Commenti e articoli apparsi sulla stampa nazionale riguardo al convegno La laicità indispensabile per l’uguaglianza dei cittadini davanti alle istituzioni tenutosi a Roma il 29 e 30 novembre 2003.
Il Manifesto, 29 novembre 2003 (sez. Cultura)
Carta europea, ragione senza fede
Pubblichiamo ampi stralci della relazione che il docente di diritto costituzionale all’Università di Roma terrà al convegno internazionale Costituzione europea. La laicità indispensabile che si apre oggi a Roma
di Giuseppe Ugo Rescigno
Le mie riflessioni (…) hanno come premessa una rigorosa distinzione tra libertà da un lato, e potere o immunità dall’altro. Sia nel linguaggio comune, che purtroppo nel linguaggio dei giuristi, delle leggi, e dei giudici, spesso le due cose vengono confuse, ed in generale vengono spacciate per libertà, come parola e concetto nobile e inattaccabile, cose che invece sono manifestazioni o di potere o di immunità. Per fare esempi legati al nostro tema: celebrare i culti, in privato o in pubblico, è una libertà, ma celebrare i matrimoni è un potere giuridico; diffondere libri o giornali o volantini in principio è una libertà, ma può diventare un’immunità se una confessione religiosa nel diffondere tali cose viene esentata da obblighi (ad esempio quelli tributari) che ricadono su altri o di diversa religione o non credenti che fanno le stesse cose. Sembra a molti che le costituzioni proteggano anzitutto e soprattutto la libertà religiosa; in realtà, quando si occupano di confessioni religiose, lo fanno quasi sempre per fondare la legittimità di leggi e atti amministrativi che concedono a tali confessioni poteri e immunità particolari. Una controprova, mediante un esperimento mentale: togliete dalla Costituzione italiana, o dalla costituzione di un altro paese, le regole che esplicitamente si riferiscono alla libertà religiosa, e lasciate però tutte le altre che tutelano i tradizionali diritti di libertà degli individui e delle associazioni (che si trovano oggi in tutte le costituzioni europee, nella Convenzione europea sui diritti umani, nel progetto di costituzione per l’Unione europea): credete che la libertà religiosa non sarebbe egualmente tutelata, in quanto libertà, da tutte queste altre norme? In realtà non cambierebbe assolutamente nulla, in termini di libertà: la libertà religiosa è pienamente tutelata da altre libertà, in particolare quella di coscienza, quella di manifestazione del pensiero, quella associativa, perché compresa in esse alla luce del principio di eguaglianza. Se queste libertà vengono adeguatamente protette, automaticamente viene allo stesso modo protetta la libertà religiosa.
(…) Le regole costituzionali che riguardano le confessioni religiose non lo fanno per tutelare la loro libertà (a questo fine basta la regola generale che tutela la libertà di associazione) ma per ottenere dalle autorità pubbliche, o con legge o con altro atto, privilegî, poteri e immunità. La eguale libertà tra le confessioni religiose, e tra le confessioni religiose e ogni altra organizzazione, e cioè la eguale garanzia che non vi saranno impedimenti specifici alla loro libertà, salvo quelli di ordine penale validi per tutti, diventa disuguaglianza nei poteri, nei privilegî, nelle immunità, sia tra confessione e confessione (in Italia tra confessione cattolica e altre confessioni acattoliche, oppure tra confessioni coperte da intesa, e confessioni senza intesa con lo Stato), sia tra confessioni religiose e altre associazioni, sia tra confessioni religiose e loro affiliati da un lato e atei o comunque non religiosi dall’altro. Che poi questa disuguaglianza sia garantita dalla stessa Costituzione, come avviene in Italia e in molti altri Paesi, non toglie che rimanga disuguaglianza, in deroga agli stessi principî generali di eguaglianza e di eguale libertà proclamati in altri articoli della Costituzione.
Mi avvio alla conclusione, parlando ora del progetto di Costituzione per l’Unione europea, così come sta scritta in questo momento.
Per una parte non trovo ragioni di critica sul contenuto del primo paragrafo dell’art. 51: a scanso di equivoci, l’Unione rende esplicita la sua decisione di lasciare ai singoli Stati il tema dei rapporti tra Stati, e in generale autorità pubbliche, e confessioni religiose. In altre parole, se vi sono ragioni per contestare l’attuale disciplina (e per me, come per molti tra voi, ve ne sono), la battaglia culturale e politica va fatta a livello statale, e non a livello dell’Unione. L’Unione non è competente sul punto, o, meglio: non può diminuire a sfavore delle confessioni religiose o comunque modificare l’insieme delle situazioni giuridiche che ciascuno Stato garantisce.
