Istruzione pubblica e religioni in Belgio e in Italia: la “piccola differenza”

di Yves Ramaekers

 

La situazione dell’insegnamento in Belgio è per molti aspetti simile a quella dell’Italia. In entrambi i paesi c’è, da un lato, una scuola pubblica e cosiddetta laica e, dall’altro, un insegnamento privato, che è prevalentemente cattolico in Belgio, e quasi esclusivamente cattolico in Italia. I due sistemi d’insegnamento sono finanziati con fondi pubblici e concorrono al moltiplicarsi di quei fenomeni che in Belgio vengono chiamati “comunitarismo” (linguistico, religioso, etnico, filosofico, ecc.).

Oltre la qualità degli edifici scolastici, l’ambiente che vi regna e i fondamenti filosofici, la piccola ma considerevole differenza tra Italia e Belgio gira attorno alla questione dell’insegnamento della religione.

In Belgio, innanzitutto, quale religione? Molte religioni sono infatti suscettibili di essere insegnate dai professori designati dalle diverse autorità religiose, e quindi al di fuori della scuola e delle sue istituzioni. In Italia, invece, la scelta è tra il corso di religione cattolica e il nulla. In Belgio, la scelta è tra il corso di morale, detta laica, e un menù composto da diversi corsi di religione: cattolica, protestante, ebrea, ortodossa, musulmana (tutte monoteistiche e ispirate da un medesimo Libro).

In un articolo pubblicato di recente sulla rivista Espaces de libertés, il presidente del CAL (Centro d’Azione Laica), Henri Bartholomeeusen osserva: «Nel momento in cui la nostra società tende a chiudersi attorno a vecchie identità comunitarie, nel momento in cui la scuola si appoggia in maniera massiccia su logiche di separazione (accademiche, etniche o religiose), occorre sostenere un insegnamento inclusivo ed emancipatore. E questa è precisamente la vocazione del corso di filosofia e di cittadinanza», ed aggiunge: «L’instaurazione di questo corso è ovviamente una vittoria per il movimento laico. Ma una vittoria sbiadita, perché incarna uno spiacevole compromesso alla belga» [1].

In Belgio, infatti, da qualche anno, si sta discutendo e gettando le basi di un corso di “cittadinanza” alternativo all’insegnamento tanto della religione quanto della morale laica, la cui denominazione, con un accordo raggiunto alla meno peggio dovrebbe essere CPC (Cours de Philosophie et de Citoyenneté).

Fino a poco fa, la scuola belga viveva sotto il regime del cosiddetto Patto Scolastico del 1959. Una sorta di Concordato per l’insegnamento, tanto per continuare il paragone con l’Italia e con il regime istituito dall’aberrante articolo 7 della Costituzione italiana. Un Concordato, come abbiamo detto, aperto però a più religioni nel caso del Belgio.

Questo Patto scolastico istituiva una sorta di tregua al violento confronto tra, da un lato, i fautori di un insegnamento pubblico, di tutti e per tutti, il solo logicamente a poter essere finanziato dalla fiscalità generale e, dall’altro, quelli dell’insegnamento cattolico che esigevano — ed hanno ottenuto — che anche le loro reti private d’insegnamento fossero in grandissima parte sovvenzionate dal denaro pubblico.

Ma il 12 marzo 2015 succede un fatto dirompente: la Corte costituzionale dà ragione ai genitori (italiani!) di un bambino di una scuola di Bruxelles: il loro figlio non sarà obbligato a scegliere tra un corso di religione e un corso di morale laica. Questa sentenza fa giurisprudenza e spinge la classe politica a istituire un insegnamento alternativo e non “morale”: il cosiddetto “corso di filosofia e di cittadinanza” (CPC), appunto.

Con questa decisione, la situazione certamente evolve, ma soltanto nell’insegnamento pubblico. In quello confessionale (sostanzialmente cattolico), nulla cambia. Là, gli studenti restano nella loro bolla di vetro, e tanto peggio per la cittadinanza e la filosofia. Ma, in questo breve articolo, tralasceremo di parlare della scuola cattolica e dei suoi limiti, che gli italiani conoscono già bene. Esamineremo dunque, rapidamente, la situazione della scuola pubblica, la sola in cui si sta istituendo l’insegnamento della filosofia e della cittadinanza.

Di per sé, il CPC è un’eccellente idea, il cui obiettivo è «favorire le condizioni che permettono agli allievi che provengono da orizzonti diversi di costruire insieme una società».

