Arte senza dio

di Attilio Geva

 

Sto per accingermi a trattare un argomento che mi appassiona e mi coinvolge da molto tempo come artista e come ateo. Tuttavia prima di entrare nel vivo della questione, alla base di qualsiasi ragionamento, per avere una sia pur minima possibilità di intendersi, sarebbe necessario concordare, se non in pieno almeno in buona parte, su una definizione dei tre termini: arte, senza e dio.

L’unico dei tre che parrebbe relativamente facile è “senza” che vuol dire in assenza, in mancanza. Se cominciamo da questa preposizione, lasciando per il momento da parte l’arte pur non avendola ancora imparata, non preoccupandoci di definire chi o cosa sia questo dio assente, dobbiamo chiederci chi può indurre la mancanza di dio nell’arte. Questa semplice considerazione ci catapulta nel primo mare di guai. Già, perché l’arte c’è chi la fa (il trasmittente che mette il messaggio nella bottiglia) e chi la fruisce (il ricevente, lo stappa bottiglie), senza contare chi la critica (quello che riceve la bottiglia, la butta via e ne stappa una strampalata delle sue). L’artista può intenzionalmente ficcare dentro l’opera una rappresentazione di dio, cioè lui se lo immagina così e cosà e lo descrive nel linguaggio della sua arte. Ad esempio van Dyck dipinse un sacco di cristi oggi sparsi ovunque, è di per sé evidente che intendeva rappresentare proprio dio nella forma di figlio secondo le confuse normative della trinità cristiana. Altro esempio, Michelangelo nella Cappella Sistina voleva proprio rappresentare il dio padre mentre dà una schicchera ad Adamo. Da questo momento in poi parlerò esclusivamente di arti visive perché sono un pittore, ma anche musicisti e scrittori ovviamente hanno messo dio nelle loro opere.

Quando abbiamo dio nell’intento e nell’opera non è detto che la stazione ricevente lo percepisca, così possiamo avere un’arte prodotta con dentro dio che però al fruitore arriva senza. Viceversa abbiamo un’arte che parte senza e arriva con dio perché il fruitore ce lo vede o meglio ce lo aggiunge. Ad esempio prendiamo l’immacolata concezione del Tiepolo dove si vede la madonna con una colomba che vola sulla sua testa, il pittore voleva rappresentare il terzo membro del triangolo divino e cioè lo spirito santo, ma un fruitore boscimane, pur trovando curiosa l’immagine, non potrebbe in alcun modo vedere che dentro c’è dio. Supponiamo che invece un pittore dipinga una natura morta così stupendamente da indurre un fruitore a crederlo “toccato” da dio nel realizzare quell’opera al punto che l’opera stessa è permeata da dio anzi è opera interposta di dio. Supponiamo anche che il pittore prima di iniziare a dipingerla si sia recato dal notaio depositando un atto scritto e registrato in cui dichiara di non aver voluto rappresentare dio in alcun modo e per giunta si dichiara rigorosamente ateo senza ombre ipocrite di agnosticismo. Ecco un’opera in cui dio non c’è in partenza ma si materializza all’arrivo. Ecco anche spiegato perché l’intento artistico dovrebbe sempre essere depositato dal notaio ben prima che l’artista inizi un’opera. Questo semplice accorgimento innanzitutto farebbe felici i notai, poi viste le loro tariffe scoraggerebbe la produzione di molte opere di cui non si sente la mancanza e infine limiterebbe enormemente la cialtroneria degli artisti.

