DISEGNO DI LEGGE
d’iniziativa dei senatori MUSI, SBARBATI, BIANCO, MICHELONI
e LANNUTTI
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 18 GIUGNO 2008
Direttive anticipate di fine vita
Onorevoli Senatori. – Il diritto all’autodeterminazione del malato rappresenta uno dei punti cardine dei diritti della persona riconosciuti dalla nostra Costituzione. Come previsto in particolare dall’articolo 32, ciascuno di noi ha il diritto di essere pienamente informato dei trattamenti a cui dovrebbe essere sottoposto e di accettarli oppure liberamente rifiutarli, anche se da questo rifiuto dovesse essere messa in pericolo la sua salute e, al limite, la sua stessa vita.
È a questa norma costituzionale che si ispira il principio del cosiddetto consenso informato, obbligatoriamente osservato in tutti i nostri centri di cura. Il medico spiega, chiarisce, propone, il paziente ascolta: ma se non è convinto delle proposte prende le sue cose e se ne torna a casa, dopo aver firmato un discarico di responsabilità.
Questa situazione, così civilmente regolata dalle norme della nostra Costituzione, viene però meno nel caso in cui il paziente abbia perso, a seguito di un qualche incidente o del cronicizzarsi di un evento morboso, la capacità di intendere e di volere. In queste condizioni non può essere in grado di esprimere, come sarebbe suo diritto, la sua opinione sulle cure; non può accettarle e non può neppure rifiutarle.
In assenza di previsioni contrarie il medico diventa così l’unico decisore. L’alleanza terapeutica con il malato scompare, l’autorità del sanitario è totale: formula la diagnosi, individua le terapie, le applica, le modifica, le sostituisce. È il dominus di un rapporto asimmetrico.
Questa situazione può essere senz’altro giustificabile nell’ipotesi in cui una persona vittima di un incidente venga trasportata in stato di incoscienza in un pronto soccorso. In questo caso è del tutto normale che il medico, per salvargli la vita, non si preoccupi di investigare se darebbe o no il proprio consenso agli interventi che intende praticare su di lui, visto che non potrebbe comunque farlo.
Ma nel caso in cui, passata l’emergenza, le condizioni del paziente si stabilizzino e lo stato di salute diventi irrecuperabile, la sua incapacità irreversibile, questa situazione non può consentire che il medico attui tutte quelle pratiche sanitarie che ritiene opportune senza preoccuparsi di sapere se per caso, qualora ne avesse avuta la possibilità, non le avrebbe rifiutate.
Ad evitare che il malato incapace perda per sempre la sua soggettività negli ultimi anni molti ordinamenti – in Europa ad esempio la Francia, il Belgio, da ultima la Spagna – hanno legalizzato la pratica delle direttive di fine vita, riconoscendo a tutti la possibilità di esprimere in anticipo il consenso o il dissenso rispetto a determinate pratiche sanitarie. Con direttive di questo tipo stabiliamo in anticipo, come in un testamento, cosa il medico può fare e cosa non può fare del nostro corpo nella malaugurata ipotesi in cui non potessimo esprimere il consenso e il dissenso in modo diretto e consapevole, rendendo così effettivo anche in queste situazioni il principio dell’autodeterminazione delle cure.
Nello schema, ad esempio, di testamento biologico predisposto dall’associazione «Libera uscita», dopo aver richiamato appunto la norma della Costituzione in base alla quale «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge», si prevede che la persona che lo sottoscrive possa dichiarare – qualora divenisse incapace di intendere e di volere in modo permanente e fosse affetta da una malattia allo stadio terminale o da una malattia o lesione cerebrale invalidante e irreversibile – la propria opposizione ad essere sottoposto a interventi chirurgici o trattamenti sanitari se il loro risultato fosse solo il mantenimento di uno stato d’incoscienza permanente o di demenza avanzata irreversibile o il prolungamento del morire.