Restano però almeno tre punti da chiarire o sui quali continuare a difendere ragioni di civiltà conto oscurantismi ritornanti: 1) anzitutto è fortissima la pressione della Chiesa cattolica, di altre confessioni, e di alcuni Stati sostanzialmente confessionali, diretta a introdurre nel testo il riconoscimento delle radici cristiane dell’Unione europea; continuo a credere che esistano ancora in Europa forze politiche e sociali che non hanno dimenticato il senso e le ragioni del moderno costituzionalismo e dunque della rigorosa separazione tra Stato e confessioni religiose, per il quale se il potere pubblico ha un fondamento questo sta nella volontà popolare e non nella religione; qualcuno, che io stento a credere in buona fede, vuole spacciare questa richiesta come mera ricognizione di una evidente verità storica; questo qualcuno dimentica semplicemente che una legge, o una costituzione, non è un libro di storia, ma un documento che prescrive qualcosa ad altri e, dunque, qualunque parola venga immessa in un documento del genere, questa parola automaticamente diventa fondamento possibile di una qualche prescrizione: parlare di radici cristiane dell’Unione significa dare fondamento costituzionale alle pretese di chi, in nome di tali radici, vuole introdurre anche a livello dell’Unione poteri, privilegî e immunità per le confessioni cristiane; 2) in secondo luogo, come a livello di costituzioni statali la tutela specifica della libertà religiosa non serve a tutelare la libertà ma il potere o il privilegio o l’immunità di alcune confessioni religiose, così a livello di Unione questo richiamo non necessario alla libertà religiosa domani, o forse già oggi, potrà servire per giustificare la concessione di particolari poteri o privilegî o immunità ad alcune o anche a tutte le confessioni religiose, ristabilendo anche sul piano istituzionale (oltre che del costume sociale) l’asimmetria tra alcune o tutte le confessioni religiose da un lato e gli atei e gli agnostici dall’altro; 3) dal terzo paragrafo dell’art. 51, così come sta scritto, non è affatto chiaro se l’Unione Europea, senza toccare quanto già disciplinato dai singoli Stati, possa però aggiungere altre specifiche regole, che si traducono in specifici poteri, o privilegî o immunità, nei confronti delle confessioni religiose: la frase «L’Unione mantiene un dialogo regolare con tali chiese» è talmente ambigua (se il dialogo deve svolgersi secondo regole e dà luogo a regole, è molto di più che un dialogo) che resta aperta la porta a imprevedibili sviluppi futuri.
In conclusione, se richiesto di formulare un augurio, auspico che dal testo di costituzione dell’Unione Europea sparisca qualsiasi accenno alle confessioni religiose e alla stessa libertà religiosa, perché quel che c’è da tutelare, e cioè la libertà religiosa, è totalmente tutelata da tutti gli altri articoli sulle libertà degli individui e delle associazioni, e tutto il resto (e cioè poteri, immunità e privilegî) non va previsto, in nome appunto della libertà, della eguaglianza, della ragione.
Agenzia ANSA, 30 novembre 2003
UE: GLI ATEI CHIEDONO TUTELA NELLA NUOVA COSTITUZIONE /ANSA
PETIZIONE PER DESTINARE 8 PER MILLE A RICERCA SCIENTIFICA
(ANSA) - ROMA, 30 NOV - L’articolo 51 della costituzione europea sullo status di chiese e comunità religiose, se approvato violerebbe «il principio di uguaglianza di tutti i cittadini», discriminando chi non ne professa alcuna. È quanto hanno affermato gli atei italiani che hanno organizzato a Roma una due giorni dedicata alla Laicità indispensabile per l’uguaglianza dei cittadini davanti alle istituzioni.
Durante l’incontro, organizzato dalla Federazione Umanista Europea e dall’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, è stata anche presentata una petizione per chiedere che l’8 per mille non destinato dai cittadini nelle dichiarazioni dei redditi venga utilizzato per la ricerca scientifica.
«Crediamo che la laicità sia un elemento basilare per la convivenza democratica e il rispetto delle diversità, mentre la futura Costituzione europea, pur non prevedendo nel Preambolo le discusse “radici giudaico-cristiane”, legittima i regimi di Concordato, laddove esistono, e congela ogni possibile evoluzione in senso laico dello status delle chiese nell’UE.
Il nostro obiettivo» - hanno spiegato gli organizzatori - «è dimostrare che la legittimazione dello “status previsto nelle legislazioni nazionali per le chiese e le associazioni o comunità religiose degli stati membri” (art. 51) vìola il principio di uguaglianza di tutti i cittadini (art. 44) e discrimina coloro che appartengono ad altre religioni o non ne professano alcuna». Questi ultimi, secondo i dati diffusi, rappresentano circa la metà della popolazione degli attuali paesi membri dell’UE. Il rischio, segnalato dai relatori provenienti da tutta Europa, è che si creino «i presupposti per nuove tensioni e conflitti sociali, anziché promuovere la coesione e costruire quella “società fondata sul pluralismo, sulla tolleranza, sulla giustizia, sulla solidarietà e sulla non discriminazione” descritta all’articolo 2».