Su “senza” abbiamo detto abbastanza, occupiamoci un po’ di dio. Chi è, cos’è? Vien da ridere vero? Ci sono fiumi di pensieri e parole spesi in millenni di storia, guerre, massacri, migliaia di religioni differenti con molti oppure pochissimi fedeli, patetiche facoltà di teologia che si ammantano di scientificità, moltitudini di gente che in testa ha idee su entità divine che non saprebbe descrivere nemmeno usando migliaia di parole. L’unica cosa certa è che dio esiste solo in questa molteplicità, in questa confusione. È un’entità che si nasconde, è fatta esclusivamente di infinite descrizioni confuse e contraddittorie, sovente è semplicemente un marasma emozionale individuale incomunicabile formalmente. Roba da pregare quando si è disperati, cui chiedere miracoli, tra i quali il supremo è la vita dopo la morte cioè la non-morte. Figuriamoci se mi metto proprio io ad aggiungere una definizione, la mia l’ho già messa in qualche modo approssimativo proprio ora qui sopra. Ma è proprio la natura sfuggente e malandrina di dio che lo rende il soggetto e l’oggetto perfetto per l’arte. Quindi l’arte ha molto a che fare con questo dio vago perché lo rende meno tale, ci aiuta a immaginarlo con le immagini.

Ci serve a questo punto una definizione di arte anche se provvisoria ed eccoci fiondati nel secondo mare di guai. Diciamo che l’arte è fatta da artisti che producono opere con lo scopo di venderle e diventare ricchi e famosi in vita. Questo in generale è riuscito a pochissimi in passato e oggi in percentuale riesce ancora meno. Tutti sanno che a fare l’intermediazione fra noi umani e il dio vago da sempre ci sono le chiese, le sette, gli sciamani e compagnia bella. Loro sono stati e sono tuttora fra i migliori clienti di un’arte con dio rappresentato come lo vogliono loro. Qui subito qualche sapientone mi farà notare che l’Islam non rappresenta dio. Il fatto è che quel tipo di arte senza dio (rappresentato) ricorda tanto il “mi si nota di più” di Ecce Bombo. Non è che se si riempie di figure geometriche una moschea quell’arte sia senza dio, anzi ne è così zeppa da far venire il voltastomaco. Poi ci sono gli artisti credenti che dio nell’opera ce lo mettono per conto loro, così come se lo immaginano personalmente e qualche volta trovano il compratore ex post. Se dio nei dipinti non ce lo metti proprio perché, ad esempio, fai nature morte, paesaggi o quadri erotici ti sei escluso quella bella fetta di mercato che compra in nome e per conto di dio. Quindi riassumendo dio nell’arte c’è stato e c’è tuttora quando l’opera è finalizzata al marketing delle istituzioni religiose (oppure quando l’artista è credente o meglio credulone per conto suo). Se i papi si scannarono con gli iconoclasti della Riforma per tenersi strette le loro rappresentazioni di dio e compagni avranno avuto buoni motivi, non credete?

Ritengo che a questo punto si possa entrare nel vivo della questione. Quando parliamo di arte senza dio in questo contesto, su una rivista che si intitola “L’Ateo”, cosa dovremmo intendere? Di sicuro non pensiamo alle mele di Cezanne, ai bovi di Fattori o ai nudi erotici di Schiele, anche se lì dio non sembra presente, non è quel tipo di “senza” che c’interessa.