Egualmente nello schema è prevista la possibilità di dichiarare la propria opposizione, in tali casi, ad essere sottoposti ad interventi comunemente definiti «di sostegno vitale» (quali, ad esempio, l’alimentazione, l’idratazione e la ventilazione artificiale) che se già iniziati debbono essere interrotti, e la richiesta che siano intrapresi tutti i provvedimenti atti ad alleviare le sofferenze del malato, compreso l’uso di farmaci oppiacei, anche se essi dovessero avere come conseguenza l’anticipo della fine della sua vita.
Si tratta di indicazioni che rappresentano nient’altro che una coerente applicazione – come abbiamo già detto – del diritto fondamentale della persona all’accettazione o al rifiuto dei trattamenti sanitari. Ma oltre a questi precetti giuridici, che si basano sul principio di autonomia e sul diritto alla autodeterminazione dell’individuo per quanto riguarda la salute e la qualità della vita, le direttive danno applicazione ad un altro fondamento giuridico e morale: quello dell’inviolabilità della persona umana, da cui deriva il diritto all’integrità fisica e quindi la condanna di ogni invasione del proprio corpo.
Che il diritto all’autodeterminazione possa essere esercitato anticipatamente, in un documento predisposto in vista del caso in cui venga a mancare la possibilità fisica di esprimere consenso e dissenso, è stato riconosciuto anche da una convenzione sottoscritta dallo Stato italiano. La Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano riguardo all’applicazione della biologia e della medicina: convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina, fatta a Oviedo il 4 aprile 1997, resa esecutiva dalla legge 28 marzo 2001, n. 145, ha riaffermato infatti all’articolo 5 che qualsiasi intervento medico effettuato senza il consenso della persona deve ritenersi illecito.
La Chiesa cattolica sin dal 1957 (Papa Pio XII) ha affermato che «non c’è obbligo morale di usare mezzi straordinari nel caso di pazienti sofferenti gravemente o privi di sensi ad allungare la loro vita».
Sull’argomento si sono poi avute numerose pronunce della giurisprudenza tra le quali si può citare la sentenza della corte d’assise di Firenze (n. 13 del 18 ottobre 1990), secondo la quale il rifiuto di trattamento deve essere rispettato, indipendentemente dalle valutazioni dell’operatore sanitario in merito al bene del paziente, perché «nel diritto di ciascuno di disporre lui solo della propria salute e integrità personale rientra anche il diritto di rifiutare le cure mediche; non è il riconoscimento positivo di un diritto al suicidio, ma è la riaffermazione che la salute non è un bene che può essere imposto coattivamente da altri, ma deve fondarsi esclusivamente sulla volontà dell’avente diritto, trattandosi di una scelta che riguarda la qualità della vita e che pertanto solo lui può legittimamente fare».
Da ultimo la stessa Corte di cassazione, nel caso dell’infelice Eluana Englaro, una ragazza in stato vegetativo permanente sottoposta ad alimentazione e idratazione forzata da quasi sedici anni, ha sentenziato che per valutare la possibilità di continuare o interrompere (come chiedono i familiari) tali trattamenti occorre ricercare quale sarebbe stata la volontà della malata, espressa quando era capace o desumibile dalle sue convinzioni personali o dal suo stile di vita.
Lo stesso codice di deontologia medica nell’ultima versione approvata nel 2006, all’articolo 35 prevede espressamente che «In ogni caso, in presenza di documentato rifiuto di persona capace, il medico deve desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona. Il medico deve intervenire, in scienza e coscienza, nei confronti del paziente incapace, nel rispetto della dignità della persona e della qualità della vita, evitando ogni accanimento terapeutico, tenendo conto delle precedenti volontà del paziente».
Da varie parti emerge dunque la necessità di una legge che, attraverso il riconoscimento di precise facoltà e diritti della persona, elimini le incertezze presenti nella materia, dia chiare e univoche indicazioni ai cittadini e agli operatori sanitari, consentendo nel contempo di rendere realmente operative le indicazioni costituzionali.
