di Alessandro Capriccioli, Roma
L’otto per mille, istituito con l’art. 47 della L. 222/1985, è il meccanismo con cui lo Stato italiano, attraverso la scelta dei contribuenti, devolve l’8‰ del gettito fiscale IRPEF allo Stato, alla Chiesa Cattolica o ad altre confessioni religiose, per scopi definiti dalla legge.
Il meccanismo fu messo a punto a seguito del nuovo Concordato del 1984, con il quale la religione cattolica cessò di essere religione di Stato, e quindi per lo Stato stesso divenne impossibile pagare direttamente gli stipendi del clero cattolico, come invece avveniva a partire dal Concordato del 19291 (c.d. “congrua”).
Negli anni successivi lo Stato ha siglato analoghi accordi anche con le Assemblee di Dio (1986), con la Chiesa Valdese e con i Luterani (1995), con gli Avventisti e con le Comunità Ebraiche (1996); nel 2000, inoltre, lo Stato ha firmato intese anche con l’Unione Buddista Italiana e con i Testimoni di Geova, ma queste non sono ancora state ratificate dal Parlamento, mentre i Battisti hanno firmato un’intesa con lo Stato nel 1993 ma rifiutano di ricevere l’otto per mille.
Il meccanismo dell’otto per mille è apparentemente trasparente: ogni cittadino che presenta la dichiarazione dei redditi sceglie se destinare l’8‰ della propria IRPEF allo Stato, alla Chiesa Cattolica, agli Avventisti, alle Assemblee di Dio, ai Valdesi, ai Luterani, agli Ebrei, ovvero se non operare alcuna tra queste scelte.
È proprio in quest’ultima eventualità, tuttavia, che si annida la parte “non trasparente” della questione; perché tutte le quote dell’8 per mille per le quali non è stata esercitata alcuna scelta (che costituiscono decisamente la maggioranza) non rimangono acquisite al normale gettito fiscale (come sarebbe lecito attendersi), ma vengono comunque ridistribuite tra i sette beneficiari, nella proporzione corrispondente alle scelte effettuate da chi ha inteso esercitare l’opzione.
Per chiarire il meccanismo è opportuno avvalersi di un esempio pratico, utilizzando i dati relativi ai redditi dell’anno 2000, dichiarati nel 2001.
Importo complessivo dell’8 per mille |
€ 897.077.477 |
Contribuenti che hanno espresso la scelta |
39,62% |
Contribuenti che non hanno espresso la scelta |
60,38% |
Gettito IRPEF corrispondente alle scelte espresse |
€ 355.422.084 |
Gettito IRPEF corrispondente alle scelte non espresse |
€ 541.655.363 |
Ci si aspetterebbe, si diceva, che questi ultimi cinquecento e passa milioni di euro non siano stati destinati ad alcuno, poiché i contribuenti non hanno espressamente richiesto che tale destinazione avesse luogo; invece tali fondi, come previsto dalla legge, sono stati ridistribuiti tra i sette beneficiarî; vediamo in base a quale calcolo.
Quella che si deve prendere in considerazione è la sola quota di contribuenti che hanno scelto esplicitamente la destinazione del proprio otto per mille, per verificare quale percentuale abbiano ottenuto, relativamente a quella quota, i sette possibili beneficiarî; nella tabella che segue si riportano tali percentuali, espresse nella prima colonna in rapporto alla sola quota dei contribuenti che hanno esercitato l’opzione e, nella seconda colonna, in rapporto al totale dei contribuenti:
Beneficiario | % relativa al 39,62% | % sul totale |
Chiesa Cattolica | 87,25% | 34,57% |
Stato | 10,28% | 4,08% |
Valdesi | 1,27% | 0,51% |
Comunità Ebraiche | 0,42% | 0,16% |
Luterani | 0,31% | 0,12% |
Avventisti | 0,27% | 0,10% |
Assemblee di Dio | 0,20% | 0,08% |
TOTALE | 100,00% | 39,62% |
A questo punto si prende il totale dell’8 per mille non optato (pari, come si è visto, a cinquecento milioni di euro abbondanti) e lo si ripartisce tra i sette beneficiarî, nelle stesse percentuali risultanti dalle scelte di chi ha esercitato l’opzione: alla Chiesa Cattolica, quindi, andrà l’87,25% di quell’importo, allo Stato il 10,28%, e così via, con le sole eccezioni dei Valdesi e delle Assemblee di Dio, le quali non partecipano a questa seconda distribuzione, poiché devolvono la loro quota allo Stato.