Secondo le organizzazioni che riuniscono gli atei, «la laicità delle istituzioni si propone come la sola formula organizzativa della società atta a favorire la coesistenza pacifica fra persone che possiedono concezioni del mondo diverse. È per questa ragione che la consideriamo indispensabile nell’Europa del ventunesimo secolo».
Tra i temi trattati, oltre al rapporto con le amministrazioni locali, anche la scuola, in particolare i modi in cui un sistema educativo rispettoso delle convinzioni di ciascuno e capace di accogliere apporti culturali molteplici possa formare dei cittadini aperti all’alterità.
Anche il problema dei simboli religiosi nelle scuole pubbliche è stato affrontato nel convegno. A proposito della vicenda del crocifisso di Ofena, Unione degli Atei ha ricordato che un ricorso, presentato da una propria socia contro il Consiglio dell’Istituto frequentato dai suoi figli, è già stato discusso dal TAR del Veneto due settimane fa, e si è ora in attesa della sentenza.
Il convegno ha offerto anche l’occasione per presentare una petizione per destinare l’8 per mille per la ricerca scientifica: «La Chiesa cattolica - prima beneficiaria dell’8 per mille - su un totale di 1.700 miliardi di vecchie lire di gettito, ne riceve 1.400 (dati del 1997), lo Stato italiano 230 ed il resto (circa 70 miliardi) va alle altre confessioni religiose. Però solo il 37,31% delle dichiarazioni dei redditi porta il destinatario dell’8 per 1000».
Secondo gli atei, «l’enorme cifra “in bianco” viene ridistribuita secondo la percentuale delle adesioni ricevute dai beneficiari. Il deputato Giuliano Pisapia ha presentato una proposta di legge per inserire Telethon tra i soggetti che concorrono alla ripartizione alla quota dell’8 per 1000 del gettito IRPEF. Ricordiamo come esempio, che recentemente un gruppo di ricercatori, finanziato da Telethon, è riuscito a tracciare un atlante del funzionamento dei geni del cromosoma umano 21 implicato in numerose malattie genetiche (come la Malattia di Down), del cuore, di leucemie e del cancro» (ANSA).
VN
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Liberazione, 1° dicembre 2003 (pagina 22)
Brutte nuove per la laicità
Intervista a Georges Liénard, segretario della Federazione Umanista Europea.
Un convegno su Stato e Chiese nella UE.
di Fulvio Fania
Radici cristiane o no, la laicità delle istituzioni europee rischia già grosso. Anzi, la disputa sulla mancata citazione del cristianesimo nel Trattato, a questo punto è quasi un «parlar d’altro» mentre passa inosservato l’articolo 51, che invece è stato intascato dal Vaticano. È questa la preoccupazione principale del belga Georges Liénard, segretario della Federazione Umanista Europea, un’organizzazione che raggruppa associazioni laiche di molti Paesi d’Europa e ha promosso, insieme alla Unione degli Atei e Agnostici Razionalisti, il convegno La Laicità Indispensabile, che prosegue oggi nella sala romana dei Dioscuri, alle spalle del Quirinale. Proprio mentre a Napoli si svolgeva il vertice dei ministri degli esteri, giuristi, storici e filosofi europei hanno lanciato un allarme per le istituzioni della nuova Europa: il dialogo «regolare» con le chiese, previsto dalla bozza di Carta, è la base di un «privilegio».
«Il punto più importante è l’articolo 51», insiste Liénard. «Esso è scaturito dalle relazioni che il Vaticano e alcune chiese protestanti hanno stabilito con un gruppo di consiglieri di Prodi. Ora danno per acquisito quell’articolo e parlano d’altro ma se dovessero barattare uno scambio tra quel testo e le radici cristiane senz’altro rinuncerebbero a queste ultime. Ciò che la gente non comprende, dal momento che si parla semplicemente di dialogo tra istituzioni e organizzazioni religiose, è che in realtà il Vaticano e le altre confessioni vogliono entrare nelle istituzioni, come la Santa Sede ha già fatto alle Nazioni Unite, al fine di cambiare la legislazione. Ma il giorno in cui i cittadini si trovassero di fronte a direttive europee sulla famiglia, la contraccezione, l’aborto, l’eutanasia contrarie a quanto è già previsto nei loro Paesi, si ribellerebbero di sicuro. Questo articolo prepara tempi difficili».
La consultazione delle chiese non rientra in una generale esigenza di partecipazione?