In particolare, per ovviare alla drastica limitazione del diritto all’autodeterminazione, nel presente disegno di legge – che fa riferimento anche a indicazioni provenienti da associazioni che operano nei campi della bioetica o per il riconoscimento del diritto alla libera scelta da parte dei malati – si prevede il riconoscimento giuridico dello strumento delle «dichiarazioni anticipate di fine vita» con le quali la persona specifica in anticipo i trattamenti sanitari cui vuole o non vuole essere sottoposta. Tali disposizioni, vincolanti per il futuro a meno che non vengano revocate, sono destinate a esplicare la loro validità nel caso in cui la persona perda la sua capacità naturale o, comunque, non sia più in grado di esprimere la sua volontà.
Agli articoli l e 2 del testo che proponiamo viene data una completa ed esauriente disciplina del cosiddetto «consenso informato», ad evitare che venga ridotto, come troppo spesso avviene nella pratica, alla sottoscrizione di un documento prefabbricato presentato frettolosamente dai sanitari, senza alcun impegno da parte loro a fornire informazioni esaurienti e comprensibili circa la natura e il significato dei trattamenti proposti, le loro conseguenze e alternative e senza – soprattutto essersi curati di verificare che alla sottoscrizione corrisponda una effettiva comprensione da parte del paziente delle informazioni.
All’articolo 3 viene dato riconoscimento giuridico alle dichiarazioni anticipate, compilate senza particolari formalità salvo la sottoscrizione da parte di due testimoni fidefacenti e quindi senza l’obbligo della autentica notarile (che rimane comunque facoltativa, come mezzo per dare maggiore formalità al documento). Le anzidette dichiarazioni, che in caso di ricovero ospedaliero devono essere allegate alla cartella clinica del paziente, possono contenere anche la nomina di un fiduciario abilitato a curarne l’osservanza in caso di incapacità del firmatario e possono essere depositate in copia presso l’associazione cui aderisce l’interessato, la quale ha la facoltà di presentarle ai sanitari in caso di impedimento ad esibire l’originale da parte della persona stessa o del fiduciario. Le dichiarazioni anticipate possono ovviamente essere sempre revocate o modificate dal loro autore, con annotazione sulla cartella clinica.
Nel caso, poi, che la persona in stato di incapacità naturale, valutato irreversibile sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, non abbia nominato un fiduciario nelle dichiarazioni formulate ai sensi dell’articolo 3, all’articolo 4 si prevede la possibilità – da parte dell’associazione presso la quale sono state depositate le stesse dichiarazioni ovvero di chiunque sia venuto a conoscenza dello stato di incapacità – di rivolgersi al giudice tutelare per chiederne la nomina.
Con l’articolo 5 si stabilisce l’obbligo, per chiunque presta o rifiuta il consenso ai trattamenti per conto di altri che versi in stato di incapacità, di agire nell’esclusivo e miglior interesse dell’incapace, tenendo conto della volontà espressa da quest’ultimo in precedenza nonché dei valori e delle convinzioni da lui notoriamente espressi.
Negli articoli successivi si prevede la non necessità del consenso al trattamento sanitario della persona incapace in situazioni di urgenza, quando la sua vita sia in pericolo ovvero la sua integrità fisica minacciata a causa di un evento accidentale e imprevedibile (articolo 6); la possibilità di ricorso senza formalità, da parte dei soggetti in conflitto o di chiunque vi abbia interesse, al giudice tutelare – che decide tenuto conto della volontà precedentemente espressa dall’incapace nonché delle convinzioni e dei valori che gli sono notoriamente propri – qualora vi sia divergenza tra le decisioni del fiduciario e le proposte dei medici curanti (articolo 7); l’istituzione di un Registro nazionale delle dichiarazioni anticipate di volontà presso il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, prevedendo anche la possibilità di istituire registri territoriali presso i comuni e le loro circoscrizioni amministrative (articolo 8); l’esclusione delle disposizioni stesse e delle loro copie dall’obbligo di registrazione e la loro esenzione da ogni imposta (articolo 9).
Onorevoli senatori, nella XV legislatura il tema delle direttive di fine vita è stato lungamente dibattuto dalla commissione Sanità del Senato, in sede di esame di numerose proposte presentate da quasi tutti i gruppi parlamentari.
