L’Italia e la Scienza

di Vincenzo Terreni


Scienza e Tecnologia in Italia
La Scienza moderna è nata in Italia con Galileo e con lui se n’è andata dal nostro Paese, non solo come metodo d’indagine per ottenere nuova conoscenza sulla Natura, ma soprattutto come atteggiamento mentale nei confronti della realtà circostante da parte d’ogni persona. Manca da noi e da molto tempo, quella cultura scientifica diffusa che impedisce ad ogni cittadino di mettere sullo stesso piano opinioni differenti formulate su argomenti di carattere scientifico o tecnologico. Si tratta di un atteggiamento incoraggiato da una stampa ignorante e pasticciona che confonde la scienza con la politica, ambito nel quale ogni parere ha lo stesso valore così come ogni voto. Ma la scienza non è democratica: se una cosa è sbagliata non diventa giusta se lo stabilisce la maggioranza! La scienza richiede conoscenza e rigore: qualità, purtroppo, lontane da quelle richieste per accedere alle amministrazioni, agli incarichi gestionali, alla formulazione e promulgazione delle leggi che regolano la vita economica e sociale della Nazione.  
Eppure nel secolo scorso ci fu un’impetuosa rinascita della ricerca scientifica in ogni settore d’avanguardia. A Roma nacque la Fisica atomica: il Gruppo di Via Panisperna fu messo insieme da Orso Mario Corbino, fisico, ministro e senatore, con l’intenzione di dotare il nostro Paese d’un istituto di ricerca degno di questo nome. Dopo aver raggiunto risultati di assoluto valore il fascismo disperse per sempre questo patrimonio. Restò in Italia il solo Amaldi con il duro compito di ricostruire la Fisica in Italia.
A Torino la moderna Biologia: Giuseppe Levi, un istologo, ebbe tra suoi allievi Salvator Luria, Renato Dulbecco e Rita Levi Montalcini. Il primo fu costretto ad emigrare nel ’40; in seguito prese il Nobel negli USA dopo la naturalizzazione. Dulbecco partì dopo qualche anno dopo aver combattuto in Russia e nella Resistenza. Anche lui ha svolto tutta la sua attività negli Stati Uniti riconosciuta con un altro Nobel. Verso il 2000 Dulbecco è ritornato in Italia per smuovere, senza riuscirvi, le acque accademiche, novantenne è tornato definitivamente in California. Montalcini fu costretta ad emigrare per gli stessi motivi e per i suoi lavori conclusi negli USA ha ricevuto un altro Nobel. Solo a fine carriera è rientrata in Italia.
A Pisa l’Informatica; nel suo ultimo viaggio Fermi caldeggiò la costruzione del primo elaboratore elettronico: due stanze piene di valvole per 3 Kb di RAM. L’eredità della ricerca e dello sviluppo industriale fu raccolta da Adriano Olivetti, ma nel momento di massima potenzialità dell’industria italiana in questo settore, che già allora si configurava come strategico, la produzione di calcolatori cessò inspiegabilmente e l’Italia in breve tempo perse tutto.
Giulio Natta, altro premio Nobel, fondò la Chimica dei polimeri che divenne una realtà industriale e un settore di ricerca a livello mondiale; abbandonata la ricerca, la Chimica lascia solo inquinamento e coste rovinate, la ricchezza e i benefici si spostano lontano da noi. Carlo Rubbia, Nobel per il suo lavoro condotto a Ginevra sulla Fisica delle particelle, non ha retto neppure alla presidenza dell’ENEA per l’opposizione della Lega.
