di Luigi De Marchi, Roma
La religione ebraica appare fin dall’inizio inquinata da tratti sessuofobici. E altrettanto può dirsi del mazdeismo, la religione iranica di Ahuramazda da cui il giudaismo fu sicuramente influenzato. E questo stesso fatto sembra significativo perché, nei confronti delle religioni politeistiche circostanti (dall’egizia all’assiro-babilonese alla cananea), l’ebraismo si è dimostrato impermeabile. Forse non a caso, dunque, il mazdeismo presenta il «quadro clinico» delle dottrine etico-religiose sessuofobiche. Esso praticò un’aspra misoginìa (la donna mestruante era per i mazdei la cosa più impura dell’universo, dopo i cadaveri, ma più degli escrementi), mostrò un’intolleranza fanatica verso le altre religioni, sviluppò ossessivi sensi di colpa e terribili rituali per tacitarli (il poema sacro mazdeo, l’Avesta, prescrive 2.000 colpi di frusta per «espiare» una sola polluzione notturna) e attribuì al denaro un alto valore etico; e troveremo questa «mistica proprietaria» riprodursi puntualmente nelle fasi più arcignamente sessuofobiche del costume cristiano (dal feudalesimo al calvinismo all’epoca vittoriana).
Le tendenze sessuofobiche del giudaismo si accentuarono notevolmente dopo l’esilio babilonese ed egizio. Nel libro biblico dell’Ecclesiaste si leggono apostrofi di una misoginìa senza precedenti: «Più odiosa della morte considero la donna, il cui cuore è irto di trappole e di lacci e le cui mani sono catene: chi vuol piacere a Dio dovrà fuggirla». Questa misoginia si tradusse anche, per il maschio ebreo, in angosce per l’incolumità dei propri genitali (e rivedremo apparire questa preoccupazione in forma ossessiva durante i molti secoli della caccia cristiana alle streghe). Si predicò d’impedire ai bambini qualsiasi gioco insieme alle bambine, di evitare la convivenza della suocera col genero per evitare «tresche incestuose» e si maledissero le prostitute come portatrici di malefici miasmi (i mazdei, del resto, le avevano accusate anche di danneggiare i raccolti col loro sguardo). Sintomaticamente, a questo furore misogino si accompagnò una paura ossessiva dell’omosessualità. Un peccato addirittura mostruoso fu ritenuto la vista del padre nudo. Così l’intera razza negra fu considerata dagli ebrei condannata alla schiavitù perché il suo capostipite, Cam, penetrando nella tenda del padre lo aveva visto nudo, mentre gli altri figli salvarono se stessi e i loro discendenti solo perché avevano avuto l’idea di portare al padre i suoi indumenti camminando all’indietro, come i gamberi, per non vederlo.
Beninteso, in quella grande rapsodia sacra che è la Bibbia non mancano le eccezioni, tra cui primeggia la commossa esaltazione delle bellezza femminile nel Cantico dei Cantici (interpretata peraltro dal clero cristiano, sintomaticamente, solo come un’allegoria dell’amore di Dio per la sua Chiesa). E altre bizzarre eccezioni si possono considerare l’ingenua esaltazione biblica dell’incesto di Loth con le figlie o quei versetti che narrano come «gli angeli del Signore, vedendo quanto fossero belle le figlie degli uomini, discesero in terra, si accoppiarono con loro e n’ebbero molti figli».
Ma si tratta appunto di eccezioni che confermano la regola della sessuofobia giudaica. Questa regola ebbe nel cristianesimo non solo una continuazione, ma una sempre più esasperata accentuazione, nonostante le pretese di tanti esegeti dell’era contemporanea che amano rifarsi, a questo proposito, alle sibilline parole di Gesù alla peccatrice («Molto le sarà perdonato perché molto ha amato») o ai persecutori della donna adultera («Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra»).
