Ateismo e agnosticismo nella Grecia antica

di Fabio Bianchi

 

Ripercorrere, seppur brevemente, la storia dell’ateismo e dell’agnosticismo nel pensiero greco antico non è possibile senza accennare alla nascita della filosofia, avvenuta appunto nella Grecia antica nel VI secolo a.C. S’intende qui come filosofia un atteggiamento critico nei confronti della realtà, dei rapporti sociali, delle credenze collettive e delle tradizioni, che investe qualsiasi ambito del sapere e dell’agire umano.

Viene messa in discussione, da parte dei cosiddetti filosofi naturalistici, l’origine del mondo materiale, da sempre attribuita alle divinità, ora invece ricondotta a sostanze materiali o comunque a eventi non riconducibili al mondo divino. Sono sottoposte a critiche radicali le tradizionali forme di convivenza sociali e di istituzioni politiche, con il risultato di aprire la strada alla formazione delle poleis e della democrazia (seppur assai diversa da quella moderna). Nasce, con Ippocrate, la medicina razionale, che vede nella malattia non più un insieme di fenomeni strani, disordinati o connessi a fattori soprannaturali, ma una concatenazione di eventi legati tra loro e riconducibili a cause naturali.

L’indagine critica e razionale non risparmia neanche le conoscenze matematiche più consolidate e oggettive: i Greci inventano, di fatto, il concetto di dimostrazione in ambito geometrico. È noto, ad esempio, che anche le altre civiltà evolute, in Oriente, conoscevano il legame tra i cateti e l’ipotenusa di un triangolo rettangolo (il cosiddetto teorema di Pitagora). I Greci, tuttavia, sono i primi a elaborarne formale dimostrazione, scoprendo, tra l’altro, i numeri irrazionali (si narra che proprio questa scoperta mise in crisi i circoli pitagorici) e aprendo la strada alla scienza moderna.

Questo atteggiamento marcatamente razionale e critico del pensiero greco pare riconducibile, o comunque è strettamente connesso, alla nozione del termine logos, che ha più significati, anche diversi tra loro, e che può essere tradotto con linguaggio, pensiero, discorso, calcolo, rapporto, ragione discorsiva. Per gli antichi Greci, parlare significa quindi anche, allo stesso tempo, rendere ragione di ciò di cui si sta parlando, darne evidenza, dimostrarlo come vero o comunque inconfutabile (una traccia di questo è forse rimasta nella nozione, tutta toscana, di “ragionare”, nel senso di parlare con qualcuno, di discutere). Nessuna affermazione o discorso può essere imposto o accettato se non viene sottoposto a esame, verifica, condivisione, dimostrazione. Le autorità tradizionali non sono più riconosciute come tali.

Da quanto sopra accennato, è evidente che anche la religione (anzi, soprattutto la religione) non può non essere oggetto di valutazione critica da parte dei pensatori greci, dato che le credenze e le affermazioni sul mondo divino sfuggono completamente a qualsiasi forma di verificazione. La distinzione tra ateismo e agnosticismo, che anche per noi non è del tutto pacifica, non fu oggetto di indagine nel pensiero antico (il termine “agnosticismo”, come noto, fu introdotto da Thomas Henry Huxley nel 1869 per indicare lo scetticismo religioso). È certo però che il termine “ateo”, senza Dio, fu utilizzato esplicitamente e consapevolmente dai pensatori greci dell’antichità. L’elenco degli antichi che hanno mostrato il loro scetticismo, più o meno esplicito, nei confronti della religione è lungo, nonostante le poche testimonianze rimaste.

Già i primi filosofi (Talete, Anassimandro, Anassimene), operanti a Mileto, saranno successivamente chiamati naturalisti, perché rifiutano di spiegare i fenomeni fisici con il ricorso a forze sovrannaturali, mitologiche o divine. In particolare, contestano le cosmogonie tradizionali, rappresentate dalle teogonie di Esiodo, che spiegano l’origine del mondo materiale con il mito e l’azione divina, e individuano negli elementi materiali il principio (l’arché) di tutte le cose. Alcuni importanti studiosi (ad esempio Vernant e Cornford) pensano che il passaggio concettuale tra racconto mitologico e spiegazione razionale sia meno importante di quanto ritenuto in genere dagli storici della filosofia, perché la seconda non sarebbe che una mera trasposizione della prima su un piano astratto e laicizzato. Resta il fatto, innegabile e significativo, che le divinità escono completamente dai sistemi di spiegazione e rappresentazione della realtà da parte dei filosofi di Mileto.

Senofane di Colofone (vissuto nel IV secolo a.C.) è il primo pensatore, in base a quanto sappiamo, che critica l’antropomorfismo religioso, contenuto nelle opere di Omero ed Esiodo, ma anche nelle credenze tradizionali. Illuminanti sono alcuni frammenti rimasti di suoi scritti: «Ma i mortali credono che gli dei siano nati e che abbiano abito, linguaggio e aspetto come loro» (Diels/Krantz, 21.14). «Ma se i buoi e i cavalli e i leoni avessero mani e potessero con le loro mani disegnare e fare appunto ciò che gli uomini fanno, i cavalli disegnerebbero figure di dei simili ai cavalli e i buoi simili ai buoi, e farebbero corpi foggiati così come ciascuno di loro è foggiato» (Diels/Krantz, 21.15). «Gli Etiopi dicono che i loro dei sono camusi e neri, i Traci che sono cerulei di occhi e rossi di capelli» (Diels/Krantz, 21.16).

In un altro frammento, Senofane si mostra più agnostico che ateo: «Il certo nessuno lo ha mai colto né alcuno ci sarà che lo colga e relativamente agli dei e relativamente a tutte le cose di cui parlo … Perché a tutti è dato solo l’opinare» (Diels/Krantz, 21.34). Al di là delle effettive idee sulla religione di Senofane, che non è possibile accertare, è indubbio che egli muova una critica di natura laica e razionale alle concezioni religiose correnti, e anticipi di circa 2.400 anni la posizione di Ludwig Feuerbach, secondo cui l’uomo ha creato Dio, attribuendogli caratteristiche del tutto analoghe a quelle umane.

La critica di Senofane riguarda non solo le credenze religiose correnti, ma anche la tradizionale figura dell’eroe, basata sulla forza fisica e sulla prestanza atletica. Si assiste alla nascita di una nuova figura d’uomo, il saggio, che è più adatto alla nuova polis e alle nuove forme di convivenza civile: «Se qualcuno … vincesse o per la velocità delle gambe o alla lotta … certo apparirebbe più glorioso agli occhi dei suoi concittadini … e la città gli offrirebbe il vitto a spese pubbliche e un dono che sarebbe per lui un cimelio, eppure, otterrebbe tutto questo, anche se vincesse alla corsa con i carri, senza esserne degno come ne sono io. Perché vale più la nostra saggezza che non la forza fisica degli uomini e dei cavalli … non è giusto apprezzare più la forza che non la benefica saggezza» (Diels/Krantz, 21.2). All’atleta, quindi, la città non dovrebbe dare nessun premio, che invece merita il saggio, ossia lo stesso Senofane, perché la sua sapienza è più degna e importante delle virtù fisiche.

Protagora di Abdera, il sofista più conosciuto, consigliere di Pericle, noto come colui che esplicitò il relativismo (epistemologico, ma anche etico), sostiene che: «Riguardo agli dei, non ho la possibilità di accertare né che sono né che non sono: opponendosi a ciò molte cose: l’oscurità dell’argomento e la brevità della vita umana» (Diels/Krantz, 80.1). Nonostante questo suo atteggiamento prudente (almeno secondo i nostri standard) sull’argomento, viene cacciato da Atene e i suoi libri sono bruciati pubblicamente nell’agorà.