In questa situazione com’è possibile che la scuola riesca a dare una formazione scientifica degna di questo nome? A parte ritocchi marginali e sperimentazioni che hanno portato gli orari a livelli improponibili, l’impostazione degli studi rimane sostanzialmente la stessa dei primi anni del secolo scorso. Le Scienze vengono proposte come tutte le altre discipline cioè “raccontate”: non c’è quindi da stupirsi della diminuzione massiccia delle iscrizioni alle Facoltà scientifiche. I recenti interventi “riformatori” non hanno mutato la situazione, ma anzi hanno rafforzato la concezione che la Scienza si può studiare con un certo approfondimento solo nei Licei scientifici, negli altri indirizzi bastano poche decine di minuti alla settimana per affrontare quel che c’è da sapere per il cittadino normale.
Evidentemente in questa fase la Scienza non viene considerata strategica, mentre lo sono la finanza e l’informazione. Dove c’è stato, lo sviluppo industriale è passato come un rullo compressore sopra l’ambiente, lasciando, specialmente nel nostro Paese, un cumulo di rottami che si cerca di scaricare altrove e sul quale le ecomafie prosperano. In Italia non s’è nemmeno compreso che la cultura scientifica e tecnologica serve a mantenere e valorizzare anche il patrimonio ambientale e artistico, una delle risorse principali dell’ex Belpaese che ora si accontenta di vivacchiare con gli avanzi dei Paesi trainanti. La cultura scientifica, da noi, non è nemmeno in grado di porre all’attenzione generale il problema dello sviluppo sostenibile. Luigi Berlinguer ha ripetutamente affermato che: “Attualmente nel nostro Paese la cultura scientifica non viene considerata cultura” e quindi c’è chi continua a pensare di “svilupparsi” all’infinito a spese dell’ambiente locale e dei continenti dove si muore di fame, malattie e guerre. Quest’ultimo  è un argomento cui gli allievi sono molto sensibili e che potrebbe rappresentare la “motivazione di senso” – specie alle superiori – per l’insegnamento delle varie discipline scientifiche.

Libero pensiero
La “settimana antievoluzionista” si mise in piazza a Milano nel 2003 organizzata, con il patrocinio del Comune, da alcune formazioni di destra. Lo scopo era quello di dimostrare l’infondatezza scientifica dell’evoluzionismo. I titoli degli interventi e alcune frasi indicano con sufficiente chiarezza il clima e le finalità “scientifiche” della manifestazione. L’On. Pietro Cerullo di AN durante la conferenza stampa sostenne che: la teoria di Darwin è funzionale all’egemonia della sinistra, è nata quando in Europa dominava la cultura del positivismo che è l’anticamera del marxismo. Da parte del principale organizzatore si trattò di una dichiarazione pacata rispetto a molte altre. Falcio Nucci, allora vicepresidente della Provincia di Milano, di AN, si dichiarò convinto che sia meglio rintracciare le proprie radici in Romolo e Giove piuttosto che in quelle proposte dagli evoluzionisti che strisciano per terra, in quanto vermi. Nell’incontro conclusivo “Evoluzionismo: una favola per le scuole”,  la consigliera comunale di FI, Barbara Ciabò, suggerì di ispirarsi all’America, dove il creazionismo viene insegnato nelle scuole.
Un effetto positivo la manifestazione milanese l’ottenne stimolando l’organizzazione dei Darwin Day: un appuntamento nato in Inghilterra e negli Stati Uniti immediatamente dopo la morte di Darwin nel 1882  e che continua da allora essendosi diffuso in tutto il mondo. Queste giornate di riflessione sono un’occasione per difendere l’impresa scientifica attraverso i valori del razionalismo e della laicità; vengono organizzate il giorno del compleanno di Darwin. Oggi sono poche le città e le scuole italiane che non celebrano, con conferenze, seminari di studio, dibattiti, spettacoli teatrali, mostre e moltissime altre attività, Darwin e l’evoluzione per ricordare che la ragione e la scienza hanno consentito conoscenze altrimenti irraggiungibili. I Darwin Day della scuola sono diventati importanti occasioni di incontro e confronto tra scuola e università e una palestra attiva e vivace dove vengono presentati percorsi di studio innovativi realizzati dalle scuole.