L’effetto paradossale di questo meccanismo, effetto che balza immediatamente agli occhi, sta nel fatto che i beneficiarî dell’8 per mille (e in primo luogo la Chiesa Cattolica) si vedono distribuire non solo i fondi di coloro che hanno scelto a chi erogarli, ma anche il denaro di coloro che non hanno voluto esprimere alcuna scelta. Per dirla con semplicità, non c’è scampo: l’8 per mille dell’IRPEF di ciascun contribuente deve per forza essere destinato a uno o più di questi sette soggetti, che lo si voglia o no.
Il che produce, dati alla mano, ulteriori effetti ancora più paradossali.
Proviamo a leggere un’altra tabella: nella prima colonna sono evidenziati, per ciascun beneficiario, i fondi erogati in base alle scelte esplicite dei contribuenti; nella seconda colonna sono riportati i fondi che ciascuno ha ricevuto da coloro che non hanno esercitato alcuna scelta:
Beneficiario | Fondi derivanti da scelte espresse | Fondi derivanti da scelte non espresse |
Chiesa Cattolica |
310.105.768 |
472.594.304 |
Stato |
36.537.390 |
63.644.505 |
Valdesi |
4.513.860 |
0 |
Comunità Ebraiche |
1.492.773 |
2.274.953 |
Luterani |
1.101.808 |
1.679.132 |
Avventisti |
959.640 |
1.462.469 |
Assemblee di Dio |
710.844 |
0 |
TOTALE |
355.422.084 |
541.655.363 |
Com’era ovvio aspettarsi (il numero di contribuenti che non esercitano l’opzione è di gran lunga superiore al numero di coloro che optano), ciascuno dei sette beneficiarî (con le due eccezioni di cui si è detto) percepisce la maggior parte dei fondi non da chi ha voluto destinarglieli, ma da coloro che non hanno espresso alcuna intenzione in tal senso.
Muovendo dal presupposto (ovvio, per la verità) che chi desidera destinare l’otto per mille della sua IRPEF alla Chiesa Cattolica lo può fare (e in effetti lo fa) apponendo semplicemente una firma sul frontespizio della dichiarazione, si può desumere la considerazione (altrettanto ovvia) che chi non appone la firma non vuole quella destinazione: ciononostante, circa l’85% della sua quota di otto per mille sarà comunque destinata alla Chiesa Cattolica, in base al meccanismo di ridistribuzione di cui si è detto sopra.
La circostanza, già di per sé piuttosto anomala, diventa grottesca se confrontata con altre recenti normative, che mettono al centro dell’attenzione l’importanza del consenso dell’individuo, spingendolo fino alle estreme (e talora paradossali) conseguenze.
Un esempio?
Nella fase di formazione dei nuovi elenchi telefonici, in omaggio alla normativa sulla privacy, è stato inviato a ciascun abbonato un questionario nel quale, tra l’altro, occorreva dichiarare se si era disposti a ricevere comunicazioni di carattere pubblicitario; con la precisazione che un eventuale non pronunciamento da parte dell’abbonato doveva intendersi come un No. Non c’è bisogno di aggiungere che gran parte degli abbonati non sono stati mai raggiunti da quei questionari e, di conseguenza, non si sono espressi: ebbene, quegli abbonati non possono ricevere messaggi pubblicitari, a tutela, appunto, della loro volontà, espressa o presunta.
Il che comporta che, tra le altre cose, non possono ricevere neanche eventuali lettere o telefonate di enti senza scopo di lucro che li vogliano contattare per chiedere loro un sostegno economico.
Salta agli occhi la differenza?
Note
- Legge 27 maggio 1929, n. 810, Art. 30: “…Lo Stato italiano, finché con nuovi accordi non sarà stabilito diversamente, continuerà a supplire alle deficienze dei redditi dei benefici ecclesiastici con assegni da corrispondere in misura non inferiore al valore reale di quella stabilita dalle leggi attualmente in vigore…”