di Paolo Dune, Lecce
I conflitti tra Religione e Scienza, tra Fede e Ragione, hanno radici antichissime.
Uno dei conflitti più rilevanti si ebbe nel ‘600 in occasione del noto processo a Galileo che, al modello geocentrico di Tolomeo (la Terra ferma al centro dell’universo), contrapponeva un modello eliocentrico con il Sole fermo al centro del sistema e la Terra sua satellite. Un altro conflitto si ebbe, nell’Ottocento, con la teoria darwiniana, che sostituì al modello del creazionismo quello dell’evoluzionismo delle specie.
In realtà, i modelli religiosi si fondavano prevalentemente sulle esigenze “politiche” della Chiesa. Il geocentrismo era più funzionale alla dottrina cristiana, in quanto dimostrava che Dio aveva creato il mondo “per l’uomo” ponendolo al centro dell’universo, laddove l’eliocentrismo dava alla nostra realtà una posizione periferica e relativa. Analogamente, il creazionismo forniva una visione magica e miracolistica della vita, più compatibile con la visione religiosa.
Ma il conflitto tra Religione e Scienza è continuato fino ai nostri giorni e il terreno di scontro, nel 2005, è diventato l’embrione.
Al posto del geocentrismo, oggi la Chiesa propone un modello di “embriocentrismo”: ossia una visione che veda l’embrione al centro, come protagonista assoluto del momento fecondativo, mentre la donna e l’uomo sono considerati strumenti, satelliti che ruotano attorno a lui.
La visione della Chiesa si fonda essenzialmente sul concetto di sacralità della vita, che è la diretta conseguenza della visione creazionista. La Chiesa sostiene, infatti, che la vita “si crei” al momento del concepimento, come una sorta di big-bang uterino dell’embrione.
Scienza e Ragione sono, ovviamente, lontane da tutto ciò.
Innanzitutto, l’esperienza insegna che è l’embrione che dipende dalla donna, e non viceversa. La donna è il Sole che infonde vita alla Terra, quindi è costei che deve essere tutelata e considerata parte centrale del processo riproduttivo.
In secondo luogo, non esiste un momento preciso in cui nasce la vita: essa costituisce un continuum, una evoluzione, che “procede” da madre in figlio. Le fasi del suo sviluppo sono ancora oggetto di dibattito e stabilite essenzialmente per convenzione.
Alla ricerca di una sponda scientifica, la Chiesa mette l’accento sul momento in cui si forma il DNA dell’embrione, e a questo attribuisce la comparsa “dell’anima” (sebbene parlare di anima e di DNA insieme è come parlare di Inferno e di Termodinamica).
Ma occorre ricordare che sul punto la teologia non è mai stata univoca. La Bibbia, che è considerata “ispirata” da Dio, prevede solo una sanzione pecuniaria per chi cagioni la morte di un feto, senza alludere ad alcun “omicidio”.
Inoltre, il riferimento al DNA è ambiguo. Tutti gli animali hanno un DNA - che è unico per ciascun esemplare - ma questo non presuppone la presenza dell’anima. Addirittura gli scimpanzé condividono con l’uomo il 98% del patrimonio genetico, e dovrebbero avere un trattamento conseguente.
Infine, il DNA non è collegato alle funzioni vitali di un organismo.
Nonostante ciò, la Chiesa insiste nel voler riconoscere all’embrione appena formato la qualifica di “persona”. La superficialità dell’affermazione è evidente ove si consideri che la definizione di “persona” è alquanto vaga. Tra l’altro, si tratta dello stesso termine usato nei confronti di Dio, con le tre “persone” della Trinità, a conferma della visione “embriocentrica” della Chiesa, che mira a divinizzare (o sacralizzare) l’embrione.
Nello stadio iniziale, l’embrione non ha un sesso, non ha nome, non ha un sistema nervoso, non ha una identità. Se fosse una persona, bisognerebbe registrarla all’anagrafe, battezzarla, e nel caso di aborto, celebrare un funerale e seppellirla. Per non parlare degli aborti spontanei (assai frequenti), che renderebbero necessaria un’inchiesta, un’autopsia, una denuncia per omicidio, ecc.
In realtà, nessuno ha titolo di parlare in nome dell’embrione. La natura ha scelto di affidarlo alla donna, e questo è l’unico dato rilevante. Se molti embrioni potessero scegliere, del resto, nel terzo mondo preferirebbero sicuramente non nascere…
Dunque la Chiesa ha intrapreso una nuova crociata: contro Galileo, contro Darwin, contro l’emancipazione femminile, che costituisce la più seria minaccia al potere clericale in Occidente.
La sacralità della vita è un alibi, contraddetto dall’indifferenza della Chiesa nei confronti dei bambini che muoiono di fame nelle varie parti del mondo. Il suo obiettivo politico è mettere in discussione la legge sull’aborto, cercando di assurgere a leader dello scenario politico.
Ma qui si può individuare anche il vero elemento alla base della morale cattolica.
La paura.
La paura del futuro, la paura progresso, la paura della morte.
L’ostilità della Chiesa per la fecondazione assistita, in netto contrasto col precetto di fare molti figli, deriva da un generale atteggiamento di timore verso la tematica della Vita e della Morte.
La Chiesa ha paura di ogni forma di manipolazione, come se la civiltà odierna non si fondasse proprio sulla manipolazione del mondo.
Ha paura di affrontare l’argomento, da cui l’esigenza di “astenersi” al Referendum del 12 e 13 giugno 2005, per non partecipare, non confrontarsi, non essere contraddetti.
Eppure la morte è un fenomeno biologico naturale, verso cui bisognerebbe avere un atteggiamento più saggio e coraggioso. Ma proprio questa Natura fa paura.
Così l’embrione è diventato un’icona. Nella visione della Chiesa, esso deve nascere come una “persona”, come un “Dio”, per poi divenire “satellite” di altri embrioni. Deve soffrire e morire senza poter alterare il suo Destino. Mentre si batte per far nascere l’embrione, in realtà, la Chiesa fa di tutto per far tornare l’uomo “nell’utero” dell’incoscienza e della irresponsabilità.
“La vita non si mette ai voti” recitano gli slogan del comitato per l’astensione.
Oltre che una frase antidemocratica, si tratta di una dichiarazione di resa davanti al Mistero della Vita e della Morte. Una dichiarazione di impotenza. E di paura.