di Paolo Turco
Sembra sia arrivata anche in Italia la moda - tutta statunitense - di contestare Darwin con argomentazioni metafisiche. Il prestigioso Istituto Stensen di Firenze, ad esempio, ha recentemente organizzato un percorso di incontri sul tema Evoluzionismo e antievoluzionismo - un contenzioso non ancora chiuso. «L’idea di proporre tale percorso» - leggiamo sulla brochure che presenta il programma - «è sorta dalle polemiche suscitate l’anno scorso dall’apparente esclusione dell’insegnamento della teoria dell’evoluzione biologica nella nuova riforma della scuola. La controversia è recentemente riesplosa sui media internazionali in seguito alle opinioni espresse dal presidente Bush di affiancare gli insegnamenti delle teorie neo-creazioniste a quelle evoluzionistiche». Francamente mi fa specie che i raffinati gesuiti dell’Istituto Stensen diano spago ai fondamentalismi made in USA - tanto più che la chiesa cattolica è da tempo scesa a patti con Darwin. Ma tant’è: le mode sono mode, e visto che questo tormentone dell’antievoluzionismo durerà un pezzo vale la pena di chiarire alcuni punti.
Due sono gli argomenti principalmente impiegati contro il darwinismo. Il primo è il cavallo di battaglia del vecchio creazionismo: quello che sostiene la natura meramente ipotetica della teoria dell’evoluzione e dunque pretende pari opportunità (di fatto, l’inclusione nell’ora di scienze e nei testi scolastici) per l’ipotesi creazionista. Sul termine “ipotesi”, in questa argomentazione, si fa un gioco decisamente scorretto. La creazione narrata dalla Bibbia è un racconto mitologico: che cosa significa definirlo una ”ipotesi”? Semplicemente ammettere che non ci sono prove: nessuna telecamera ha filmato dio barbuto mentre impastava la mota e soffiava la vita. Tutt’altra cosa è la natura ipotetica di una teoria scientifica, qual è a tutti gli effetti l’origine delle specie per selezione naturale di Darwin. Vale la pena di dare la parola al chimico tedesco Hofmann (contemporaneo di Darwin) per una definizione corretta dei termini “ipotesi” e “teoria”:
«La determinazione delle condizioni sotto cui i fenomeni si formano, della successione nella quale si presentano, la loro analogia o la loro dissimiglianza, infine la loro concatenazione sono altrettanti scopi dell’indagine: non è a sperarsi che si giunga mai a una chiara intelligenza della causa prima dei fenomeni e della loro natura. Ma anche la soluzione di quei problemi che non escono dalla cerchia a noi accessibile presenta difficoltà d’ogni genere. Anzi talvolta non riusciamo a superare tali ostacoli che ammettendo dietro certe presupposizioni i suggerimenti della nostra fantasia col soccorso dei quali colleghiamo insieme una serie di osservazioni e di esperimenti isolati. Ravvisando mediante tali presupposizioni le lacune delle nostre cognizioni, siamo subito posti sulla via di colmarle con nuove osservazioni e indagini. Se tali osservazioni o tali esperimenti conducono ai risultati che ci potevamo aspettare secondo le poste presupposizioni, abbiamo già fatto un grande passo verso la giusta intelligenza di un fenomeno. Tali supposizioni si chiamano appunto ipotesi (dal greco ypò, “sotto” e thesis, derivato da thitemi “pongo”). L’ipotesi è uno dei più pregevoli sussidi dell’indagine scientifica; ma nella maggior parte dei casi essa non ha che un’utilità temporanea, poiché deve essere estesa o ben anche deve essere abbandonata secondo che, per i risultati della continuata indagine, diventa troppo angusta oppure cessa di essere la esatta interpretazione dei fatti. D’altra parte se l’ipotesi abbraccia e spiega serie estese di fenomeni e se con gli esperimenti continuati vengono alla luce i risultati che l’ipotesi stessa aveva già messo in vista, se inoltre per le scoperte fatte si innalza più e più sulla scala della probabilità, essa perde il suo carattere provvisorio per associarsi alla fine col nome e col rango di una teoria (da theorèo , “osservo”) alle dottrine riconosciute della scienza».
