di Antonio Vigilante, pubblicato in Tophet. Visioni dal fondo n° 3, foglio libertario. Foggia, 23/9/2007.
Nell’aprile del 1961 lo scontro tra Padre Pio e il Vaticano diventa particolarmente aspro: al frate viene proibito di celebrare le funzioni della settimana santa. Se la devozione popolare, venata di fanatismo, è certa della sua santità, le autorità religiose e parte dell’opinione pubblica guardano con sospetto crescente allo strano miscuglio di misticismo e superstizione, esaltazione religiosa e affarismo che cresce a San Giovanni Rotondo intorno al frate delle stimmate. È in questo periodo che l’Avanti! pubblica quello che ogni probabilità è il più grande attacco della stampa italiana al frate di Pietrelcina. Non si tratta, questa volta, di denunciare la falsità delle stimmate o il giro d’affari intorno al frate. L’accusa è più pesante. «Nel massacro di San Giovanni Rotondo Padre Pio fu con gli Arditi neri», titola il giornale il 2 aprile. L’articolo di Giancarlo Smidile per la verità è tutt’altro che stringente nelle sue argomentazioni, e tuttavia ha il merito di richiamare l’attenzione su un episodio della vita del frate effettivamente rimosso, dimenticato dalle infinite agiografie del santo – così come dimenticati, rimossi, cancellati sono gli innumerevoli episodi che, lungi dal testimoniare la santità del frate, attestano la sua insensibilità, la sua aggressività, la sua violenza verbale (la storia, ad esempio, di quella donna sofferente per la morte della sorella, che cerca conforto nel frate e invece viene da lui cacciata dalla chiesa perché menzognera o addirittura “satanica”).
Non ho l’ambizione di dire cose nuove sull’eccidio di San Giovanni Rotondo. Intendo piuttosto ragionare sui documenti disponibili, per la maggior parte pubblicati da Giosuè Fini1 in un libro che è una reazione sdegnata alle accuse dell’Avanti! e intende stabilire la verità storica contro le presunte calunnie dei socialisti.
Secondo la versione ostile al frate (ripresa ad esempio nel libro di Guarino Santo impostore, Kaos edizioni), le cose sono andate come segue. In quel periodo di grandi tensioni sociali che va sotto il nome di “biennio rosso” i socialisti vincono le elezioni a San Giovanni Rotondo. Al momento di insediarsi nel municipio, il 14 ottobre 1920, trovano la via sbarrata dai carabinieri che intendono impedire l’esibizione della bandiera rossa dal balcone comunale. È allora che un gruppo politico seguace di Padre Pio, gli Arditi di Cristo, provoca la folla che già si sta ritirando. Ne seguono i disordini che culminano nel fuoco dei carabinieri, che lascia a terra tredici morti. Tredici lavoratori. Nella zuffa perde la vita anche un carabiniere, in circostanze misteriose.
Cominciamo dagli Arditi di Cristo. Chi erano? E soprattutto: sono esistiti realmente? Giosuè Fini lo nega, portando come prova la relazione dell’ispettore di polizia Trani, che sconfessava quanto aveva sostenuto in Parlamento l’onorevole Maitilasso («un gruppetto di individui composto non solamente di popolari, ma anche di persone di altri partiti di cui fa parte un gruppo nuovo, in Italia e fuori, e lo dico perché altri possano imitarlo, un gruppo di arditi che si chiamano “arditi di Cristo”» - (Oh! Oh!) - «che hanno il gagliardetto nero con lo stemma pontificio, prese a dileggiare i dimostranti»)2. Dell’esistenza di questo gruppo politico non sembra esservi prova. Lo stesso Raffaele Mascolo, autore di un libro sull’eccidio di parte socialista, commenta le parole dell’onorevole Maitilasso osservando: «È certo però che si trattasse di Arditi d’Italia, gruppo in seno alla Sezione Mutilati e Combattenti con gagliardetto nero»3. Nessun partito di Padre Pio, dunque. È però da considerare il rapporto tra la Sezione Mutilati e Combattenti di San Giovanni Rotondo e il frate. All’epoca dei fatti Padre Pio è già un personaggio di grande rilievo a San Giovanni Rotondo. Ha ricevuto le stimmate ed è al centro di un’intensa devozione popolare. Tra i più devoti ci sono appunto i membri della Sezione Mutilati e Combattenti. Nell’estate di quello stesso 1920 c’era stato un primo tentativo di allontanare il frate da San Giovanni Rotondo, che era stato sventato dal pronto intervento della popolazione. Come testimonia lo stesso Fini, «le Sezioni dei Mutilati e dei Combattenti erano all’avanguardia nel promuovere le manifestazioni popolari per impedire l’allontanamento del caro Padre da San Giovanni Rotondo, ordinato dalle supreme autorità religiose»4. Questo legame speciale ha una ragione: il frate aveva miracolato la moglie di Michele Mondelli, presidente della Sezione Mutilati del paese. Se dunque non esiste alcun partito di Padre Pio, esiste però a San Giovanni un’organizzazione particolarmente legata al frate e piuttosto abile nel promuovere manifestazioni di piazza.
