Vent’anni di UAAR

di Raffaele Carcano (responsabile sito uaar.it), Roma

La sfida fu lanciata il 4 dicembre 1986, in una pizzeria di Padova, quando tre amici, Rodolfo Costa, Martino Rizzotti e Lorena Ziron (i primi due docenti universitari, la terza insegnante di scuola media), decisero di fondare il comitato promotore di una nuova associazione che riunisse gli atei e gli agnostici italiani. Come ha scritto più tardi Martino, che già in quell’occasione fu incaricato di coordinare l’iniziativa, «a loro conoscenza non c’era nulla del genere in Italia, altrimenti avrebbero tentato di costituire semplicemente la sezione locale di un’associazione già esistente». L’idea era ambiziosa: «gli atei e gli agnostici avrebbero avuto così la loro associazione come i cattolici hanno la Chiesa cattolica e i buddisti le Comunità buddiste».

Perché quest’idea? Perché l’approvazione delle modifiche concordatarie del 1984 erano passate senza colpo ferire: in Parlamento con una maggioranza plebiscitaria, e nel Paese senza che l’ormai marginalissimo e residuale attivismo laico riuscisse a organizzare una parvenza di opposizione. Erano altresì state firmate le prime Intese: se il cattolicesimo non era più (di diritto, anche se non di fatto) “religione di Stato”, lo Stato iniziava tuttavia a discriminare tra religioni di serie A (la Chiesa cattolica), B (le confessioni con le Intese), C (le confessioni riconosciute), e D (le confessioni non riconosciute e i semplici credenti, protetti dall’articolo 19 della Costituzione). Chi non credeva non doveva partecipare al gioco. L’UAAR nacque per scompaginare le regole del gioco.

Il nome pensato inizialmente fu AAAR (Associazione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti), che fu cambiato in UAAR il 19 ottobre 1987, alla decima riunione organizzativa, nella quale il gruppo promotore decise di costituirsi in associazione. In quell’occasione i cinque presenti (Ferrarese, Platania, Rizzotti, Ziron e Zoppi) approvarono lo statuto proposto da Martino, che fu nominato primo segretario dell’associazione.

Gli inizî furono duri: l’associazione non aveva nemmeno un indirizzo (un’associazione come l’ANPI, dove per un certo tempo si svolsero le riunioni, non volle che la cosa si sapesse in giro «per riguardo ai partigiani cattolici»). A fine 1988 gli iscritti erano 27: il 18 dicembre si svolse tuttavia la prima assemblea pubblica. Nel 1991 fu deciso di costituirsi anche legalmente in associazione: il 18 maggio, davanti al notaio, gli undici soci erano tutti padovani. Così come erano padovani tutti e cinque i membri del Comitato di coordinamento: cionostante fu formulata la prima richiesta di un’Intesa con lo Stato. L’idea ambiziosa rimaneva identica, anzi, diventava sempre più nitida con il passare del tempo: «Rivendicare il principio della pari dignità di ogni scelta filosofica, al posto di quello più angusto della libertà di religione, richiedeva qualche passo concreto, anche se nessuno si illudeva che avremmo ottenuto risposta. Ci si ripromise fin dall’inizio, anzi, di praticare questo terreno con maggiore proprietà dal punto di vista giuridico non appena se ne fosse presentata l’opportunità».

Nel frattempo si era iscritto qualche primo timido socio non patavino. Anche allo scopo di “sprovincializzarsi” (vi era ancora un solo circolo, quello di Padova), si decise di tenere il primo congresso nazionale a Venezia. Il 6 dicembre 1992 l’assise approvò le prime Tesi dell’UAAR. L’ancora scarsa diffusione dell’associazione spinse, l’anno seguente, a organizzare riunioni con tutte le associazioni laiciste italiane in vista della creazione di un Coordinamento unitario, che rimase tuttavia sulla carta.

Il 26 novembre 1995 si svolse a Bologna il secondo congresso nazionale. Fu un momento estremamente critico per l’associazione, perché in quel periodo Martino Rizzotti, che di fatto mandava avanti l’UAAR quasi da solo, si ammalò gravemente. Non lo disse praticamente a nessuno, ma responsabilmente si dimise da ogni incarico, pur continuando ad assicurare un importante aiuto dall’esterno.