Questo non significa che sia venuta meno l’offensiva da parte di chi nega l’evoluzione e con essa il valore stesso della ricerca scientifica: il “Disegno intelligente” – nome nuovo di un’idea vecchia come il mondo – è stato un altro regalo dagli Stati Uniti. Negli USA si è acceso un dibattito concluso in modo inequivocabile: si tratta d’una concezione al di fuori della scienza in quanto “non può distinguersi dai suoi predecessori creazionisti, e quindi religiosi”. Un giudice distrettuale ha quindi sentenziato che “la sua promozione da parte del distretto scolastico violava il Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti”, chiudendo la possibilità d’essere presentata come una “teoria scientifica”.

Che cosa fa la scuola?
La scuola italiana ha sempre sofferto di scarsa attenzione nei confronti dell’insegnamento scientifico e tradizionalmente considera scienze la Matematica e la Fisica, mentre le Scienze naturali sono rimaste, nella concezione generale, una cosa a sé, più vicina alla contemplazione e alla contabilità delle zampe degli artropodi. Gli stereo-
tipi di un tempo sono arrivati fino a noi: la Matematica è astratta e difficile e “non ci capisco niente”, la Fisica potrebbe essere anche concreta, ma succede un paio di volte all’anno di veder qualcosa e con “tutte quelle equazioni ci si perde”. Il risultato è fotografato dalle statistiche dei risultati di fine anno: la maggior parte delle insufficienze sono in Matematica e Fisica ai Licei scientifici (come a Greco e Latino nei classici e Lingue nei linguistici, ma questo è un altro discorso). Invece a Scienze naturali è raro che qualcuno prenda l’insufficienza sia per la struttura della materia (più descrittiva e apparentemente meno rigorosa) sia per la struttura delle cattedre (poche ore in molte classi in luogo di molte ore in poche classi, quindi è considerata materia con poco peso e di poche pretese).
Insomma la scuola non sembra raggiungere i risultati che si era prefissa: aumentare la conoscenza scientifica negli indirizzi scientifici, potenziare la cultura umanistica negli indirizzi specifici e così via. E poi non ci si fa proprio a fare un orientamento scolastico sulla base delle reali capacità e aspirazioni dei giovani che scelgono una scuola per trascinamento familiare o amicale. Del resto anche la valutazione si fa utilizzando spesso mezzi arcaici e strumenti grossolani oppure con strumenti raffinati utilizzati in modo grossolano. Insomma ciascun insegnante adotta il sistema che gli è più caro e nei consigli di classe nessuno si sogna di entrare nel merito delle valutazioni (o meglio dei voti numerici) di un collega: si prende semplicemente atto di ciò che ha scritto e da lì si parte per lo scrutinio. È una scuola che per la valutazione fa una media di impressioni di diversa provenienza ispirate da criteri differenti, senza alcun tentativo di mediazione o di reciproca conoscenza.
In questa situazione arrivano, nel 2000, le valutazioni OCSE-PISA! Il programma per la valutazione internazionale dell’allievo (Programme for International Student Assessment, PISA) è una indagine internazionale promossa dall’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) nata per valutare ogni tre anni il livello di istruzione. Degli adolescenti dei principali Paesi industrializzati viene studiata l’acquisizione di alcune conoscenze e abilità essenziali. Si tenta di conoscere la capacità di risolvere questioni che si possono presentare nella vita pratica utilizzando anche le conoscenze acquisite nel corso degli studi. L’indagine fa uso di questionari a risposta multipla, a risposta aperta e al problem solving: strumenti non proprio utilizzati da tutti nella nostra scuola. Il numero dei Paesi coinvolti, dalla prima edizione del 2000, è andato aumentando e l’Italia non poteva nascondersi. Nel 2003 le valutazioni internazionali collocarono il nostro Paese in una posizione di metà classifica, collocazione decisamente poco lusinghiera. I dati scorporati indicarono che al Nord le cose andavano benino, al Centro discretamente, al Sud una mezza tragedia.