Non si tratta di consultazione. Le chiese chiedono di intervenire nella preparazione delle leggi, ciò che le organizzazioni non governative non fanno. Noi, associazioni non confessionali, ci troviamo benissimo nell’articolo 46 che è dedicato alla partecipazione. Il 51 invece riconosce uno statuto particolare alle chiese le quali non sono strutture democratiche. Le gerarchie ecclesiastiche, infatti, non chiedono il parere della gente. C’è contraddizione con la volontà dichiarata dalla Commissione di dare la parola ai cittadini.
Il costituzionalista Ugo Rescigno ritiene superfluo specificare nelle costituzioni la libertà religiosa poiché essa è già compresa nella libertà di coscienza. Lei è d’accordo?
Nella Convenzione europea dei diritti si parla di libertà di coscienza, di pensiero e di religione perché la libertà di coscienza comprende anche la libertà religiosa. Sono tutte parti dei diritti dell’uomo. Ma voglio sottolineare che si tratta dei diritti delle persone, le quali li esercitano in associazione oppure individualmente, non invece delle istituzioni come le chiese. Sono concetti molto diversi: un diritto delle istituzioni ecclesiastiche a intervenire nello Stato non rientra infatti nel quadro dei diritti dell’uomo. E quando parliamo dell’articolo 51 della Costituzione europea dobbiamo sapere che esso non concerne le persone ma le chiese.
Ritiene comunque giusto indicare espressamente la libertà religiosa?
In linea di principio sì. Ma adesso la questione viene presentata come se fossero gli atei o gli umanisti a combattere la religione, cosa non vera. Se torniamo indietro nella storia ci accorgiamo che la libertà religiosa fu introdotta nei testi costituzionali perché nell’ancien régime le religioni si combattevano tra loro. Non sono state le religioni a esigerlo ma è stata un’esigenza della democrazia. Bisognava dichiarare che tutte le religioni sono uguali. Oggi le relazioni esistenti tra la maggior parte delle chiese nei Paesi d’Europa sono tali da superare la necessità di imporre loro la libertà religiosa. Si può quindi indicare semplicemente la libertà di coscienza, che la ingloba.
Le chiese ricordano però che l’est europeo ha sopportato decenni di discriminazione religiosa.
Ma ormai da dieci anni non è più così. Al contrario si assiste alla persecuzione dei non credenti in Paesi come la Slovacchia o la Polonia.
Come vedrebbe un elenco di radici culturali nella Costituzione?
Un relatore al convegno ha osservato che compito di una Costituzione non è fare la storia ma affermare i diritti delle persone per oggi e per domani. Se poi si torna alla storia bisogna darne una visione oggettiva e non privilegiare un unico aspetto. La nostra Federazione è intervenuta presso la Convenzione presieduta da Giscard per chiedere che fossero indicati valori in cui tutti i cittadini possano muoversi, non radici e valori “derivati” che possano generare conflitti. I cattolici possono sostenere che sono stati loro a creare il concetto di dignità dell’essere umano, ma si può anche replicare che molti altri l’hanno affermato prima di loro. Bisogna invece trovare valori che uniscano. Su quelli della democrazia siamo tutti d’accordo mentre nella società europea circa il 60-70% della popolazione non pratica convinzioni religiose.
È favorevole alla legge proposta in Francia contro il velo islamico a scuola?
No. Il principio di laicità garantisce la neutralità della scuola, che non è necessariamente neutralità degli studenti, i quali invece hanno diritto di esprimersi. In realtà i partiti di destra e di sinistra in Francia hanno subìto molte pressioni da certi ambienti dell’insegnamento e vogliono questa legge per opportunità. Così, mentre propongono di vietare i simboli religiosi nelle scuole pubbliche, appoggiano l’articolo 51: è una contraddizione assurda.
Il Corriere della Sera, 1° dicembre 2003
Gli atei: l’8 per mille alla ricerca
la Costituzione UE tuteli anche noi
ROMA. L’articolo 51 della Costituzione UE sulla religione, se approvato, discriminerebbe gli agnostici, “contro” il principio d’uguaglianza.
Per questo gli atei italiani hanno organizzato a Roma una 2 giorni.
È stato anche chiesto di dare alla ricerca scientifica l’8 per mille “non destinato” nel modulo delle tasse.
ParvapoliS, rivista on line
LA LAICITÀ INDISPENSABILE
per l’uguaglianza dei cittadini davanti alle istituzioni
(Roma, sabato 29 - domenica 30 novembre 2003)
Interviste pubblicate sul sito www.parvapolis.it (sez. Cultura)
di Andrea Apruzzese
VERA PEGNA: «La storia europea è una storia di lotta contro la religione cristiana. Non una sua affermazione».
