UN PO’ DI STORIA
ALCUNE SENTENZE DI CONDANNA PER VILIPENDIO
I “REQUISITI” DEL VILIPENDIO
LA TUTELA PENALE DELLE RELIGIONI MINORITARIE
UN REATO FUORI DAL TEMPO
»VILIPENDI» UAAR
UNA MINACCIA CRESCENTE PER LA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE
PERCORSI DI APPROFONDIMENTO
UN PO’ DI STORIA
Il vilipendio fu introdotto nell’ordinamento giudiziario italiano nel 1889 (Codice Penale c.d. «Zanardelli»). Fino ad allora il reato previsto in casi simili era quello di blasfemìa. Questo Codice tutelava l’espressione della libertà religiosa, in forma sia individuale che collettiva, senza discriminazioni tra i culti. L’accusa sussisteva solo laddove vi era volontà di offendere la fede professata dalla persona offesa, e questa presentava querela.
Il Codice Penale del 1930 (c.d. «Codice Rocco»), invece, ripristinò il trattamento preferenziale per la religione cattolica, discriminando gli altri culti. Inoltre, con i suoi articoli non intendeva solo proteggere la manifestazione esteriore della fede, ma anche la fede religiosa per sé medesima, cioè come istituzione: per far scattare il reato bastava il dolo generico, non più l’intenzione di offendere.
Benché redatto nell’era fascista, questo codice è ancora in vigore.
Una sentenza della Corte Costituzionale del 1997 (numero 329) dichiarò l’incostituzionalità dell’articolo 404, in quanto stabiliva pene più severe per chi diffamava la religione cattolica rispetto agli altri culti: la Corte decise che tali pene andavano diminuite alla stessa stregua dell’articolo 406.
Nel 2000, con la sentenza numero 508, la Corte costituzionale depennò anche l’articolo 402, in quanto riportava ancora la formula della «religione di Stato», principio non più in essere in seguito alle modifiche concordatarie del 1985. Così facendo equiparò tutti i culti, per la tutela dei quali restano in vigore gli altri articoli del Codice (numeri 403, 404 e 405).
Con la sentenza numero 327 del luglio 2002 anche l’articolo 405 fu dichiarato incostituzionale, nella parte che prevede pene più gravi per i fatti di turbamento di funzioni religiose del culto cattolico.
Infine, con la sentenza n. 168 dell’aprile 2005, la Corte costituzionale pronunciò una Dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 403, primo e secondo comma, cod. pen., nella parte in cui prevede, per le offese alla religione cattolica mediante vilipendio di chi la professa o di un ministro del culto, la pena della reclusione rispettivamente fino a due anni e da uno a tre anni, anziché la pena diminuita stabilita dall’art. 406 dello stesso codice.
Con la legge 85/2006 la materia ha trovato un’ulteriore sistemazione: furono integralmente sostituiti gli artt. 403 e 404, è stato modificato il 405 ed è stato abrogato il 406.
ALCUNE SENTENZE DI CONDANNA PER VILIPENDIO
Svariate sono state le ragioni che hanno portato, in passato, a essere condannati per vilipendio o turbamento di funzione religiosa. Riportiamo alcuni esempi:
- costringere un sacerdote, mediante contumelie, a interrompere la funzione della benedizione delle case (1939);
- definire la Chiesa cattolica come «un nemico, puntello di tutte le infamie sociali» (1950);
- rivolgere la parola «vigliacchi» ai partecipanti a una processione religiosa (1953);
- dire che «la Chiesa è oramai diventata un mercato nero» e che «l’ostia consacrata era considerarsi fatta con farina» (1953);
- inveire a voce alta contro un sacerdote durante una funzione (1959);
- affiggere un manifesto riportante «le invenzioni della Chiesa cattolica romana, ovvero le aggiunte dell’uomo alla legge di Dio».
- affermare che i dogmi sono un’invenzione dei preti e che la Chiesa cattolica insegna il contrario di quanto voluto da Gesù (1967).
Spesso la giustizia è stata interessata in proposito da esponenti ecclesiastici o privati cittadini cattolici che sollecitavano ad agire nei confronti di autori satirici ritenuti troppo provocatori come le riviste Il Male, Cuore, o il film Il Pap’occhio di Renzo Arbore.