Nel corso dell’ampia discussione, supportata anche dall’audizione di associazioni, personalità che a vario titolo si occupano di questioni bioetiche, medici specialisti, è emersa – salvo eccezioni l’esistenza di un consenso generico attorno all’ipotesi di legalizzare il testamento di fine vita, con distinzioni però estremamente importanti.
L’eccezione a tale consenso – per verità minoritaria in sede parlamentare ma espressa da autorevoli esponenti di confessioni religiose – era (ed è) rappresentata da quanti si oppongono all’idea di legalizzare il testamento di fine vita non perché contrari al testamento in sé stesso ma con il solito ambiguo argomento del piano inclinato («cominciamo con le direttive di fine vita e tra poco ci troveremo all’eutanasia»). Si tratta di un timore, se non strumentale, del tutto infondato anche perché, volendo, i casi in cui può essere espressa la volontà di negare o interrompere le cure possono essere delimitati in modo rigoroso. Ma del resto, nessuno può dire che il medico che dimette un paziente intenzionato a lasciare l’ospedale rifiutando i trattamenti che potrebbero prolungargli la vita pratichi l’eutanasia: semplicemente rispetta la volontà del malato. E se la rispetta quando il paziente è in grado di esprimerla, non si vede perché non dovrebbe farlo quando è stata espressa anticipatamente.
Nel merito, anche da chi sarebbe disponibile a sottoscrivere una legge che legalizzi le direttive di fine vita sono state affacciate, nella discussione svolta in Senato nella XV legislatura, due principali distinzioni. La prima riguarda l’impossibilità di dichiarare nelle direttive l’opposizione ai cosiddetti trattamenti di sostegno vitale quali la ventilazione, l’idratazione e l’alimentazione artificiale. Il motivo è che, non trattandosi – si dice – di terapie, possono essere continuate ad libitum dei sanitari (addirittura sedici anni, abbiamo visto, nel caso di Eluana Englaro) senza che ciò configuri accanimento terapeutico. Anche tale tesi è però priva di fondamento in quanto tutte le associazioni dei medici specialisti della materia sono concordi nel sostenere che tali interventi costituiscono, per la loro natura e per il modo altamente invasivo dell’integrità fisica della persona in cui vengono espletati, degli atti medici veri e propri. Fino a prova contraria, a stabilire ciò che rappresenta un atto medico dovrebbero essere i medici e non i parlamentari o le autorità religiose. Riteniamo quindi che la possibilità di rifiuto di tali trattamenti debba essere necessariamente prevista nelle direttive anticipate.
Una seconda distinzione riguarda l’obbligatorietà o meno di applicare le disposizioni contenute nel testamento biologico. Secondo i rappresentanti di alcune parti politiche rientrerebbe nei pieni poteri del medico decidere, in modo del tutto discrezionale, se dare o non dare applicazione alle direttive anticipate. È evidente che in tal caso si svuoterebbe del tutto il loro significato rendendo un puro optional la volontà del malato.
Riteniamo che tali tesi, qualora dovessero essere riproposte, non dovrebbero trovare accoglienza in quanto renderebbero la legge una vuota esercitazione. Siamo convinti – e tutti i sondaggi recentemente svolti in questa materia lo dimostrano – che il testamento biologico applicato in senso conforme al presente disegno di legge sia ormai accettato dalla coscienza del Paese, sia per motivi di rispetto dei diritti della persona, sia per consentire che venga operato alla luce del sole e in modo conforme alla volontà del malato quello che normalmente viene praticato di nascosto, in ore notturne, secondo i peggiori canoni dell’ipocrisia italiana.
DISEGNO DI LEGGE
Art. 1.
(Diritto all’informazione)
1. Il medico è tenuto a informare il paziente, salvo espresso rifiuto di quest’ultimo, di tutti gli aspetti della sua condizione sanitaria e dei dati sull’evoluzione della patologia. In particolare ha il dovere di informarlo in modo corretto, completo e da lui pienamente comprensibile sulla diagnosi e sulla prognosi della sua malattia, sui vantaggi e i rischi delle procedure diagnostiche e terapeutiche proposte e su ogni possibile alternativa.
