La questione dell’ora di religione a scuola non riguarda solo le famiglie cattoliche e musulmane, ma anche le altre famiglie; in particolare quelle senza religione sono milioni e molto più numerose di quelle musulmane.
Finalmente si è aperto il dibattito sull’insegnamento della religione a scuola. La presenza di un milione di musulmani ha imposto di dibattere se continuare a privilegiare la sola religione cattolica, oppure se sia opportuno aggiungere un’ora di islam, oppure ancora se non sia più civile avviare un insegnamento generico di storia delle religioni.
Dell’esistenza di milioni di cittadini italiani non credenti, delle loro esigenze, del disagio che provano quando a scuola non ci sono accettabili insegnamenti alternativi, non si parla: troppo spesso la nostra associazione riceve lettere angosciate di genitori atei cui gli insegnanti dicono che il figlio è emarginato in classe perché non segue l’ora di religione; cosa dovrebbero fare? «Peggio per loro»?
A Vigevano sette genitori di alunni di una scuola media hanno denunciato «al preside, al procuratore della Repubblica, al provveditore agli Studi, al consiglio di istituto, alla Curia e alla stampa locale» (sic!) l’insegnante della scuola media statale dei loro figli, che aveva detto in classe di essere atea.
Recentemente il TG1, per sottolineare lo stato di degrado di una famiglia, ha sottolineato che la loro figlia «non era stata neanche battezzata!».
Da dove saltano fuori questi genitori e il giornalista che ha scritto l’articolo? Cosa gli è servito, da studenti, frequentare quest’ora di religione cattolica?
È urgente un insegnamento in cui si spieghi che tutti i cittadini hanno uguali diritti, compreso quello di insegnare nelle scuole pubbliche indipendentemente dalla loro eventuale religione o mancanza di religione e che sono genitori “normali” anche quelli che non battezzano i figli.
L’UAAR ritiene che il dibattito in corso debba partire dalla considerazione che agli studenti di ogni ordine e grado siano assicurate adeguate conoscenze sia sulle religioni, sia sulle concezioni del mondo e della vita non religiose, esposte senza alcuna connotazione di parte.
Su questa base, che riteniamo possa riscuotere ampi consensi, si potrà successivamente avviare un confronto sui tempi e sui modi con cui impartirne l’insegnamento. Ma il confronto, per essere veramente tale, dovrà necessariamente coinvolgere anche la cultura atea e agnostica: i cui esponenti di primissimo rango nel mondo filosofico, giuridico e pedagogico possono dare un contributo decisivo a raggiungere una soluzione ampiamente condivisa, che elimini ogni disagio anche nelle famiglie dei non credenti.