Anche altri film, pur privi di intenti dissacratorî, sono stati oggetto di un processo. Pier Paolo Pasolini, accusato di vilipendio per La ricotta (episodio da lui diretto del film Ro.Go.Pa.G., 1963), dopo essere stato condannato in primo grado a quattro mesi di reclusione fu poi assolto in secondo grado. Il processo agli autori della pellicola Totò che visse due volte, Ciprì e Maresco, si è concluso con la loro assoluzione.
Un nuovo capitolo si aprì nel luglio 2002, con la chiusura e messa sotto sequestro di cinque siti Internet giudicati dalla Guardia di Finanza «altamente offensivi per il sentimento religioso e la religione cattolica». La richiesta di chiusura era stata formulata direttamente dalle colonne del quotidiano vaticano L’Osservatore Romano.
Nel novembre 2006, su iniziativa dell’associazione Meter di don Fortunato Di Noto, fu disposto il sequestro di due forum online dell’associazione ADUC, sui quali i navigatori avevano lasciato commenti fortemente critici dell’atteggiamento tenuto dalla Chiesa cattolica nei confronti dei reati di pedofilia commessi da suoi membri. Nel 2009 la Corte di Cassazione ha confermato tale sequestro, avviato sulla base dell’articolo 403. Nel 2015 la Cassazione ha confermato una condanna ribadendo che non si deve parlare di critica religiosa, ma di vilipendio, quando, «attraverso un giudizio sommario e gratuito, manifesti un atteggiamento di disprezzo verso la religione, disconoscendo all’istituzione e alle sue essenziali componenti (dogmi e riti) le ragioni di valore e di pregio ad essa riconosciute dalla comunità». Nel 2016 ben 64 ragazzi di Piacenza sono stati posti sotto indagine per aver celebrato finti matrimoni, battesimi e messe davanti a una chiesa. Nel 2017 ancora la Cassazione ha condannato alcuni giovani che avevano usato un’immagine di Benedetto XVI quale bersaglio per freccette, ma ha anche mandato assolto lo spettacolo Messiah Game.
Queste iniziative, anche quando non vanno a buon fine, sortiscono comunque l’effetto voluto: chi intende infatti affrontare criticamente il fenomeno religioso tende ad autocensurarsi, nel timore che qualche zelante fedele inneschi una denuncia per vilipendio e qualche altrettanto zelante magistrato la prenda in considerazione.
I “REQUISITI” DEL VILIPENDIO
Non costituisce vilipendio la critica motivata e il fine di discutere.
Si può essere condannati anche senza aver avuto alcuna intenzione di vilipendere: è sufficiente il dolo generico, ovvero basta la volontà di compiere un determinato atto, senza prevederne le conseguenze.
«Sono, invece, vilipendio, la contumelia, lo scherno, l’offesa, per dir così, fine a sé stessa, che costituisce ad un tempo ingiuria al credente (e perciò lesione della sua personalità) e oltraggio ai valori etici di cui si sostanzia ed alimenta il fenomeno religioso, oggettivamente riguardato» (dalla sentenza della Corte Costituzionale numero 188/75).
L’oggetto della denuncia deve essere pubblico: il reato deve avvenire sulla stampa o tramite altro mezzo di propaganda, in luogo pubblico o aperto al pubblico, in presenza di più persone, in una riunione non privata.
La denuncia può essere presentata da chiunque.
LA TUTELA PENALE DELLE RELIGIONI MINORITARIE
Le confessioni religiose diverse dalla cattolica, nei loro rapporti con lo Stato italiano, si sono rivelate molto più laiche della ex «religione di Stato». Tutte hanno ribadito, nelle intese sottoscritte, la richiesta di tutela della propria libertà religiosa (individuale e collettiva) solo attraverso la protezione dei diritti di libertà riconosciuti e garantiti dalla Costituzione.
Fa eccezione, parzialmente, l’Intesa con l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, dove si stipula che viene «assicurata in sede penale la parità di tutela del sentimento religioso e dei diritti di libertà religiosa, senza discriminazione tra i cittadini e i culti». Tuttavia, da questi passaggi si può desumere più la volontà di non essere discriminati, che la volontà di essere tutelati in maniera specifica.
A riprova di quanto affermato, non si ha notizia di cause promosse da o a tutela delle religioni di minoranza.
UN REATO FUORI DAL TEMPO
Al giorno d’oggi i diritti di critica e di libertà di pensiero, sanciti dalla Costituzione, sono ampiamente riconosciuti e garantiscono a chiunque la possibilità di opinare contro qualsiasi tesi. Non solo: nel 1976 anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, chiamata a pronunciarsi sul caso Handyside, ha stabilito che la libertà di parola comprende il diritto di «sconvolgere, turbare e offendere». Che i cristiani si sentano offesi, dunque, non dovrebbe in alcun modo turbare i giudici.
Il fatto che un reato tipicamente di opinione come il vilipendio sia viceversa ancora presente nel nostro ordinamento denota come la Chiesa cattolica non intenda permettere un libero dibattito (una libera critica) nei suoi confronti.
Ecco perché l’abolizione dell’art. 402 ha preoccupato la Chiesa: «la giustizia non coincide sempre con l’uguaglianza. Quale persona di buon senso potrebbe sostenere che un’espressione o un gesto irriguardosi nei confronti di Maometto abbiano lo stesso peso alla Mecca o a Milano e meritino un’eguale sanzione?», ha sostenuto Giuseppe Savagnone su Avvenire del 22 novembre 2000.
Non a caso le denunce di vilipendio si accaniscono contro autori sganciati dalle religioni - e non contro esponenti di altre religioni a loro volta tutelate dalla legge. Il Talmud ebraico, ad esempio, sostiene che la Madonna era legata a un soldato romano, il vero padre di Gesù: nessuno ha mai pensato di vietare in Italia la stampa di questo libro il quale fu, altresì, ripetutamente censurato e mandato al rogo nel mondo cristiano fino all’età moderna.
Si continua a sperare che l’ultima sentenza porti a più miti consigli i cattolici italiani: certo, il reato di vilipendio resta, ma ha perso quel suo vizio di origine legato alla protezione della religione cattolica.
E rimane purtroppo anche l’equiparazione, ai sensi dell’art. 8 comma 2 L. 810/1929, del papa alla persona del re, a sua volta equiparata al presidente della Repubblica, ancora tutelato dall’art. 278 c.p. per quanto riguarda le offese arrecate all’onore o al suo prestigio: mancando precedenti in merito, è incerto se alle offese al papa si applichi ancora l’art. 278 c.p. oppure, quanto meno, le norme sull’ingiuria e sulla diffamazione.
Che la legislazione sia superata lo dimostra il fatto che, nel 2014, anche l’Onu abbia chiesto agli stati membri di abrogare ogni criminalizzazione della blasfemia. L’Italia non ha nemmeno preso in considerazione la richiesta. Risultato. secondo una commissione statunitense, il nostro paese è al settimo posto al mondo quanto a repressione della «blasfemia».
«VILIPENDI» UAAR
Anche all’UAAR è capitato di essere coinvolta in vicende di vilipendio. Se per la vicenda della campagna autobus, conclusasi con diversi divieti alla diffusione della pubblicità «atea», rientra soprattutto in un ambito di censura ‘privata’ di pubblicità scomoda, senza tuttavia che siano mai state invocate le leggi sul vilipendio, il caso di Papozze (RO) è comunque nato in tale frangente. Il referente UAAR di Rovigo, Manlio Padovan, aveva infatti fatto affiggere manifesti che riproducevano lo slogan censurato sugli autobus («La cattiva notizia è che Dio non esiste. Quella buona, è che non ne hai bisogno». Secondo un magistrato queste frasi costituiscono reato di vilipendio, e ha disposto il ritiro dei manifesti «incriminati»: la vicenda giudiziaria si è concluso con il proscioglimento, ma soltanto perché non è stato possibile provare la sua volontà di «offendere la popolazione cattolica».
Sempre nel 2009, a dicembre, il circolo UAAR di Pescara chiese di affiggere manifesti con la scritta «Crocifissi a scuola? No grazie». Il sindaco della città disse no, sostenendo che “il Regolamento comunale per le pubbliche affissioni, all’articolo 35 bis, comma 1, stabilisce che è facoltà dell’Ufficio competente rifiutare l’affissione di materiale pubblicitario il cui contenuto possa integrare ipotesi di reato. A tale proposito si pone l’attenzione sulla possibilità, ovviamente da approfondire nelle opportune sedi, che i contenuti dei manifesti in questione siano tali da configurare un delitto contro le confessioni religiose, di cui al titolo IV del Codice penale”.
UNA MINACCIA CRESCENTE PER LA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE
Se a noi appare un reato fuori dal tempo, in paesi in cui i leader religiosi hanno, negli ultimi anni, conquistato il potere la tentazione di reprimere ogni forma di ciò che è considerato “blasfemia” è sempre più concreta. Il risultato è che gli arresti e le condanne, nei paesi a maggioranza islamica, si susseguono ormai a ritmo sempre più crescente. Ma non si deve pensare che il fenomeno sia limitato al mondo musulmano. Una condanna pesante è stata inflitta al gruppo musicale russo Pussy Riot. Ma arresti per “offesa alla religione” hanno avuto luogo persino in un paese dell’Unione Europea, la Grecia. Inevitabile conseguenza di un’impostazione che mira a proteggere le credenze, piuttosto che le persone. Anche se alcuni paesi (come per esempio l’Islanda) hanno abolito il reato di blasfemia.
Benché la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo difenda esplicitamente la libertà di espressione, l’Organizzazione dei Paesi Islamici sta cercando di ottenere un pronunciamento ufficiale dell’Onu che stronchi ogni critica alla religione. Con l’aiuto di stati potenti quali Russia e Cina, che certo non si segnalano per l’estensione della libertà di espressione di cui dispongono i loro cittadini, è riuscita a far votare diverse risoluzioni anti-blasfemia in sede di Consiglio Onu per i diritti umani.
I rappresentanti italiani non hanno per fortuna votato a favore di questi documenti liberticidi. Occorre però ricordare che i due ultimi ministri degli esteri si sono entrambi segnalati per un’insolita attenzione alle posizioni islamiche più reazionarie: Franco Frattini ha invitato, dalle colonne dell’Osservatore Romano, a creare una sorta di “Santa Alleanza monoteista” in funzione ateofoba; Giulio Terzi ha invece espresso la necessità di “perseguire penalmente chi offende le religioni”, perché “nessuno deve permettersi di dileggiarle o di scherzare su questi valori”.
Come si vede, la libertà di espressione non è affatto un diritto garantito una volta per tutte. Del 2017 è una buona notizia: il Consiglio Onu per i diritti umani ha condannato le legislazioni che criminalizzano la blasfemia. L’italiana è una di queste. Nel 2018 un’altra buona notizia: un referendum svoltosi in Irlanda, con oltre il 70% dei voti, ha cancellato la norma costituzionale che criminalizzava la blasfemia. E l’Irlanda è un paese molto più cattolico dell’Italia…
PERCORSI DI APPROFONDIMENTO
- Blasfemia, Diritti e Libertà. Una discussione dopo le stragi di Parigi, a cura di Alberto Melloni, Francesca Cadeddu e Francesca Meloni (il Mulino, 2016)
- Blasfemo! Le prigioni di Allah, di Waleed Al-Husseini (Nessun Dogma, 2018)
- (EN) Consiglio d’Europa. Risoluzione del 2007 che riconosce che la blasfemia non deve essere considerata un reato.
- L’Eretico. Sito messo sotto sequestro per vilipendio nel giugno 2001 per ordine del pretore di Foggia - procura territoriale di competenza della casa generalizia di [san] padre Pìo (non è un caso) - e sopravvissuto a opera di un anonimo che ne ha salvato le pagine e le ha riproposte tramite un provider estero.
- (EN) IHEU. La battaglia alle Nazioni Unite dell’unione internazionale delle associazioni laiche (di cui fa parte anche l’UAAR) contro la pretesa delle confessioni religiose di non essere soggette a critiche.
- La tutela penale in materia religiosa nella giurisprudenza, di Maria Cristina Ivaldi (Giuffrè, 2004).
- Vilipendio. Manualetto sulle “offese all’autorità” (Stampa Alternativa, 1995).