Al posto di Martino fu eletto segretario Romano Oss, di Trento. Fu lui che promosse il ricorso straordinario al Capo dello Stato contro il rifiuto di stipulare un’Intesa, formulato dall’allora Sottosegretario di Stato Lamberto Cardia, in quanto l’UAAR non ha «natura religiosa e confessionale»: il ricorso sarebbe poi stato vinto dall’associazione, anche se l’iniziativa legale, al momento in cui queste righe vengono scritte, è ancora in corso.

All’attività legale cominciava ad affiancarsi una buona attività culturale: nel dicembre 1996 fu pubblicato il numero zero del trimestrale l’Ateo, mentre nove mesi dopo nasceva anche il sito Internet. La conoscenza dell’associazione, a dieci anni dalla nascita, cominciava pian piano ad ampliarsi anche fuori dal Triveneto.

Il 17 maggio 1998 si svolse a Trento il terzo congresso. L’evento fu degno di nota soprattutto perché si presentò un giornalista di Avvenire, Roberto Beretta, ben deciso a scrivere un articolo di colore. Lo intitolarono «Gli ultimi atei»: prendeva in giro “Oss Romano”, il numero di 176 soci («meno dei panda in Cina») e l’età media dei partecipanti («Nella sala si sprecano capelli brizzolati, barbe sapienti (ma borghesucce) alla Scalfari, occhiali da miope con catenella; giovani scarsi davvero»).

Tre mesi dopo fu eletto segretario Luciano Franceschetti di Padova. Fu lui a condurre in prima persona la prima iniziativa legale vera e propria dell’UAAR, quella che a oggi è ancora la più importante: il diritto al cosiddetto “sbattezzo”. Il 9 settembre 1999 il Garante per la privacy, pur bocciando la richiesta di cancellare i propri dati dall’atto di battesimo, stabilì che l’arciprete di Padova doveva annotare sul registro dei battezzati la volontà di Luciano di non essere più considerato cattolico. Era il provvedimento che l’associazione attendeva per cominciare una vera e propria campagna di “sbattezzo”.

Un mese dopo fu eletto segretario Giorgio Villella. Era il terzo padovano su quattro, i soci erano ancora 272, e i circoli erano solo sei (Firenze il più meridionale). Si erano tuttavia finalmente create le occasioni per uscire dall’angusto ambito locale.

Il 2000 fu infatti l’anno della svolta: se l’UAAR fece il suo primo salto di qualità fu forse, se non probabilmente, merito dell’invadenza giubilare, che provocò quella presa di coscienza da parte della popolazione che nemmeno il Concordato era riuscito a determinare. A febbraio l’UAAR si presentò in Campo de’ Fiori per la ricorrenza dei 400 anni del rogo di Giordano Bruno. A marzo si accorse di noi il Corriere della Sera, che ci dedicò un lungo articolo a firma Michele Brambilla (un cattolico dichiarato: oggi è vicedirettore di Libero), pur non rinunciando alle ormai consuete note di colore (e alle ormai scontate battute su “Oss Romano”). Il 22 giugno una delegazione UAAR venne chiamata in Parlamento per un’audizione sul tema della cremazione. L’8 luglio un nutrito gruppo di soci UAAR provenienti da quasi tutta Italia partecipò con grande risalto al Gay Pride. In ottobre fu lanciata la campagna «Scrocifiggiamo l’Italia!» alla presenza di Marcello Montagnana, il nostro socio che in marzo aveva ottenuto un’importantissima sentenza di assoluzione sul caldissimo tema della presenza del crocifisso nei seggi elettorali. L’associazione stessa era cresciuta: era stata creata la mailing list [ateismo]; con la nascita dei circoli di Roma e Napoli l’UAAR aveva cominciato a spingersi più a sud; con l’arrivo di Vera Pegna furono avviati i primi importanti contatti internazionali. A settembre una sorta di “seminario” svoltosi a Firenze creò le premesse per la creazione di un vero e proprio gruppo dirigente nazionale. I soci, a fine anno, erano saliti a 474.