Per scongiurare il pericolo di una vittoria socialista, le forze conservatrici di San Giovanni Rotondo si coalizzano in un “blocco d’ordine” la cui anima sono i combattenti e i popolari. Come nota Mascolo, il Partito Popolare a San Giovanni Rotondo è un partito «spiccatamente confessionale, integralista, privo di respiro culturale, di autonomia rispetto all’apparato ecclesiastico, e con un indirizzo politico sostanzialmente conservatore…»5. Qual era la posizione di Padre Pio? Sciocco sarebbe immaginarlo immerso nelle sue avventure mistiche, indifferente alla competizione politica: basta la lettura della più sgangherata delle agiografie per rendersi conto che il frate, legato da unione mistica con il Cristo, è pure buon amico del potere politico, che lo gratifica di non pochi favori e riceve a sua volta prestigio e legittimazione (con uno scambio perfetto, come si conviene tra amici). Padre Pio è schierato, e non è difficile immaginare da quale parte.
Ma questo lo vedremo meglio tra poco. Intanto ricostruiamo la dinamica degli eventi di quel maledetto 14 ottobre 1920. È una mattina di sole. Un corteo di circa seicento persone, compresi donne e ragazzini, percorre il paese accompagnato dalla banda musicale. È una festa popolare consueta nei comuni conquistati dai socialisti. Giunti davanti al Municipio, i lavoratori trovano l’ingresso sbarrato dai carabinieri con le armi spianate, decisi a impedire l’ingresso delle bandiere rosse. I leader socialisti, il consigliere provinciale Di Maggio e il neo-eletto sindaco Luigi Tamburrano, arringano i lavoratori e li convincono a ritirarsi. A questo punto avviene la provocazione degli Arditi di Cristo, secondo la versione offerta in Parlamento dall’onorevole Maitilasso. Giosuè Fini, che afferma di essere stato in piazza quel giorno, offre una versione in fondo non troppo diversa. «Io» – scrive – «guardavo e ascoltavo la voce dei due oratori: vedevo i loro gesti, che invitavano alla calma, mentre la folla premeva e urlava. Il gruppo antisocialista – piccolo numero in verità - stretto vicino alla porta del Circolo dei Mutilati e Combattenti, gridava ugualmente, insistendo sul NO alla bandiera rossa sul balcone del Municipio»6. Fini non nega dunque che vi sia stata una provocazione, che secondo la fonte socialista avvenne mentre la folla si stava ritirando, e ottenne l’effetto di vanificare l’opera moderatrice dei leader socialisti. Più interessante è la notizia sul luogo da cui giunse la provocazione: proprio quella sede dei Mutilati e Combattenti che abbiamo visto essere particolarmente vicina a Padre Pio. Con ogni probabilità è stata questa circostanza che ha portato a parlare di una provocazione degli Arditi di Cristo. A questo punto una donna si avvicina alla porta del Municipio decisa a entrare con la bandiera rossa. Comprendendo che le cose si mettono male, Giosuè Fini se la dà a gambe, proprio mentre i carabinieri sparano in aria per disperdere la folla. Nel trambusto, un civile toglie il fucile a un soldato, spara e uccide il carabiniere Vito Imbriani. Solo allora, secondo la testimonianza di Fini, i carabinieri aprono il fuoco sulla folla. La versione socialista è diversa7. Non è l’uccisione del carabiniere a provocare l’eccidio: i carabinieri aprono il fuoco quando la donna, seguita da altri, cerca di forzare la porta del Municipio. Come se non attendessero che un segnale, sparano prima in alto, poi sulla folla stessa. Il carabiniere viene ucciso solo in questo momento, da mano ignota. Riguardo all’identità dell’assassino del carabiniere occorre registrare una circostanza curiosa. Giosuè Fini fa i nomi di due persone che conoscono l’identità dell’assassino. Uno è un suo amico, che però si è sempre rifiutato di rivelare il nome. L’altro è un’insegnante, «che lo rivelò a Gerardo Saldutto, il quale conserverà il segreto»8. Singolarissimo caso di omertà. Perché difendere un assassino, mantenendo solennemente il segreto sul suo nome? Perché quella persona è amica, oppure perché è potente, e la cosa potrebbe creare grande scandalo. Una cosa pare certa: a sparare a quel carabiniere non fu uno dei contadini e lavoratori del corteo, uno di quei socialisti nemici della fede e della Chiesa. Non è credibile che un’insegnante e un frate (e che frate…) difendano con un così solenne segreto un socialista. Ammettiamo anche, dunque, che la carneficina sia stata causata dall’assassinio del carabiniere. Ciò non esclude, anzi accentua le responsabilità del blocco conservatore, nelle cui fila va con ogni probabilità cercato il nome dell’assassino.
