di Andrea Bomben, Conegliano Veneto (TV)
Tutti quelli che si riempiono la bocca di tali alti concetti, siano essi laici, militanti o integralisti cattolici, ex radicali o ex comunisti folgorati sulla via di Damasco, si dimenticano o fingono di dimenticare che la scienza medica odierna ha “creato” esseri umani che non esistevano quando si cominciò a parlare d’inviolabilità della vita o quando, il 10 Dicembre 1948, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottò la Dichiarazione universale dei diritti umani.
Sessant’anni fa non esistevano embrioni congelati né individui con battito cardiaco e respirazione regolari ai quali potevano essere espiantati degli organi.
A quei tempi, vita e diritti umani erano categorie che attenevano a individui che avessero coscienza di se e capacità di provare gioia o dolore. L’esistenza d’esseri incapaci di tutto ciò non era assolutamente concepibile.
Oggi, chi applica concetti vecchi a forme di vita inedite è, nel migliore dei casi, scorretto e nel peggiore, quando parla di nazismo o eugenetica, un integralista non migliore di Bin Laden e soci.
La grande sfida che ci attende oggi non è tanto decidere quando inizia o finisce la vita umana (i progressi della scienza medica condannerebbero in breve tempo all’obsolescenza qualunque tipo di decisione in merito) quanto scegliere di ripensare la vita, decidere collettivamente se esistano o meno forme di vita umana non inviolabile o, in altre parole, forme di vita umana alle quali possano non essere attribuiti automaticamente i diritti previsti dalla Dichiarazione del 1948.
Le scelte etiche di questo tipo riguardano tutti e tutti sono chiamati a parteciparvi, in un enorme sforzo culturale che sarebbe criminale lasciare al monopolio di scienziati, cardinali e politici; nelle loro mani un’occasione unica per un salto di qualità epocale della nostra società verrebbe irrimediabilmente sprecata.
Sostenere che il parlamento italiano sia più titolato e competente dei cittadini su questi argomenti è tristemente smentito da una legge che dimostra, per l’ennesima volta, quanto poco questo Stato si possa definire laico.
Un capitolo a parte meriterebbero gli appelli all’astensione, che rappresentano un chiaro tradimento dello spirito che i padri costituenti vollero attribuire allo strumento referendario: se l’astensione fosse una delle opportunità a disposizione del cittadino, perché mai sulla scheda, oltre al “Sì”, c’è anche lo spazio per il “No”?
Comunque - vista l’inadeguatezza del comune buon senso a risolvere problemi etici totalmente nuovi - è urgente che questo dibattito nella società avvenga al più presto; questo per togliere spazio a persone e istituzioni che pretendono di imporre la propria morale a tutti, in maniera spesso acritica e irrazionale, minando nel profondo il concetto stesso di libertà.
Tutto questo senza dimenticare che uno di questi soggetti, la chiesa cattolica, nel prevedere ancora oggi la pena di morte e nel favorire, di fatto, la diffusione dell’AIDS in Africa, dimostra di non meritarsi il preteso monopolio dell’etica e di non avere l’autorità morale per ergersi a esclusivo difensore del diritto alla vita in tutte le sue forme. Il pensiero poi che il sovrano assoluto di questo staterello teocratico e non democratico si permetta di influenzare impunemente la politica italiana è particolarmente sconfortante; la cosa, è bene ricordarlo, non ha eguali in nessun’altra parte del mondo.
Purtroppo, sembra che il prossimo appuntamento referendario non sarà l’occasione buona per cominciare a rendere migliore il Paese in cui viviamo e verrà probabilmente ricordato come una delle tante testimonianze del fatto che gli italiani hanno una scarsa se non nulla propensione all’etica, alla responsabilità e al senso civico; sapere che parte della classe politica sarà soddisfatta di questo risultato suggerisce, molto semplicemente che il nostro Paese è avviato a un declino culturale e sociale che si prospetta, nella sua irreversibilità, molto peggiore di quello economico.