Davanti le telecamere di ParvapoliS Vera Pegna, vice segretaria dell’UAAR, Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti - l’associazione che ha nel Comitato di presidenza, tra gli altri, Margerita Hack e Piergiorgio Odifreddi - e vice presidente della Federazione Umanista Europea.
L’UAAR ha organizzato un convegno, dal tema La laicità indispensabile, per l’uguaglianza dei cittadini davanti alle istituzioni. Perché questa iniziativa?
«Lo dice il tema stesso: la laicità è indispensabile. E oggi lo è ancora di più per due ragioni. Come è noto nel fine settimana appena trascorso si è tenuto a Napoli un vertice tra i Ministri degli Affari Esteri dell’Unione Europea per discutere i punti rimasti in sospeso del progetto di trattato per la Costituzione Europea. Tra i punti in sospeso la laicità non c’è. E non c’è nemmeno tra i valori dell’Unione. Quello che invece è presente è una rete di rapporti tra stati e chiese che sono assolutamente inaccettabili. C’è poi una seconda ragione, tutta italiana. In Italia in questo momento ci sono richieste artificiali e assurde intorno al presunto valore simbolico del crocefisso. Ricordiamo tutta la storia di Ofena, che è stata una reazione esagerata, se non proprio stupida. Noi vogliamo sottolineare che non è con i messaggi di parte, siano essi cattolici, cristiani, musulmani, che si raggiunge la pace sociale. L’obiettivo della concordia si conquista solo con un messaggio universale di rispetto reciproco, di curiosità della ricchezza altrui. Questo messaggio può darlo soltanto lo Stato laico. Uno Stato laico non privilegia nessuno. Ed è un privilegio avere un crocefisso in una scuola. Lo Stato laico, come, ricordiamolo, dovrebbe essere quello italiano, garantisce la libertà di coscienza di tutti. La libertà, quindi, di non essere esclusi dai privilegî».
L’articolo 51 della bozza della Costituzione Europea dichiara che «l’Unione rispetta e non pregiudica lo status previsto nelle legislazioni nazionali per le chiese e le associazioni o comunità religiose degli Stati membri». Al secondo comma aggiunge che «l’Unione rispetta ugualmente lo status delle organizzazioni filosofiche e non confessionali» (molti hanno qui letto un implicito riferimento alla Massoneria). Infine si legge che «l’Unione mantiene un dialogo aperto, trasparente e regolare con tali chiese e organizzazioni, riconoscendone l’identità e il contributo specifico». Esattamente voi cosa chiedete e perché?
«La soppressione dell’articolo 51. Non lasciatevi sedurre dall’apparente liberalità dell’impostazione. È un articolo pernicioso per due ragioni. Innanzitutto legittima di fatto i concordati di Stato. E concordato vuol dire privilegî per una sola confessione religiosa. In secondo luogo impegna l’Unione Europea a mantenere un “dialogo aperto”, così c’è scritto, con le chiese. E la chiesa cattolica ha già avuto la bontà di spiegarci quello che intende per dialogo aperto. Vuol dire un intervento in fase “pre-legislativa”. Ci risiamo con le solite interferenze del Vaticano che vuole imporre la morale cattolica a tutti gli europei. E questo fa sorridere. Non solo perché il cattolicesimo, in Europa, è una delle tante religioni. Ma anche perché oltre la metà degli europei si dichiara “non religiosa”. Ci sono atei, agnostici, liberi pensatori o semplicemente “indifferenti”. Perché devono sottostare alla dottrina morale o sociale della chiesa di Roma?».
Ma così non si rischia di ignorare completamente quegli apporti, anche solo culturali, che hanno dato alla nostra civiltà le tre religioni monoteiste, tra l’altro anche le più diffuse in occidente, e cioè le principali confessioni cristiane, tra cui la chiesa di Roma, l’Islam e l’ebraismo che bene o male convivono in Europa da duemila anni?
«Che le religioni abbiano convissuto in questi duemila anni non è certamente vero. È vero l’esatto contrario. Le religioni si sono combattute. Pensiamo alle crociate contro l’Islam. Pensiamo alle guerre di religione interne allo stesso cristianesimo che hanno insanguinato l’Europa. Precisato questo dobbiamo subito fare una distinzione. Chiara, netta, precisa. Da un lato c’è la religione intesa come centro di potere e dall’altro la religiosità dentro ciascuno di noi. Sono due cose completamente diverse. La laicità rispetta la religiosità di ciascuno e l’espressione di questa religiosità. Combatte invece la religione appoggiata al potere e che appoggia il potere. Tornando alla nostra “storia”. La storia europea è una storia di lotta alla religione cristiana, non è una progressiva affermazione indolore della religione cattolica nella società. E questa lotta è necessaria anche oggi. Perché la religione cristiana, in particolare il cattolicesimo, sta perdendo terreno e i suoi ultimi colpi di coda sono di un’aggressività che fa paura».