Hofmann si riferisce, in questo brano, alla teoria atomico-molecolare enunciata negli anni sessanta dell’Ottocento - altra pietra miliare della scienza contemporanea. Eppure la definizione si attaglia perfettamente al lavoro di Darwin, così come a ogni corretto procedere del lavoro scientifico. Nessuna delle teorie scientifiche contemporanee pretende di dare una spiegazione definitiva e inconfutabile. La scienza è per sua natura aperta - altrimenti cesserebbe di essere scienza per diventare dogma. Ma una teoria scientifica è una cosa seria, non è la favola del dio biblico e della sua settimana lavorativa. La quale è confrontabile semmai con altri miti e come questi suscettibile di interpretazioni metaforiche, letterarie, antropologiche e quant’altro. Ma non può stare nel testo di scienze allo stesso titolo della teoria dell’evoluzione - come alcuni tribunali americani hanno per fortuna stabilito.
Il secondo argomento contro Darwin è più recente. Si tratta del cosiddetto Intelligent Design, in sigla ID, un movimento sorto negli USA una decina d’anni fa, che sta prendendo piede grazie al rinnovato fervore religioso che pervade la politica, ma che non ha affatto convinto la comunità scientifica. Le tesi dell’ID si differenziano dal creazionismo tradizionale nella misura in cui non si richiamano direttamente alla Bibbia, limitandosi a sostenere che il fenomeno della vita è talmente complesso da implicare necessariamente l’intervento di un “progettista intelligente”, la cui identità non viene mai specificata. L’ID si dà inoltre un po’ di belletto scientista utilizzando strumenti di tipo matematico-statistico per sottolineare l’improbabilità della “complessità specifica” che caratterizza gli organismi viventi. L’ID ha ricevuto risposte sdegnate da parte degli scienziati. H. Allen Orr, in un articolo sul New Yorker (ora tradotto in Le Scienze, n. 446, ottobre 2005, pp. 37-43) scrive:
«I biologi non sono allarmati dall’arrivo dell’Intelligent Design […] perché hanno giurato fedeltà all’ateismo materialista, sono allarmati perché l’Intelligent Design è spazzatura scientifica».
Il genetista inglese Steve Jones ha seccamente ricordato che tra l’Intelligent Design e la teoria dell’evoluzione
«…non esiste nessun dibattito. Darwin conosceva bene la teoria secondo la quale l’esistenza è talmente complessa, e talmente perfetta, da implicare l’intervento di un architetto. La conosceva e l’ha demolita. Le sue argomentazioni sono semplici e convincenti, e lo diventano sempre più a mano a mano che le approfondiamo. Ha usato un esempio basato sull’esperienza comune: l’occhio, che rimane tutt’ora la perfetta confutazione della teoria del progetto. Gli occhi sono strutture complesse e noi non siamo in grado di comprenderne tutti gli aspetti, ma le prove che si siano evoluti senza bisogno di un architetto sono schiaccianti. La loro apparente perfezione non confuta affatto, ma anzi avvalora la teoria dell’evoluzione, perché ogni occhio possiede dei punti deboli […] La melodia dell’occhio contiene molte note stonate, che lo fanno sembrare non tanto l’opera di un grande compositore, quanto quella di un esecutore insensibile: uno strumento costruito da un operaio maldestro anziché da un esperto ingegnere».
Ancora Allen Orr ci ammonisce su come gli scienziati valutino le teorie e le ipotesi scientifiche:
«Sebbene spesso si immagini la scienza come un insieme di brillanti teorie, gli scienziati sono in genere solidi pragmatisti: per loro, una buona teoria è quella che ispira nuovi esperimenti e fornisce intuizioni inattese su fenomeni noti. In base a questo standard, il darwinismo è una delle migliori teorie nella storia della scienza: ha prodotto innumerevoli esperimenti e fornito intuizioni inaspettate su questioni enigmatiche. In quasi dieci anni dalla pubblicazione del libro di Behe [l’autore si riferisce a M.J. Behe, Darwin’s Black Box, pubblicato nel 1996 e considerato una sorta di manifesto dell’ID], invece, l’ID non ha ispirato nessun esperimento interessante o fornito spunti sorprendenti per la biologia. Con il passare degli anni, l’ID sembra sempre meno la scienza che aspirava diventare e sempre più un prolungato esercizio di polemica».
Basta solo aggiungere un’ultima osservazione a proposito delle ipotesi scientifiche. Troppo spesso si dimentica che la logica della ricerca scientifica vuole che si escludano, comunque, le ipotesi superflue - come è appunto quella del “progettista intelligente”. La scienza non può esimersi dall’usare il “Rasoio di Occam”: non si devono postulare entità inutili.