Pensate: due ore per costruire insieme una società, due ore per riflettere insieme per un miglior benessere, per preparare il mondo di domani, prepararsi al mondo e partecipare alla sua elaborazione. Due ore per aprire i propri orizzonti, interrogarsi sul senso della vita, sintetizzare le grandi evoluzioni, dotarsi ciascuno di una cultura condivisa e contaminata da altre culture. Due ore per inserire il proprio “io”, così importante per lo sviluppo individuale, nel “noi”, noi gli esseri umani di qualsiasi origine, di qualsiasi luogo.

La realizzazione di un tale corso avrebbe potuto essere idealmente perfetta, se l’insegnamento pubblico non avesse dovuto fare nuove e ulteriori concessioni alle diverse religioni e ancora una volta tagliare la mela in due: un’ora di religione e una di filosofia-cittadinanza, per gli allievi che seguono (per scelta o per costrizione) un corso di religione; gli altri, ossia tutti coloro che non vogliono sottoporre la propria educazione alla religione, la scelta sarà tra un’ora di morale più una di filosofia-cittadinanza oppure due ore di filosofia-cittadinanza.

Ma le cose dovrebbero potersi sistemare meglio, non appena si sarà un po’ sbrogliata la matassa. Per ora passiamo sopra con pudore sul lato farsesco di un corso di filosofia assegnato comunque a professori di religione: anche questo dovrebbe sistemarsi presto, con professori specificamente formati per il nuovo insegnamento. È probabile che quest’insegnamento, messo su in fretta e con mezzi di fortuna, e che è soltanto ai suoi inizi, possa trovare gradualmente la sua vera dimensione e che, alla fine, possa restare un solo corso di filosofia e di cittadinanza, di due ore per tutti, con un unico professore appositamente formato ed un po’ di ragionevole coerenza.

Piccola parentesi: in modo più generale, ci si chiede cosa c’entri la religione (cosa eminentemente soggettiva, intima e privata) con la scuola. E ci chiediamo, anche, che bisogno ci sia di una scuola fondata su un’appartenenza religiosa (inevitabilmente particolare e settaria) in una società che si vorrebbe inclusiva e aperta a tutti. Sono domande fondamentali, che aspettano ancora di essere chiaramente formulate. In Belgio come in Italia.

A questo proposito, il presidente del CAL (Centro d’Azione Laica) conclude: «In fin dei conti questa vicenda dimostra l’esistenza di due concezioni radicalmente opposte. Da un lato, si tratta di dotare i ragazzi di una pluralità di riferimenti e di strumenti di pensiero per renderli atti alla autodeterminazione (sviluppare l’autonomia del soggetto). Dall’altro, si tratta di ancorare gli stessi ragazzi ad un sistema di valori — o dogmi — prima di lasciarli aprire ad altri riferimenti (sviluppare un’identità del soggetto conforme alla sua famiglia, alla sua comunità)».

E aggiunge giustamente: «Sì dunque, il movimento laico continua a sostenere che tutti gli allievi di tutte le scuole dovrebbero seguire due ore di filosofia e di cittadinanza alla settimana. Perché si tratta di una materia fondamentale che giustifica un corso specifico che nessuna lezione di religione può sostituire» [2].

L’idea che dovrebbe guidare tale corso di filosofia e cittadinanza è che tutti i ragazzi e le ragazze dovrebbero essere aiutati a sviluppare una cultura generale solida, che permetta di fare la sintesi tra i diversi altri corsi detti generali: lingue, letterature, scienze, storia, ecc., e di legare così pensiero, ragione, esperienza e conoscenza alla vita quotidiana del cittadino.

 

Note

[1] Henri Bartholomeeusen, «Conjuguer apprentissage de la liberté et de la démocratie?», Espace de libertés, Avril 2017 (traduzione in italiano a cura dell’autore di questo articolo).

[2] Henri Bartholomeeusen, idem.

 


 

Yves Ramaekers è membro del Consiglio d’Amministrazione dell’associazione ALBI (Action Laïque Belgo-Italienne). L’associazione ALBI sostiene le persone e le associazioni che difendono, in Italia, i valori della laicità politica e filosofica, e che si battono per la separazione tra Chiesa e Stato e per i diritti degli atei e degli agnostici, in nome del libero pensiero. (Per saperne di più: www.albi.be).

Da L’ATEO 4/2017