di Romano Oss
Dalla lontana provincia di Trento, lontana non solo per chilometraggio dalla capitale, ma anche per un’autonomia che, come spesso sogliono dire i nostri amministratori, è con la A maiuscola, voglio ritornare sul problema scuola pubblica/privata.
Quando parlo di privata, evito il linguaggio dell’ipocrisia che addolcisce il privato nel «non statale», perché privato ha un significato che, nel nostro sistema, si basa sia sul profitto sia sull’affermazione di un’identità condivisa solo da alcuni e non da tutti i cittadini dello Stato.
In Trentino le scuole private che contano sono cattoliche ed esercitano una pressione notevole sull’opinione pubblica, sfruttando campagne pubblicitarie basate su quelle considerazioni qualunquiste e superficiali dei genitori che vedono i punti di forza nel maggior controllo dei ragazzi, nell’impossibilità di scioperare o autogestire, nel trovarsi in una situazione protetta dai mali della società come droghe, fumo, alcool, e cosiddette cattive compagnie.
Io, che lavoro nella scuola da molti anni, so bene come queste situazioni protette, derivate da mancanza di fiducia nei figli, generalmente si risolvano in veri e propri boomerang; ma questo è un problema che riguarda altri.
Ciò che conta è che in Trentino è stata approvata una legge - la Legge Provinciale n. 29 del 1990 - che, in barba al 2° comma dell’Art. 33 della Costituzione, prevede il finanziamento pubblico provinciale alle scuole private mediante contributi in conto gestione e assegni agli studenti. E non sono proprio briciole quelle che vengono stornate dal bilancio provinciale della scuola pubblica; anche se le cifre esatte non si riesce mai a saperle.
Ora la situazione è ancora più grave: con la discussione, parzialmente approvata, sulla parità scolastica il Governo assegna alla scuola privata la Funzione pubblica, pari a quella svolta dalla scuola statale. Funzione pubblica che dovrebbe essere reale e controllata dallo Stato; il che rimane invece solo sulla carta e solo per chiedere denaro, perché, alla fine, il re è nudo, e le private vogliono solo denaro pubblico per mantenere inalterati i loro profitti e far fronte così al calo demografico.
Le scuole private, di fatto, la funzione pubblica non la svolgono per vari motivi tra cui: non prendono o dissuadono i ragazzi portatori di handicap dal frequentarle, così non devono pagare insegnanti di sostegno, non prendono alunni di altre confessioni religiose (per esempio islamici: l’ultimo caso è successo a Trento in novembre quando la scuola professionale delle Canossiane ha rifiutato l’iscrizione a una bambina islamica); e poi non esistono scuole private nelle zone periferiche o disagiate, e il numero di alunni per classe arriva anche a 32. Si può quindi dire che le scuole private svolgono un servizio pubblico dove sono garantiti i profitti; ma per svolgere la funzione pubblica dell’istruzione rimangono da soddisfare ancora molti parametri.
Se si vuole poi parlare delle differenze oggettive tra scuola privata e scuola pubblica, basti considerare che nella pubblica gli studenti sono i soggetti dell’educazione e dell’istruzione, in quella privata essi sono l’oggetto del condizionamento della tendenza, sia cattolica sia di altro genere. La scuola pubblica non pensa che si debba fornire un pacchetto di valori in termini assoluti e una proposta di vita preconfezionata: propone istruzione, indica valori che sono alla base della civiltà democratica, favorisce il confronto con l’altro, anche con l’alunno «diverso» inserito nella classe, educa al rispetto e alla libertà, è disinteressata all’ideologia perché ha superato il carattere ideologico e condizionatorio che le imponeva il fascismo, facendo anzi tesoro di questo superamento, e ha fatto del disinteresse ideologico un valore come condizione primaria della sua laicità. Si può dire lo stesso delle scuole private? Sicuramente no, ma ciò non è importante; ognuno può istituire scuole dove e quante ne vuole, ma pretendere che vengano finanziate dallo Stato per affermare idee che possono essere in contrasto con i principî dello Stato stesso non è possibile.
Il rischio che si corre è quello di un frazionamento dell’istruzione e della formazione dei cittadini.
Fino ad oggi, la scuola pubblica ha garantito a tutti una uguale opportunità di crescita e formazione; la parificazione può comportare l’istituzione di una scuola padana, di una islamica, di scuole new age, o di ogni altro particolarismo. Avranno tutte pari diritto al finanziamento, e i fondi verranno stornati dal bilancio della scuola pubblica, la quale verrà relegata al ruolo di ricettacolo di poveri ed emarginati; e così si scardinerà un sistema dell’istruzione che, pur con qualche difetto, rappresenta una garanzia di formazione democratica e civile. Probabilmente è questo ciò che si vuole, ma le conseguenze sono state analizzate?