MARIO ALIGHIERO MANACORDA: «La storia a volte fa brutti scherzi. Dall’Editto di Costantino è nato il Vaticano».
Davanti le telecamere di ParvapoliS Mario Alighiero Manacorda, Storico della Pedagogia presso l’Università “La Sapienza” di Roma, uno dei relatori al convegno La laicità indispensabile.
Lei, citando il terzo libro della Repubblica di Platone, ha sottolineato una cosa importante. Ciò che educa i ragazzi non è soltanto quello che viene dalla scuola ma anche gli stimoli che ricevono dalla società. Stimoli necessari per creare un’area di concordia che possa determinare un clima di serenità. Oggi questa “brezza di concordia” spira o no?
«Oggi così come ai tempi di Platone la risposta è negativa. Prima del terzo libro Platone aveva descritto una società corrotta, da correggere attraverso l’educazione. Oggi dovremmo fare la stessa cosa e con lo stesso strumento. La differenza è che la situazione di partenza è molto più grave, schiacciati come siamo tra religioni integraliste e ideali di intransigenza. Si sollecita l’intolleranza invece che chiamare alla tolleranza. Il ruolo delle religioni - per quanto ci siano tentativi come quello del Dalai Lama, proprio la settimana scorsa - è un ruolo di avversità reciproca. Nemmeno le religioni cristiane riescono a essere concordi tra di loro. Nemmeno l’Europa cosiddetta cristiana è un’Europa concorde».
Si è anche accennato agli scherzi e ai paradossi della Storia. Come quell’editto di Costantino, nel 313 che concedeva la libertà di religione permettendo ai singoli di avere una propria coscienza nel giudicare le questioni di fede…
«Quell’atto servì praticamente ai cattolici per arrivare al potere e per diffondere anche con la violenza il loro verbo unico e assoluto. Spesso le intenzioni degli uomini producono esiti del tutto contrarî. L’editto di tolleranza aveva segnato una bella pagina di storia. L’esito ha visto invece un accordo di potere con il clero cristiano. Dall’editto di tolleranza nacque l’intolleranza dei cristiani. Amo citare anche un episodio più prossimo ai nostri giorni. Quello di Giovanni Gentile. Idealista hegeliano, apparentemente lontano dalla chiesa, propugnava la laicità, libertà di culto e di fede ma, considerato che le masse contadine erano per lo più cattoliche, allora bisognava in qualche modo accontentarle, e insegnare la loro religione nelle scuole. E visto che la religione la insegnavano i preti, anche nelle scuole dello Stato doveva essere insegnata dai preti cattolici. Come dire: una necessità. Quando propose questa sua infelice intuizione in un congresso di insegnanti delle scuole medie nel 1907, presente anche il suo amico Benedetto Croce, ebbe un solo voto: il suo. Decine di anni dopo, diventato Ministro dell’Educazione col Fascismo, l’imposizione cattolica nelle scuole divenne legge dello Stato. Quanto avviene oggi con i concordati. Il concordato non è espressione della libertà, da cui lo stesso Gentile era partito, ma è espressione di dominio. Si consolida un potere che si appoggia allo Stato dimostrando di credere assai poco al suo Dio».
VALERIO POCAR: «Il privilegio accordato a una sola fede genera puntualmente legittimi conflitti, pericolose tensioni».
Davanti le telecamere di ParvapoliS Valerio Pocar, docente di Sociologia del Diritto dell’Università degli Studi “Milano-Bicocca” nonché presidente della Consulta di Bioetica.
La laicità indispensabile, un convegno dell’UAAR che ha saputo interessare centinaia di persone. Quali ragioni vi hanno spinto a trattare un tema così delicato?
«La laicità è il fondamento della libertà di tutti e della parità di ogni opinione. Tutte le opinioni sono rispettabili e devono essere rispettate. L’Unione Europea come è noto è prossima all’adozione della sua prima Costituzione, il cui testo provvisorio lascia invariato il regime di privilegio di cui godono le religioni in alcuni Paesi europei. Obiettivo del convegno è dimostrare che la legittimazione dello Status previsto nelle legislazioni nazionali per le chiese e le associazioni o comunità religiose degli stati membri contenuta nell’articolo 51, vìola il principio di uguaglianza di tutti i cittadini (articolo 44) e discrimina coloro che appartengono ad altre religioni o non ne professano alcuna (oltre alle distinzioni tra anglicani, luterani, calvinisti, ortodossi, cattolici, evangelici, valdesi solo per rimanere all’interno della galassia di ispirazione cristiana c’è da considerare che oltre la metà degli europei si dichiara addirittura non credente). In tal modo vengono creati i presupposti per nuovi conflitti e tensioni sociali, anziché promuovere la coesione e costruire quella “società fondata sul pluralismo, sulla tolleranza, sulla giustizia, sulla solidarietà e sulla non discriminazione” descritta dall’articolo 2. Dunque per noi non ci deve essere nessuna discriminazione e nessun privilegio. Queste associazioni religiose hanno spesso la tendenza, pensiamo alla chiesa di Roma per esempio, a volersi porre come referente istituzionale o come intermediario dei suoi aderenti. Questo non è accettabile perché lo Stato deve rapportarsi al cittadino, senza intermediari di alcun tipo soprattutto se, come il caso della religione cattolica, sono, per statuto e per storia, profondamente antidemocratici».
Quindi non ci deve essere nessun riconoscimento?
«Ognuno è libero di credere quello che vuole. È libero persino di affermare una “fede”».
In questo rientra anche il discorso del divieto di esporre il crocefisso nelle scuole o negli uffici pubblici?
«Personalmente è un argomento che non mi appassiona più di tanto. Diciamo che più che altro è una questione di principio. Al laico o all’ateo il crocefisso non interessa affatto. Io mi pongo nella situazione di chi invece ha una fede diversa. Cosa può pensare un imputato di fede islamica che vede un crocefisso in un’aula di tribunale? Penserà che il giudice non sia equo nei suoi confronti. Sbaglierà nel pensarlo, io ho piena fiducia nella Magistratura, ma avrà il senso che questo Stato non è equo nei suoi confronti. E questo è profondamente errato, oltre a essere pericoloso, in una società che è di fatto multietnica e deve imparare a rispettare tutte le molteplicità».
PIERO BELLINI: «Non si può essere intolleranti nemmeno con l’intolleranza. Si rischia una spirale di violenza».
Davanti le telecamere di ParvapoliS Piero Bellini, professore emerito di Storia del Diritto Canonico all’Università “La Sapienza” di Roma.
John Locke è considerato il papà del concetto di Tolleranza. Per convivere da cittadini del mondo, scrisse nel 1685 L’Epistula de Tolerantia. Il filosofo inglese affermò per primo la necessità che lo Stato riconosca l’uguaglianza dei diritti in materia di religione a tutti i cittadini («non esclusi né i pagani, né i maomettani, né i giudei»), ma anche il suo dovere di tutelare e conciliare le aspirazioni di ogni uomo alla vita, alla libertà, all’integrità fisica e morale e al mantenimento dei beni esteriori onestamente acquisiti. Locke prevede però un’eccezione al suo concetto di tolleranza. Dobbiamo tollerare tutto e tutti. Tranne la chiesa cattolica: «Non hanno motivo di essere tollerati coloro che attribuiscono al fedele, religioso o ortodosso, cioè a sé stessi, un privilegio particolare o un potere sugli altri in questioni di tipo civile, oppure coloro che con il pretesto della religione si arrogano un qualche diritto su chi è fuori dalla loro congregazione ecclesiastica. […] Non ha alcun diritto di essere tollerata quella chiesa che sia costituita sul principio che coloro che vi entrano a far parte si pongono “ipso facto” sotto la protezione e il servizio di un altro sovrano». Nel suo intervento al convegno La laicità indispensabile, lei ha sostenuto che l’integralismo degli altri non deve giustificare il nostro. L’apertura per lei è fondamentale. Ma in un momento così delicato, la tolleranza è possibile?
«Bisogna reagire all’integralismo con fermezza. La fermezza è la difesa dei propri principî e della propria fondazione di civiltà. L’integralismo mette in questa difesa una carica di intolleranza che non è mai il caso di adoperare. Perdonate il gioco di parole ma l’intolleranza dell’intolleranza può generare vortici pericolosi. L’intolleranza anziché attenuare alcuni pericoli può addirittura accentuarli. Quando dico che bisogna aprirsi verso le diversità, intendo che ci si può aprire che con chi è disposto al dialogo. Contro gli altri occorrerà difendersi, ma rispettando i criterî della nostra cultura giuridica, quei principî che sono il frutto della nostra storia, della nostra cultura, della nostra civiltà».
E a proposito di principî, i cattolici sostengono che l’Europa abbia radici cristiane…
«Io dico sempre, un po’ per scherzo, un po’ per davvero, che se ci vuole una vita per dimostrare quanto il cristianesimo abbia trasformato l’Europa ce ne vorrebbe un’altra per dimostrare quanto l’Europa abbia trasformato il cristianesimo. Io credo che se si può parlare di radici cristiane dell’Europa si può anche parlare di radici europee del cristianesimo. Il cristianesimo è diventato quel che è perché si è europeizzato. C’è sicuramente stato un rapporto di interscambio che però non giustifica nessun privilegio del cristianesimo, e men che meno del cattolicesimo, rispetto ad altri fattori, movimenti, istituzioni che hanno concorso alla costituzione dell’Europa. Direi che l’Europa in molti casi si è costituita proprio contro il cristianesimo».