Il 2001 fu l’anno del primo raccolto. Tra il 9 e il 18 febbraio si organizzò la prima Settimana Anticoncordataria, a cui parteciparono soci da tutta Italia: fu una sfida difficile, visto che l’associazione non aveva alcuna esperienza organizzativa di questo tipo, ma il calore della gente e l’attenzione alle nostre tematiche ci convinsero definitivamente di aver imboccato la strada giusta. A fine anno si svolse a Firenze il quarto congresso nazionale, che anche visivamente dava l’idea del cambiamento: si svolse in una sede prestigiosa e, per la prima volta, nell’arco di due giornate. I soci erano diventati 879. Il congresso di novembre ci regalò tanti begli articoli (in particolare uno di Marco Politi su Repubblica), e costituì l’occasione per approvare le nuove Tesi. Con l’arrivo di tanti nuovi iscritti l’associazione era notevolmente cambiata ed era in qualche modo necessario discutere profondamente dei suoi scopi: le scelte fondamentali dell’associazione (l’Intesa con lo Stato, l’atteggiamento verso l’ora di religione, l’otto per mille) furono tutte sottoposte a discussione e votazione. Un mese dopo il giudizio del Vaticano, in questo caso Civiltà Cattolica, cominciava a essere un po’ più rispettoso («esiste nel nostro Paese un filone di pensiero e di azione, piccolo ma rumoroso, costituito da atei, agnostici e razionalisti, riuniti nell’associazione UAAR»). Un anno dopo la Conferenza Episcopale Italiana, riunita in seduta plenaria, dovette trovare il tempo per normare l’iter di accoglimento delle richieste di “sbattezzo” che andavano progressivamente aumentando di numero, supportate da altri ricorsi vinti presso il Garante.

Dal 2002 al 2004 l’associazione ebbe un assestamento fisiologico, inevitabile dopo due anni di fortissimo sviluppo: così com’era inevitabile che, cresciuto il numero di soci, crescesse anche la dialettica interna. Il 14 luglio 2002, nel giorno di svolgimento del quinto congresso nazionale (necessario per alcune modifiche statutarie di scarsa importanza) nacque il nostro Comitato di presidenza. Nel 2002 morì anche Martino. Il 29 e 30 novembre 2003, in collaborazione con la Federazione Umanista Europea, l’UAAR organizzò a Roma l’importante convegno internazionale La laicità indispensabile, per l’uguaglianza dei cittadini davanti alle istituzioni. Nel febbraio 2004 fu lanciato su scala nazionale il Darwin Day, che l’anno precedente aveva già fatto capolino all’interno del programma della Settimana Anticoncordataria. Nel frattempo era stato avviato il ricorso della socia S.L. contro i crocifissi nella scuola dei figli, che dopo due passaggi al TAR del Veneto, la Corte Costituzionale e il Consiglio di Stato è ora arrivato alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Il 20 e 21 novembre 2004 si svolse a Firenze il sesto congresso nazionale. Fu stato senz’altro il più difficile di tutti, in quanto visse lo scontro tra le due “anime” dell’associazione, quella che vuole concentrarsi sui nostri scopi sociali e quella che vorrebbe allargare i nostri interessi a valori quali il pacifismo. Paradossalmente, quel duro scontro servì in qualche modo a fare chiarezza: pur tra molte difficoltà, la crescita dell’associazione ricominciò già prima della morte del papa e del referendum, avvenimenti che pur fecero impennare ulteriormente le iscrizioni. A fine 2005 i soci erano 1346 e i circoli 22, grazie soprattutto all’impegno di Mitti Binda.

Il resto è storia recentissima. Nel 2006 abbiamo lanciato diversi progetti, da quello sull’ora alternativa all’osservatorio parlamentare; l’iniziativa contro i crocifissi ai seggi è andata oltre le più rosee alternative; è stato assegnato un Premio alla Mostra del cinema di Venezia e siamo riusciti a costringere il cardinal Ruini a concedere la possibilità di uscire dalla Chiesa cattolica anche attraverso un’annotazione sull’atto di cresima. I soci sono ora 1800, e l’associazione è presente in 35 province; l’Ateo è un bimestrale cresciuto in pagine e qualità; il sito raggiunge una media di 3000 navigatori al giorno; alcune migliaia di cittadine e cittadini si sono “sbattezzati”.

Cosa resta vent’anni dopo? Certamente, il segretario, come allora, è padovano, e il numero dei soci attivi non è cresciuto parallelamente al numero degli iscritti. È però diffusa la convinzione che si sia raggiunta la massa critica adeguata per cominciare a incidere seriamente. Il 2 luglio scorso si è svolto il settimo congresso, convocato esclusivamente per approvare un nuovo statuto, idoneo a ottenere dallo Stato il riconoscimento di associazione di promozione sociale. Al congresso, contrariamente a quanto profetizzato otto anni prima dal giornalista di Avvenire, gli under-40 erano probabilmente la maggioranza. Nonostante le cautele razionalistiche del caso, riteniamo che il futuro sia tutto per loro. Sta a loro contribuire a creare, attraverso l’impegno nell’UAAR, un’Italia diversa. E migliore.