Che c’entra Padre Pio? Secondo l’accusa dell’Avanti!, c’entra perché a causare l’eccidio fu la provocazione dei suoi seguaci. Abbiamo visto che, se non è possibile parlare di una sorta di partito di Padre Pio, è tutt’altro che irrilevante la responsabilità di quella sezione Mutilati e Combattenti che era così vicina al frate. Ma c’è dell’altro.
Tra i documenti chiave che Fini produce per scagionare il frate ve n’è uno singolare. È una testimonianza di Francesco Morcaldi, il futuro podestà fascista e poi sindaco di San Giovanni Rotondo – il sindaco di Padre Pio, legato al frate da un lungo e proficuo scambio di favori. Prima dell’eccidio, scrive Morcaldi, si delineava «il pericolo d’un grave scontro», perché il servizio d’ordine era stato affidato al commissario Matteo Bevere, «noto per l’intransigenza e la decisione»9. Osservazione preziosa. Chi era ben informato, ben prima dell’eccidio era consapevole del pericolo. Non i lavoratori, però, che scesero in piazza con i bambini. Preoccupato, Morcaldi informa Padre Pio del pericolo. Ne riceve la seguente risposta, che per Fini è la dimostrazione della buona volontà del frate e del suo impegno per evitare l’eccidio: «Vai, avvicina i capi, placali…»10. I capi naturalmente sono quelli socialisti. Morcaldi riceve dunque da Padre Pio il compito di avvicinare i capi socialisti per invitarli a rinunciare alla pretesa di esporre la bandiera socialista. Ma chi è Morcaldi in questo periodo? Giulio G. Siena lo definisce «animatore del partito popolare»11. Non dunque un uomo super partes. Padre Pio conferisce un preciso mandato a un uomo dello schieramento conservatore. Il rapporto tra Padre Pio e Morcaldi permette di confermare l’inclusione del frate nel blocco o fascio d’ordine, sostenuta dall’onorevole Maitilasso («questo blocco che andava dai combattenti patriottici, a Padre Pio e agli arditi neri…»). Non solo. Morcaldi è ben consapevole che il pericolo viene dalle intenzioni bellicose del commissario Bevere, che è pronto alla carneficina. E tuttavia Padre Pio non lo manda dal commissario, invitandolo alla calma. Eppure la sua autorità avrebbe potuto mutare il corso delle cose. Non lo manda nemmeno, il fidato Morcaldi, alla sezione dei Mutilati e Combattenti, né dagli altri rappresentanti del blocco d’ordine. Non è un mediatore tra parti, che inviti tutti alla calma. È schierato con una parte politica. Erano davvero i capi socialisti quelli che andavano placati? Quelli che poi inviteranno la folla a ritirarsi per non dar vita a incidenti? I colloqui di Morcaldi con i capi socialisti hanno in realtà tutta l’aria di un avvertimento. Non ascoltato, purtroppo. Da parte socialista mancò la percezione del pericolo reale. I lavoratori scesero in piazza fiduciosi, festosi, senza accorgersi della trappola che era stata preparata per loro.
Figura nazional-popolare, Padre Pio non dispiace, spesso, alle persone di sinistra. Piace il suo conflitto con le autorità vaticane, come anche, forse, una sua certa semplicità di modi – uso un eufemismo. Sfugge il significato specificamente politico dell’azione del frate (su quello religioso il discorso sarebbe molto, molto lungo). Si dimentica che Padre Pio è stato un conservatore ostile ai poveri, nemico di ogni riforma e di ogni progresso sociale, buon amico di un’alta borghesia tanto corrotta quanto munifica e compromesso in modo spesso ambiguo con il potere politico. E che in un triste frangente della nostra storia – come in altri – è stato tragicamente dalla parte sbagliata.
Note
- Giosuè Fini. Precisazioni sull’eccidio di San Giovanni Rotondo (14 ottobre 1920). Foggia, Leone 1988.
- op. cit., p. 49
- Raffaele Mascolo. L’avvento del fascismo in Capitanana (l’eccidio di San Giovanni Rotondo). Foggia, Amministrazione Provinciale di Capitanata 1987, p. 53, nota.
- G. Fini, op. cit., p. 158
- R. Mascolo, op. cit., p. 40
- G. Fini, op. cit., p. 183
- R. Mascolo, op. cit., p. 49 e segg.
- G. Fini, op. cit., p. 183
- op. cit., p. 54
- Ibidem
- Giulio G. Siena. Il cavaliere Francesco Morcaldi nella vita di Padre Pio e nella storia di San Giovanni Rotondo. Relazione al convegno su Il Cav. Francesco Morcaldi, sindaco di Padre Pio. San Giovanni Rotondo, 26 ottobre 2004.
Si ringrazia Teresa Maria Rauzino per le preziose informazioni bibliografiche.