Lei ha parlato di “diritto mite”…
«No, non è corretto. “Diritto mite” è un’espressione a me ben nota, anche per il fatto che è il titolo di un celebre libro di un mio carissimo amico. Io invece parlo di un diritto che sia “eticamente neutro”. Un diritto che possa essere fruito da tutti, senza che i soggetti entrino in alcun modo in conflitto con i propri convincimenti. Un diritto che possa essere perseguito da tutti. La legge consentirà di divorziare, per esempio. Sarà poi il soggetto che si avvarrà nella propria coscienza di avvalersi o meno di questa possibilità, a seconda dei suoi convincimenti religiosi o filosofici. È una sorta di responsabilizzazione etica degli utenti di una legge che è eticamente neutra. Il codice morale interviene solo in un secondo momento, ma non è una imposizione del legislatore».
GIUSEPPE UGO RESCIGNO: «Se togliessimo dalla Costituzione Europea ogni riferimento esplicito a qualsiasi religione…».
Davanti le telecamere di ParvapoliS Giuseppe Ugo Rescigno, docente di Diritto Costituzionale all’Università di Roma “La Sapienza”.
Un convegno per parlare della laicità dello Stato, per l’uguaglianza dei cittadini davanti le istituzioni. Nel corso del suo intervento lei ha detto una cosa importante. Facciamo una prova, togliamo ogni riferimento alle religioni nella Costituzione. Tanto, per le libertà dell’individuo non cambia nulla. È così?
«Sono assolutamente convinto di questo. Se parliamo in termini rigorosi di libertà, cioè di poter fare senza essere impediti. La libertà di riunione già esiste, e può riguardare anche la libertà di riunione per motivi di rito o culto religioso. La libertà di associazione è già garantita, senza bisogno di una ulteriore garanzia per motivi religiosi. La libertà di amministrazione del pensiero è garantita e quindi è compresa anche la libertà di pensiero religioso. Idem per la libertà di coscienza. Ci sono una serie di istituti che sono deputati alla tutela di questa libertà. Io faccio sempre l’esempio del carcerato che ha bisogno dei conforti religiosi. Ebbene, il conforto può essere dato, per esempio da un amico, anche a un ateo, un agnostico, un indifferente. È quanto avviene in Belgio, per esempio. Io sostengo che non ci sia bisogno né di un richiamo esplicito alla religione né tantomeno di accordi specifici perché le possibilità sono già dentro norme generali valide per tutte. La mia può sembrare una provocazione ma provocazione non è. In realtà molte volte si parla di libertà religiosa e delle sue tutele quando in realtà si vuole una posizione di privilegio. Si vogliono dare poteri specifici o immunità particolari a determinate confessioni religiose e questo è chiaramente inaccettabile. Vuol dire creare diseguaglianze».
Un diritto costituzionale parte da un’analisi sociale e storica di un territorio. La storia cristiana, ebraica e musulmana non ha inciso nel tessuto culturale della nostra civiltà?
«Io penso che il richiamo alle radici religiose della civiltà europeo sia fortemente contraddittorio. Perché in un momento in cui si cercano momenti di “unificazione” non possiamo dimenticare che la religione cristiana ha suscitato profonde divisioni. Le varie sètte cristiane si sono scannate tra di loro in questi secoli. Non c’è un cristianesimo edificante da proporre come modello. Non è mai esistito. Abbiamo sempre avuto episodi sanguinosi in nome della religione. Indipendentemente se questo richiamo sia opportuno o meno, è ovvio che nasconde anche dei messaggi di natura politica. Sottolineare un momento cristiano della nostra storia è un chiudere le porte a Israele o alla Turchia, per esempio. Fare questa scelta mi sembra veramente grottesca. Richiamarsi alle religioni vuol dire aumentare inevitabilmente le divisioni. Se il buddhismo o l’induismo costituiscono una minoranza anche se non trascurabile, se l’Islam e l’ebraismo sono in costante ascesa, se il cattolicesimo non ha l’esclusività del cristianesimo dovendo fare i conti con ortodossi (dopo un litigio millenario un papa cattolico ha riabbracciato il Patriarca di Costantinopoli nemmeno cinquant’anni fa, Ndr), luterani, calvinisti, anglicani, se altre confessioni religiose sono comunque presenti, anche i non credenti, che coerentemente con la loro razionalità decidono di non organizzarsi in nessuna struttura, costituiscono da soli oltre il 50% degli europei. Anche da un punto di vista numerico la pretesa cattolica non si capisce da cosa sia fondata».
6 dicembre 2003