Crizia, altro sofista, tiranno di Atene, parente di Platone per parte di madre, teorizza in modo esplicito che, poiché le leggi e la forza del potere, da sole, non sono sufficienti a garantire l’ordine sociale, è stato necessario inventare l’esistenza degli dèi, i quali sono in grado di conoscere persino i pensieri più segreti e, quindi, punire i malvagi per le loro azioni o anche soltanto per le loro idee. Un tempo, le leggi erano figlie di Zeus; adesso, afferma Crizia in modo esplicito e coraggioso, gli dèi sono figli delle leggi, inventati saggiamente dai legislatori con il solo scopo di incutere timore a chi intenda violare le leggi stesse. È l’uomo che ha creato la religione. «Suppongo, un qualche uomo ingegnoso e saggio di mente inventò per gli uomini il timore degli dèi, sì che uno spauracchio ci fosse ai malvagi anche per ciò che di nascosto facessero o dicessero o pensassero … Per tal via dunque io penso che in principio qualcuno inducesse i mortali a credere che vi sia una stirpe di dèi» (Diels/Krantz, 88.25).

Socrate, come sappiamo, fu processato e messo a morte dai suoi concittadini ateniesi per empietà. La corrente di pensiero nota come atomismo, riconducibile a Leucippo e Democrito, teorizza esplicitamente l’assenza delle divinità quali entità trascendenti che governano la realtà. Il mondo è costituito soltanto da atomi e vuoto; gli atomi, unità materiali indivisibili, elementari e dotate di movimento, sono il principio primo della realtà, eterni, immutabili, non generati, non distruttibili. Democrito non sostiene che gli dèi non esistono, e in questo senso non potrebbe definirsi ateo, ma ritiene che essi siano fatti di atomi, come gli esseri umani, che, quindi, siano esseri materiali e che non interagiscano con gli uomini. In ogni caso, il materialismo democriteo esclude che il mondo sia stato generato da entità sovrannaturali e che il comportamento dell’uomo sia in qualche modo influenzato dagli dèi.

Altre figure degne di essere menzionate in questo contesto sono Diagora di Milo, contemporaneo di Socrate, noto come uno dei più celebri atei dell’antichità e costretto a fuggire da Atene proprio a causa dell’accusa di empietà e ateismo; Teodoro di Cirene, vicino alla corrente dei cinici, conosciuto nell’antichità proprio con il nome di “ateo”; Evemero da Messina, che fornisce una interpretazione razionalistica della religione, secondo cui gli dèi erano uomini molto potenti effettivamente esistiti nel passato, divinizzati successivamente dai posteri e diventati appunto oggetto di culto e rappresentazioni mitologiche.

Antistene di Atene e Diogene di Sinope sono i fondatori della corrente cinica, che, più che professare un pensiero filosofico, praticano una vita randagia, rigorosa, indifferente ai bisogni materiali, tesa solo all’indipendenza da tutto e da tutti e alla ricerca della felicità. Il cinico, quindi, disprezza qualsiasi tipo di religione, che reprime le libertà individuali; il suo ateismo assume un atteggiamento sarcastico e insolente nei confronti degli dèi. Dice Diogene: «Il successo e la prosperità degli improbi argomentano contro ogni idea di provvidenza divina» (Cicerone, De natura deorum, XXXVII).

Sembra di intravedere l’ironia di Voltaire quando, in contrapposizione all’ottimismo di Leibniz che considera il mondo esistente come il migliore dei mondi possibili, opporrà i semplici fatti, ossia il terremoto di Lisbona. Gli epicurei riprendono le concezioni materialistiche e atomistiche di Democrito; gli dèi, fatti di atomi come l’uomo, esistono e sono immortali, ma sono completamente indifferenti alle sorti degli uomini, e non intervengono sulla materia.

Questa breve e sintetica carrellata è sufficiente per mostrare i livelli di consapevolezza e di profondità raggiunti dal pensiero greco antico, che anticipa le moderne riflessioni anche nel campo della critica alle religioni. Come diceva nel Medioevo, Bernardo di Chartres, siamo proprio come un nano sulle spalle del gigante.

 

Fabio Bianchi è nato a Fucecchio (Firenze) nel 1960 e vive a Pisa. Dopo una rapida carriera ecclesiastica, che lo ha portato a ricoprire il ruolo di vice capo chierichetto nella parrocchia di quartiere, è rimasto fulminato sulla via di Damasco e ha abbracciato la fede dell’agnosticismo. Ha una laurea in ingegneria (per sopravvivere) e una in filosofia (per vivere).

Da L’ATEO 1/2019