Senonché, al di fuori di questi pochi versetti, anche il Nuovo Testamento è costellato di insegnamenti e precetti anche più sessuofobici di quelli dell’Antico. Basterà ricordare quel passo del Vangelo di Matteo (V, 27-28) ove Gesù dice testualmente: «Voi sapete che fu detto dagli antichi: Non commetterai adulterio. Ma io vi dico: Chiunque guarderà una donna con desiderio commetterà nel suo cuore adulterio con lei». La condanna della sessualità, limitata dagli Ebrei ai «comportamenti adulterini», viene dunque estesa da Gesù al semplice desiderio e al di fuori delle situazioni adulterine. E, sempre nel Vangelo di Matteo, ai discepoli che gli chiedono se, date le insidie della sessualità, non sia meglio vivere in castità, Gesù risponde: «Non tutti sono capaci di farlo. Vi sono eunuchi che nascono così dal ventre della madre e altri che sono fatti eunuchi dagli uomini. Ma vi sono anche eunuchi che si fanno eunuchi essi stessi, per il Regno dei Cieli. Chi riesce a far ciò, lo faccia». E Origene, uno dei Padri della Chiesa, prese alla lettera le parole di Gesù, evirandosi egli stesso. Né fu il solo: una setta dei primi secoli, collegando questi versetti al passo del Vangelo in cui Gesù dice «Se l’occhio tuo pecca, gettalo», prescrisse ai suoi neofiti l’autoevirazione. E il Concilio di Nicea dovette adoprarsi per frenare quest’intepretazione letterale dei Sacri Testi. Ma questi moniti di Gesù sono rose e fiori in confronto alla delirante sessuofobìa in cui sprofondò il cristianesimo grazie alle follìe dei suoi zeloti e dei suoi prelati. Già S. Agostino riuscì a far prevalere nella dottrina cristiana il principio che il sesso è la fondamentale fonte di peccato, anzi è l’essenza del Peccato Originale (Ex hoc vitio peccatum originale). La carne stessa diventa per Agostino la nostra radice più disgustosa perché, com’egli non si stanca di ricordare, «Inter faeces et urinam nascimur».
Non solo S. Agostino, ma tutta la predicazione patristica precipitò la morale cristiana in una satanizzazione del sesso destinata a cancellare o emarginare le istanze di amore, fratellanza e tolleranza umana che costituiscono l’apporto rivoluzionario del messaggio cristiano alla storia della civiltà. Così, per esempio, S. Gerolamo descrive il suo lancinante desiderio sessuale in una lettera alla vergine Eustochia, sua discepola: «Le mie membra erano ricoperte solo da un sacco lacero. Il mio corpo straziato giaceva sulla nuda terra. Eppure io, che per timore dell’inferno mi ero condannato a quei tormenti e alla compagnia degli scorpioni, mi vedevo in mezzo a donne lascive e il fuoco della lussuria divampava nel mio povero corpo ridotto quasi in fin di vita».
Ed ecco come S. Bernardo tentava di esorcizzare la sua divorante libidine: «Se consideri attentamente quello che fuoresce dalla bocca, dal naso e dagli altri orifizî del corpo umano, ti accorgi di non aver mai visto letamaio più repellente … L’uomo è soltanto sperma fetido, ammasso di sterco, cibo di vermi …». E S. Oddone di Cluny gli faceva eco con disgusto ancor maggiore: «Ma se rifiutiamo di toccare lo sterco o un flemmone anche con la punta del dito, come possiamo desiderare di baciare una donna, creatura di sterco?».
Questo delirio sessuofobico non fu di certo limitato al cristianesimo medievale. Esso attraversa come un filo rosso tutta la storia del cristianesimo, sia quello riformato che quello cattolico, e trova anche nell’era contemporanea espressioni sconvolgenti. Basterà un esempio particolarmente illustre: S. Maria Margherita di Alacoque. Questa santa, com’è noto, fu anche l’iniziatrice del culto del Sacro Cuore di Gesù, che le appariva fiammeggiante nelle sue allucinazioni e al quale sono dedicate tutte le Università Cattoliche del mondo. Conforme a una tradizione multisecolare, in un impressionante crescendo di masochismo, Margherita, per fugare le tentazioni, si inflisse penitenze sempre più atroci. Cominciò la sua vita monastica imponendosi di bere soltanto una volta la settimana, ed esclusivamente la risciacquatura dei piatti del convento; poi s’incise sul petto, con un coltello, il nome di Gesù, ribadendo l’atroce tatuaggio, che rischiava di cicatrizzarsi troppo rapidamente, con la fiamma d’una candela; o ancora, dovendo un giorno pulire il vomito d’un malato, avvertì, come ci confessa nel suo Diario (pubblicato nel 1915 con una prefazione del papa dell’epoca, Benedetto XV, che additava in Margherita «un modello per tutti i cristiani») «un impulso irresistibile a raccoglierlo con la lingua»; e infine, trovandosi ad assistere una donna malata di dissenteria e provando un senso di disgusto, s’impose d’inghiottirne le urine e ne avrebbe perfino inghiottito gli escrementi solidi se, come ci ricorda sempre nel Diario, non le fosse apparso il volto di Gesù che amorevolmente l’ammonì e la dissuase, ricordandole che «non era l’ora della refezione».
Molte altre religioni, dall’Islam all’Induismo, hanno avuto manifestazioni analoghe di esasperata sessuofobia, che ha poi lasciato segni profondi anche nel costume delle rispettive società. Ma il problema che si pone alla nostra coscienza moderna è di capire quali siano state le cause di questo diffuso delirio sessuofobico che ha afflitto tanta parte delle religioni, sia primitive che storiche.
Sigmund Freud sostenne che il tabù sessuale era il prezzo che l’umanità doveva pagare per la sua evoluzione culturale e scientifica. A suo parere, solo con la repressione della sessualità naturale era possibile quel processo di sublimazione degli impulsi sessuali da cui scaturivano le varie culture e la possibilità stessa di una convivenza «civile» tra gli umani. Senonché, come vari antropologi hanno poi dimostrato, non è riscontrabile, tra le culture primitive, nessuna arretratezza di quelle sessualmente permissive rispetto a quelle sessualmente restrittive. Anzi. A sua volta Wilhelm Reich, allievo eretico di Freud e profeta d’una radicale rivoluzione sessuale quale premessa d’una autentica rivoluzione comunista della società, vide nel tabù sessuale lo strumento basilare di quella gregarizzazione e fanatizzazione delle masse che sta alla base d’ogni regime dogmatico. Per parte mia, pur riconoscendo che gregarizzazione e fanatizzazione hanno nella repressione sessuale un fattore importante, non considero la sessuofobia il fattore primario della distruttività umana, ma solo una formazione reattiva e secondaria rispetto alla vera, primaria fonte della sofferenza psichica umana: l’angoscia della morte.
Come ho dimostrato nel mio libro Lo shock primario (Rai-Eri, 2002), con l’emersione della coscienza nel corso dell’evoluzione umana l’uomo ha scoperto con disperazione il proprio destino di morte, ha partecipato con immensa sofferenza all’agonìa e alla morte dei propri simili più amati e, travolto da questo shock, ha cercato di spiegarsi la morte come una punizione divina. Così i profeti, e non solo quelli giudaico-cristiani, videro la morte come la punizione inflitta agli umani per due basilari colpe: il godimento sessuale e il libero pensiero. L’immortalità delle origini poteva quindi essere recuperata solo rinunciando alla libertà di amare e di pensare, imponendosi la castità e sottomettendosi ai dogmi delle varie chiese. Il tabù sessuale, quindi, è stato ed è una difesa contro la più antica paura umana: quella della morte.
Ma non possiamo capire nulla delle attuali e passate tragedie umane se non comprendiamo che le promesse d’immortalità di tutte le religioni dogmatiche hanno generato non solo le immense sofferenze della repressione sessuale, ma anche quelle del fanatismo che tuttora ci delizia con le sue guerre sante.
L’AUTORE
Psicologo clinico e sociale, politologo, saggista, Luigi De Marchi è stato protagonista di una lunga battaglia per i diritti civili che ha portato alla legalizzazione della contraccezione. Pioniere europeo della ricerca psico-sociale, egli è stato l’iniziatore della «psicopolitica», un metodo di analisi psicologica dei grandi fenomeni sociali e culturali che ha portato a una teoria radicalmente nuova della cultura, della nevrosi e della conflittualità umana. È presidente dell’AIECS (Associazione Italiana per l’Educazione Contraccettiva e Sessuale) che organizza corsi di educazione sessuale umanistica. È autore di numerose opere di psicologia sociale e clinica, pubblicate in Europa e in America, tra cui: Sesso e civiltà, Laterza, Bari 1959; Sociologia del sesso, Laterza, Bari 1963; Wilhelm Reich: Biografia di un’idea, Sugarco, Milano 1970; Psicopolitica: Una sfida al conformismo di sinistra, Sugarco, Milano 1976; Scimmietta ti amo: Psicologia, cultura, esistenza da Neandertal agli scenari atomici, Longanesi, Milano 1984; AIDS: un libro bianco, anzi giallo, Sugarco, Milano 1987; Otto Rank, pioniere misconosciuto, Melusina, Roma 1992; Poesia del desiderio: Introduzione a un’educazione sessuale umanistica, La Nuova Italia, Firenze, 1992 (II ed., Sean, Roma 1998); Il manifesto dei liberisti: Le idee forza del nuovo umanesimo liberale, Seam, Roma 1995; Lo shock primario, Edizioni Eri-RAI Radiotelevisione Italiana, Roma 2002; Il solista: Un’autobiografia intellettuale, Edizioni Interculturali, Roma 2003.