Noi atei vorremmo un’arte in cui sia presente, in cui venga affermata, proprio l’assenza di dio, questa è la realtà. Ora chiunque può facilmente capire che il compito è tutt’altro che banale, come si fa a dipingere l’assenza di qualcosa che si ritiene non esista? Di certo non ci sono metodi “diretti” allo scopo. Come dovrebbe comportarsi un pittore se volesse veicolare nelle opere il proprio ateismo? La soluzione più ovvia e anche la più praticata è quella di prendere come riferimento qualche affermazione su dio di una certa religione (scrittura o immagine, in qualsiasi forma essa sia) e dileggiarla, metterla in ridicolo, dissacrarla. Una sorta di iconoclastia blasfema. Il risultato però non è mai completamente soddisfacente, anzi spesso è stucchevole. Dal punto di vista del marketing poi è terribilmente svantaggioso, si sa, l’importante è “che se ne parli”. Se per ipotesi nell’intento di questa arte senza dio ci fosse anche quello di indirizzare il fruitore verso una “bellezza” dell’ateismo, di aiutarlo a immaginare con le immagini come sia bello un mondo senza dio, non è certo con la ferocia caricaturale nei confronti delle religioni che si otterrebbe lo scopo. Attenzione, non sto dicendo che la blasfemia caricaturale è sbagliata tout court, ché anzi sono un sostenitore accanito della blasfemia come diritto, sono convinto che la blasfemia vada praticata in barba a tutte le leggi, le sanzioni e i fottuti Coulibaly, anche a costo della vita. Sto solo dicendo che un’arte iconoclasta blasfema in primo luogo non è “senza” dio e in secondo luogo non contribuisce a creare un’estetica dell’ateismo. Sia detto per inciso che se digitate “estetica dell’ateismo” su Google non viene fuori praticamente nulla – il che può non essere un male. Oh, adesso che l’ho detto mi immagino i filosofi atei sfregarsi le mani con la bava alla bocca ansiosi di entrare in azione. Lo so, non vedete l’ora di elaborare la summenzionata estetica dell’ateismo e spiattellarcela bell’e pronta affinché noi artisti la si possa, anzi si debba, applicare nella realizzazione delle nostre opere. Già, perché secondo voi gli artisti lavorano con le mani e il cervello invece è compito vostro. E invece no miei cari, voi non contate nulla in questo campo, voi che come i critici d’arte vostri pari, non sapreste disegnare un gatto, venite sempre dopo di noi a spiegare a fruitori abdicanti e pigri quello che noi abbiamo fatto.

La chiamata è agli artisti, il nostro compito è quello di trovare il bello dell’ateismo e con esso permeare le nostre opere con la fulgida assenza di dio. Abbiamo bisogno di descrivere le nostre emozioni, quello che proviamo di fronte alla complessità e alla maestosità di questo mondo materiale, alla nostra infinita esiguità nei confronti dell’immensità del cosmo (scommetto che avete pensato “del Creato”). Necessitiamo di narrare con il cuore e senza dio tappabuchi questo nostro mondo caleidoscopico e inestricabile, così poco “nostro”. Sentiamo l’urgenza di rappresentare questo universo così enorme, così complesso, che la ragione e la scienza umana riescono solo a scalfire quando ce lo raccontano nel loro linguaggio ermetico, ostico, che per essere compreso richiede anni di formazione. Se Rembrandt vi emoziona dipingendo la Resurrezione di Lazzaro, noi artisti atei come possiamo emozionarvi parimenti utilizzando invece l’irrimediabile e consapevole abbandono della vita senza resurrezione alcuna? Forse tutto ciò richiede un pizzico di affabulazione e di teatralità nel raccontare le nostre “bellezze” in aggiunta alle solite tediose e pedanti spiegazioni filosofeggianti e agli sberleffi ateistici. Forse dovremmo creare un linguaggio visivo ex novo per un pubblico che possa sviluppare nuovi occhi, dovremmo riuscire a farla “vedere” questa bellezza. Se ci sono riuscite le religioni con le loro meschine scritture a ispirare gli artisti nella creazione di opere immortali, una visione atea del mondo dove porterebbe l’arte?

Ma ora mi sorge un dubbio, ma gli artisti atei esistono in natura? E se sì, che spazio ecologico occupano nella cosiddetta cultura contemporanea? C’è un Lorenzo de’ Medici ateo? Un mecenate che li aiuti nel portare al pubblico le loro opere di “arte senza dio”, che li tenga in considerazione? O esiste semplicemente un comune ateo mortale che si voglia comprare e appendere in salotto un “quadro senza dio”, una sorta di anti-crocifisso? Perché se così fosse io non me ne sono proprio accorto.

 

————————

 

Attilio Geva, anziano normodotato cui piace dipingere fin da bambino. (Le sue opere si possono vedere su www.geva-attilio.com).