Occorreva correre ai ripari e uno sparuto gruppo d’irriducibili insegnanti ripresentò un piano per la riqualificazione dell’insegnamento scientifico denominato ISS (Insegnare Scienze Sperimentali). Si trattava d’una proposta semplice e rivoluzionaria: lo studio delle Scienze sperimentali deve partire dalla osservazione diretta dell’oggetto di studio da parte degli allievi che ricorrono al libro per approfondimenti, sistematizzazioni, generalizzazioni ed esercizio, ma il libro non può sostituire l’osservazione diretta dei fenomeni naturali. Ovviamente gli insegnanti non possono essere lasciati soli ad affrontare questo compito: sono necessari seminari e sostegni che si prolungano nel tempo e dei riferimenti locali a cui ricorrere in caso di necessità. Per tre anni il Piano è andato avanti formando circa 500 docenti in tutta Italia, organizzando i presidi didattici in tutto il territorio, coinvolgendo musei e parchi. Poi è arrivata la “riforma” che ha diminuito le ore di scienze, ha aumentato le ore d’insegnamento per gli insegnanti, ha diminuito gli insegnanti e aumentato il numero degli alunni per classe. In questa situazione ogni possibilità di giungere ad una metodologia di lavoro diversa dal ciclo perverso mezz’ora di spiegazione e mezz’ora d’interrogazione è puramente casuale. La qualità, secondo la Ministra, si assicurerà con una maggiore selezione, come a dire se non imparate a scuola arrangiatevi, come è sempre successo.

Peculiarità dell’Italia
L’unica vera riforma della scuola è stata quella di Gentile: tanto, tanto tempo fa. Poi solo aggiustamenti e tentativi di cambiamento che, specialmente negli ultimi anni, si sono trasformati in una specie di palinsesto che un Governo prepara e quello dopo sostituisce con un altro diverso. Qualche tentativo di cambiare le cose con l’aggiunta di ore in modo centralizzato (Brocca) o polverizzato nelle singole scuole (sperimentazioni).
Tutto questo mentre in altri Paesi, che dovrebbero essere come il nostro, il processo di rinnovamento è continuo e finalizzato ad una preparazione al passo coi tempi che sfrutti bene la tecnologia attualmente a disposizione. La scuola e l’università non sono due insiemi disgiunti e le collaborazioni sono frequenti. In Francia, per esempio, il programma La main à la pâte è stato avviato nel 1996 su iniziativa di Georges Charpak, Premio Nobel per la Fisica nel 1992, Pierre Léna, Yves Quéré e l’Accademia delle Scienze, al fine di rinnovare l’insegnamento della scienza e della tecnologia nelle scuole promuovendo un metodo basato su un processo d’indagine scientifica. Gli USA si accorsero di perdere il confronto con l’URSS a causa del decadimento della qualità dell’insegnamento scientifico impartito nelle loro scuole e dopo l’ennesimo sorpasso nella corsa per la conquista dello spazio promossero un altro progetto delle dimensioni e dell’impegno di quello che aveva consentito la costruzione della bomba atomica per superare questo svantaggio. Si mobilitarono le migliori università e i migliori docenti per fornire degli strumenti di lavoro nelle scuole che fossero al passo coi tempi, vennero prodotti dei testi scolastici di Scienze sperimentali che hanno formato generazioni di giovani che hanno ricominciato a dedicarsi alle scienze con passione e profitto non solo in America, ma anche nei Paesi in cui questi testi sono stati adottati. In Italia arrivarono un po’ tardi, produssero degli effetti di grande portata, ma l’esperienza rimase delle dimensioni di una sperimentazione e dopo qualche anno tutto ritornò come prima.


Vincenzo Terreni continua ad occuparsi della rivista Naturalmente dopo una vita di insegnamento di Scienze naturali.