rapporti con le altre associazioni laiche iniziarono attraverso qualche proficua attività in comune con il comitato padovano di Scuola e Costituzione. Successivamente ci si incontrò con gli animatori del MAI (Movimento Anticlericale Italiano), diffuso nel Veneto e attivo in alcune radio locali. Su scala nazionale ci furono scambi di documenti e inviti reciproci con l’Associazione democratica “Giuditta Tavani Arquati” di Roma e con le due maggiori, cioè l’Associazione nazionale del libero pensiero “Giordano Bruno” e l’Associazione per lo Sbattezzo.
Dalla prima ci distinguevano i richiami a correnti di pensiero con una loro storia, qual è appunto quella dei liberi pensatori, e a un pensatore particolare, qual è appunto Giordano Bruno. Con tutta la simpatia e la solidarietà che non può non andare a Bruno, non avevamo molto a che spartire con le sue teorie. Inoltre la fedeltà a un filone di pensiero consolidato sembrava non lasciare grande spazio alla libera elaborazione dei nostri aderenti. Infine non potevamo condividere le sovrastrutture ritualistiche che emergevano dalla rivista di questa associazione. Ci sembrava, insomma, più rivolta su sé stessa a custodire le proprie tradizioni, per quanto antiche e gloriose, che attrezzata per incidere sulla realtà contemporanea.
Dalla seconda ci distinguevano il legame privilegiato con un movimento politico, nella fattispecie il movimento anarchico. Il modo di intendere l’anticlericalismo era profondamente influenzato da questa scelta e lo stesso nome, così legato a una sorta di pratica burocratica, quella dello sbattezzo, per l’appunto, non sembrava molto felice. Inoltre l’accento eccessivo, talvolta goliardico, posto sullo screditare la Chiesa cattolica anziché sulla lotta al pensiero religioso in generale, echeggiava toni ottocenteschi. Questa seconda associazione, comunque, organizzava quello che può essere considerato il principale punto di incontro annuale, pur con tutti i suoi limiti ideologici, del movimento laicista italiano, cioè il Meeting anticlericale di Fano, che cade alla fine di agosto.
In ogni caso si giunse un po’ alla volta a maturare la convinzione che, di fronte alla debolezza del movimento laicista italiano, si imponeva una stretta unità d’azione delle poche forze che facevano di questa scelta il loro impegno maggiore. Chiunque, come noi, ritenesse fondamentale conquistare la pari dignità di ogni scelta filosofica, non poteva non prendere atto di questo inevitabile passaggio. A quelle riflessioni risale la nostra stretta collaborazione con le altre associazioni laiciste e l’appoggio a forme stabili di coordinamento con il fine precipuo di costituire una forza d’urto sufficiente (quanto a diffusione sul territorio nazionale e a capacità di farsi ascoltare) per attaccare a fondo il regime concordatario, i privilegî di ogni genere della Chiesa cattolica e le discriminazioni più o meno subdole contro atei e agnostici. L’alternativa sarebbe stata quella di optare consapevolmente per la debolezza del movimento laicista.
In questa fase fu preso anche il primo contatto con un’associazione straniera, il Bund gegen Anpassung (Lega contro il conformismo), con sede a Francoforte sul Meno. Inoltre la sede di Padova discusse e approvò varie mozioni per lo più imposte dalle iniziative che venivano prese autonomamente o che ci venivano proposte, e questo accrebbe il patrimonio di posizioni già maturato. Ma per intraprendere davvero un allargamento a livello nazionale occorreva dell’altro. Si decise in particolare la costituzione legale e l’organizzazione di un congresso a tesi.
La costituzione legale aveva ragioni essenzialmente burocratiche: poter fare richieste di sale e di affissioni pubbliche a qualunque amministrazione, poter aprire un conto corrente, e così via. L’atto notarile fu sottoscritto a Padova il 13 marzo 1991; in quel momento il Comitato di coordinamento era costituito da Duzzin, Franceschetti, Rizzotti, Ziron e Zoppi, tutti di Padova.
Molto più significativa e complessa è stata l’organizzazione del I Congresso nazionale, tenutosi a Venezia il 6 dicembre 1992. Esso ci ha costretto, fra le altre cose, a portare la quota annuale a 20.000 lire a partire dallo stesso 1992. Al congresso hanno partecipato soci di varie provincie del Veneto, di Milano e Pavia, di Ancona, di Roma, più numerosi simpatizzanti. Dopo una introduzione del segretario sulle 34 tesi, che volevano coprire un po’ tutti i problemi di nostro interesse e che erano state distribuite ai soci con largo anticipo, c’è stato il dibattito presieduto dal coordinatore di Venezia Franco Ferrari. Alla fine della giornata si sono tenute le votazioni sulle tesi stesse, sullo statuto e sulle mozioni. Si è poi passati all’elezione del Comitato di coordinamento. Sono risultati eletti Fantini (Ancona), Marconato (Venezia), e Rizzotti e Zoppi (Padova); inoltre ne faceva parte di diritto Villella, in quanto coordinatore dell’unico circolo (le sedi con più di 10 soci) dell’associazione, quello di Padova. In questa occasione si sono stabiliti contatti più stretti anche con analoghe associazioni europee che hanno inviato messaggi o una delegazione, come nel caso della sopracitata Bund gegen Anpassung. L’interesse dimostrato dagli organi di informazione locali e nazionali fa bene sperare su di un effettivo allargamento dell’associazione a tutte le regioni.
Per quanto riguarda l’impianto organizzativo si è ritenuto prioritario costituire una presenza a Roma e a Milano, e nelle due città sono ora effettivamente presenti due nuclei di aderenti che fanno capo a Fausto Masi e Massimo Ribelli (Roma) e a Gisèle Fontugne-Geymonat e Tiziano Tussi (Milano). Le preoccupazioni organizzative non sono superate con questo, tutt’altro. A livello centrale si tratta di dare maggiore stabilità alla segreteria, a livello periferico si tratta di fare decollare nuclei e circoli con le poche forze esistenti. Senza dimenticare che l’organizzazione è solo uno strumento per conseguire i nostri scopi fondamentali, di discussione filosofica e culturale e di pressione “politica”. Il Comitato di coordinamento ha inoltre messo in moto il meccanismo che dovrebbe portare alla costituzione di un Comitato di presidenza, una sorta di presidenza collettiva dell’UAAR formata da atei e agnostici di chiara fama. Ogni sviluppo rimane però affidato, in ultima analisi, all’impegno personale e all’iniziativa dei singoli soci.