PROPOSTA DI LEGGE
d’iniziativa del deputato
DEIANA
Disposizioni concernenti gli effetti civili delle sentenze di nullità del matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici
Presentata il 1° giugno 2006
Onorevoli Colleghi!
Le norme relative al matrimonio e al suo scioglimento e/o annullamento, attuative del Concordato dell’11 febbraio 1929 tra la Santa Sede e l’Italia (legge 27 maggio 1929, n. 847) contengono alcune disposizioni ormai anacronistiche che non tengono conto non solo delle profonde innovazioni introdotte nel quadro normativo statuale, quali ad esempio la riforma del diritto di famiglia del 1975, ma anche dell’accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, reso esecutivo dall’Italia con legge 25 marzo 1985, n. 121, che apporta modifiche al Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede.
La finalità della presente proposta di legge non è certo quella di voler interferire nel delicato rapporto tra Stato e Chiesa, ma di abrogare una norma, risalente al 1929, che non tutela in nessun modo il coniuge economicamente più debole, in caso di nullità del matrimonio pronunciata dal tribunale ecclesiastico, e ciò in aperto contrasto con le norme e con i princìpi ispiratori della legge italiana in tema di separazione e divorzio. Una norma anacronistica - e con forti profili di incostituzionalità - che non è possibile mantenere in un ordinamento democratico moderno.
Infatti, a fronte del «dramma» che il fallimento di un matrimonio comunque comporta, mentre la separazione e il divorzio tutelano almeno i diritti del coniuge svantaggiato sotto il profilo economico, ciò non accade se interviene una pronuncia di nullità da parte del tribunale ecclesiastico, in quanto, in tali casi, il vincolo matrimoniale (per la Chiesa, indissolubile) non viene sciolto, ma viene considerato nullo fin dall’inizio: di fronte a un matrimonio «non valido» all’origine, non esiste alcun obbligo nei confronti del coniuge economicamente più debole, neanche dopo numerosi anni di vita in comune.
In particolare, le sentenze di nullità del giudice ecclesiastico - dette comunemente di «annullamento» mentre, al contrario, sono dichiarative della nullità del «contratto matrimoniale» - producono effetti ex tunc (ossia, dall’inizio), a differenza delle sentenze civili di divorzio che operano ex nunc (dalla sentenza in poi).
Diretta e intuibile conseguenza è l’immediata cessazione dei vari obblighi, stabiliti nelle condizioni fissate dalla separazione legale, nei confronti del coniuge, fatti salvi evidentemente alcuni diritti maturati in virtù del cosiddetto «matrimonio putativo».
Dunque, non vi è alcun obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento per il coniuge più debole, come previsto invece nella separazione dichiarata dal tribunale civile, proprio perché la sentenza ecclesiastica dichiara il matrimonio «mai esistito»; il che, oltre ad essere, in generale, motivo di un’inammissibile disparità di trattamento, sta assumendo una gravità sempre maggiore anche a causa del fatto che, secondo i dati più recenti, oltre il 98 per cento dei matrimoni contratti con rito canonico, impugnati avanti la «Sacra Rota» - e ai quali, ai sensi dell’articolo 8 della legge 25 marzo 1985, n. 121, sono riconosciuti gli effetti civili - vengono «annullati», con le motivazioni più disparate. Con la conseguenza, come detto, che il coniuge, mentre in caso di separazione potrebbe vantare diritti anche di carattere economico, si vede invece privato anche del diritto al cosiddetto «assegno di mantenimento».
Il comma 2 dell’articolo 8 dell’accordo tra la Repubblica italiana e la Santa Sede, reso esecutivo con la citata legge n. 121 del 1985, prevede espressamente non solo che «Le sentenze di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici, che siano munite del decreto di esecutività del superiore organo ecclesiastico di controllo, sono, su domanda delle parti o di una di esse, dichiarate efficaci nella Repubblica italiana con sentenza della corte d’appello competente», ma anche che «la corte d’appello potrà, nella sentenza intesa a rendere esecutiva una sentenza canonica, statuire provvedimenti provvisori a favore di uno dei due coniugi il cui matrimonio sia stato dichiarato nullo, rimandando le parti al giudice competente per la decisione sulla materia» (lettera c) del comma 2 dell’articolo 8). È dunque oggi possibile una modifica legislativa che elimini tale situazione di inammissibile sfavore nei confronti del coniuge economicamente più debole in caso di annullamento del matrimonio pronunciato dai tribunali ecclesiastici.
Sono questi i motivi per cui si è ritenuto opportuno promuovere la presente proposta di legge tesa a tutelare i diritti previsti dal codice civile derivanti dal vincolo matrimoniale anche in caso di pronuncia di nullità del matrimonio ad opera del tribunale ecclesiastico; non è, infatti, più accettabile che uno dei due coniugi venga abbandonato a se stesso, senza che gli sia riconosciuta alcuna tutela. In direzione dell’auspicato riconoscimento, vanno peraltro numerose sentenze della Corte costituzionale e della Corte di cassazione che ripetutamente hanno sollecitato un’iniziativa del legislatore su tale questione.
PROPOSTA DI LEGGE
Articolo 1
1. La corte d’appello che dichiara efficaci nella Repubblica italiana le sentenze di nullità del matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici, ai sensi del comma 2 dell’articolo 8 della legge 25 marzo 1985, n. 121, decide, con il medesimo provvedimento, su istanza di parte, in merito ai provvedimenti riguardo ai figli, all’assegnazione della casa familiare, ai rapporti patrimoniali tra i coniugi e all’uso del cognome della moglie, di cui agli articoli 155, 155-bis, 155-ter, 155-quater, 155-quinquies, 155-sexies, 156 e 156-bis del codice civile.
2. La corte d’appello, con il medesimo provvedimento di cui al comma 1, decide altresì, su istanza di parte, in merito a quanto previsto dai commi 6, 7 e 8 dell’articolo 5 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni.
3. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’articolo 5, commi 9, 10 e 11, nonché quelle di cui agli articoli 6, 8, 9 e 9-bis della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni.