di Francesco D’Alpa
Fra i tanti esempi di divulgazione antiscientifica, pochi argomenti rivaleggiano con l’insegnamento di fatto del creazionismo nelle scuole. Siamo tutti bene al corrente di cosa si tratta, e dunque mi soffermo solo su un punto chiave: è possibile conciliare l’insegnamento scolastico delle scienze con quello, in un altro corso, di una teoria che ha come unico ed erroneo fondamento una religione (non ditemi che la Chiesa cattolica ha sdoganato l’evoluzionismo, perché non è vero; altrimenti non si dovrebbe più parlare di Adamo ed Eva, del peccato originale, e dunque crollerebbe tutto il castello logico della rivelazione e redenzione)? Per sostenere l’insegnamento biblico negli Stati Uniti si è generalmente invocato un diritto alla libertà d’insegnamento; da noi ci si è mossi più alla chetichella, reclamando un argine al “materialismo” ed allo “scientismo”, e dunque proteggendo in toto i corsi di religione ed i relativi insegnanti. Non si tratta di semplice inerzia o di conservatorismo (magari in linea con l’invocato salvataggio della “identità cristiana”); la questione è assolutamente di principio, e ve ne fornisco una chiara dimostrazione. Ho fra le mani un piccolo libretto del 2003, edito a cura del “Servizio per la Comunicazione” del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, con tanto di firma dell’allora ministro Letizia Moratti, della quale abbiamo più volte deprecato le imprese. A pagina 15 vi vengono presentate alcune direttive per la auspicata “formazione integrale” degli alunni:
«La formazione integrale è un principio educativo fondante, presente nella legge di riforma n. 53/2003 e rivolto alle bambine e ai bambini della scuola dell’infanzia. È estensibile e allargabile, tuttavia, a tutto il percorso di istruzione e formazione. La formazione integrale raccorda in modo unitario le distinte “formazioni” del soggetto, inserendole in un quadro intenzionale di senso e di significato. Ognuna di queste formazioni avviene concretamente, attraverso la cooperazione fattiva di persone, linguaggi, ambienti, percorsi didattici diversi e parziali. La formazione della persona si articola in una molteplicità di ambiti: sociale, costituito dalle relazioni con altri soggetti; culturale, che riguarda l’acquisizione degli strumenti di conoscenza e dei modi di vita propri di un ambiente; morale, inteso come apprendimento di comportamenti assunti in relazione a norme e valori; civile, come conoscenza delle regole e dei diritti della vita democratica; spirituale, definibile in rapporto con la sfera soprannaturale e religiosa; professionale, che rimanda all’acquisizione delle competenze che servono per operare all’interno del mondo del lavoro; sessuale, come identificazione e appartenenza al genere maschile e femminile».
A noi interessa ovviamente in modo particolare quel riferimento all’aspetto “soprannaturale e religioso” che dovrebbe essere affrontato, secondo le istruzioni ministeriali, con la “cooperazione attiva” di più componenti del corpo insegnante, operanti ciascuno distintamente ma in un comune “quadro intenzionale di senso e di significato”. Poiché le idee religiose non possono entrare in discussione a proposito di evoluzione (ma non solo!), è chiaro che dovranno essere gli insegnanti di scienze (o di altro) a compiacere quelli di religione, stando attenti a non compromettere troppo il benessere degli alunni instillando nella loro mente conoscenze troppo in disaccordo con la catechesi: un caso classico di disinformazione scientifica “dall’alto”.
Spinto dalla curiosità, ho trovato più o meno gli stessi concetti fra i programmi ministeriali del 1955 (scritti in base al DPR 503 del 14 giugno 1955), quelli che hanno stabilito le linee guida della scuola elementare che io stesso ho frequentato. A prima vista gli intenti ministeriali erano ottimi, a partire dalla affermazione che la “finalità prima” della “scuola primaria” è culturale:
«Essa promuove nei fanciulli e nelle fanciulle l’acquisizione di tutti i tipi di linguaggio e un primo livello di padronanza delle conoscenze e delle abilità, comprese quelle metodiche di indagine, indispensabili alla comprensione intersoggettiva del mondo umano, naturale e artificiale, nel quale si vive. In questo senso, aiutando il passaggio dal “sapere comune” al “sapere scientifico”, costituisce la condizione stessa dell’edificio culturale e della sua successiva sempre più approfondita sistemazione ed evoluzione critica».
Propositi nobili, indubbiamente, di una nazione moderna; peccato che poi si conceda alla religione quello che in base ai presupposti le dovrebbe essere negato: mettendola al primo posto fra le materie di insegnamento. Inoltre i suoi programmi risultano i soli a non essere esposti dal Ministero, ma vengono lasciati al libero volere della Chiesa con la semplice istruzione: «Si rimanda alle indicazioni vigenti o a quelle che saranno indicate d’intesa con la CEI». L’insulto alla scienza si completa allorché si definiscono poi gli “Obiettivi specifici di apprendimento” fra i quali primeggia una «introduzione al pensiero razionale, da coordinare in maniera particolare con tutte le altre discipline nelle attività educative e didattiche unitarie promosse». Sarà a tutti ben chiaro che in definitiva si era sempre costretti a conciliare il diavolo con l’acquasanta: sacrificando il diavolo!
Ma il problema data da ben lungi. Per farcene un’idea andiamo indietro di tre secoli, a Giovanni Amos Comenio (1592-1670) teologo, filosofo, educatore (…e molto altro), uno dei più grandi pedagogisti europei, propugnatore fra l’altro di una efficiente e capillare istruzione pubblica. Di lui viene ricordato in particolare un testo innovativo, dal titolo “Orbis sensualium pictus” (del 1658), un lezionario di cose ed azioni scritto per l’infanzia (in pratica una piccola enciclopedia illustrata), con l’intento di porre le premesse per una sana formazione civile e spirituale. Il sottotitolo dell’opera ne descrive chiaramente l’oggetto, “Un mondo di cose palesi ai sensi mostrate con immagini”, anticipando l’assunto di John Locke (1632-1704): non vi può essere nulla nell’intelletto che non sia passato per le vie del senso. Comenio puntualizza così gli intenti educativi della sua opera: vedere coi sensi (tramite le illustrazioni) ciò che altrimenti si apprenderebbe astrattamente; imparare ad apprendere; prepararsi a studi più approfonditi. Bisogna ovviamente perdonare benevolmente il fatto che, dati i tempi, questo nobile intento sia in qualche modo tradito, ad uno sguardo moderno, dalle pagine che inevitabilmente parlano di argomenti religiosi, ovvero di cose che in effetti non si apprendono con i sensi, e che lodano la sapienza del creatore, “fonte inesausta di ogni cosa”. Ma è triste pensare a come tutt’oggi persista questa oramai ingiustificata commistione fra scienza e teologia nei nostri programmi di insegnamento.
Da L’ATEO 1/2017