2. Il medico fornisce le informazioni di cui al comma 1 osservando tutte le dovute cautele comunicative in relazione alle particolari condizioni fisiche e psichiche di ogni singolo paziente.
Art. 2.
(Diritto al consenso e al dissenso)
1. Ogni persona capace, sulla base delle informazioni ricevute ai sensi dell’articolo 1, ha il diritto di scegliere, autonomamente e liberamente, se accettare o rifiutare i trattamenti sanitari considerati dai medici appropriati alla sua patologia in atto.
Art. 3.
(Direttive anticipate di fine vita)
1. Il consenso e il dissenso possono essere espressi anche in via anticipata in un testamento di fine vita, redatto per il caso in cui il paziente non potesse esprimerli in futuro a causa di una sopravvenuta perdita della capacità naturale, sottoscritto dal paziente stesso con l’assistenza di due testimoni. Il documento – che può contenere anche la nomina di un fiduciario abilitato a curarne l’osservanza – nel caso di ricovero della persona che lo ha formato deve essere allegato alla cartella clinica e il suo contenuto è vincolante per i sanitari.
2. L’eventuale rifiuto, espresso ai sensi del comma 1, deve essere rispettato anche quando riguardi i cosiddetti trattamenti di sostegno vitale quali la ventilazione, l’idratazione e l’alimentazione artificiale e anche se dalla mancata effettuazione dei diversi trattamenti proposti o dalla loro sospensione, se già iniziati, derivi un pericolo per la salute o per la vita del paziente.
3. I sanitari e i responsabili del centro di ricovero che abbiano dato applicazione alle direttive espresse ai sensi del comma 2 sono esenti da ogni responsabilità configurabile ai sensi delle disposizioni civili, penali e amministrative vigenti in materia.
4. Le associazioni depositarie di copia delle dichiarazioni anticipate di volontà dei propri soci possono presentarla ai sanitari in caso di impedimento ad esibire l’originale da parte della persona stessa o del suo fiduciario.
Art. 4.
(Mancata indicazione del fiduciario)
1. Qualora una persona si trovi in stato di incapacità naturale, valutato irreversibile sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, e nelle dichiarazioni formulate ai sensi dell’articolo 3 non abbia nominato un fiduciario, il giudice tutelare, su segnalazione dell’istituto di ricovero e cura, dell’associazione depositaria delle dichiarazioni medesime ovvero di chiunque sia venuto a conoscenza dello stato di incapacità, provvede a tale nomina.
Art. 5.
(Miglior interesse)
1. Colui che presta o rifiuta il consenso ai trattamenti di cui all’articolo 3, per conto di altri che versi in stato di incapacità, è tenuto ad agire nell’esclusivo e miglior interesse dell’incapace, tenendo conto della volontà espressa da quest’ultimo in precedenza, nonché dei valori e delle convinzioni da lui notoriamente espressi.
Art. 6.
(Situazione d’urgenza)
1. Non è richiesto il consenso al trattamento sanitario della persona incapace nel caso in cui la sua vita sia in pericolo ovvero la sua integrità fisica sia minacciata a causa di un evento accidentale e imprevedibile.
Art. 7.
(Divergenze)
1. Nel caso vi sia divergenza tra le decisioni della persona nominata ai sensi dell’articolo 3 ovvero dell’articolo 4 e le proposte dei medici curanti, è possibile il ricorso senza formalità, da parte dei soggetti in conflitto o di chiunque vi abbia interesse, al giudice tutelare, che decide tenuto conto della volontà precedentemente espressa dall’incapace nonché delle convinzioni e dei valori che gli sono notoriamente propri.
Art. 8.
(Registro delle dichiarazioni anticipate
di volontà)
1. È istituito presso il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali il Registro delle dichiarazioni anticipate di volontà, basato su un archivio unico nazionale informatico.
2. Con decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabilite le regole tecniche e le modalità di tenuta e consultazione del registro di cui al comma 1.
3. Nell’attesa della piena operatività delle norme di cui ai commi 1 e 2, i comuni e le circoscrizioni amministrative comunali possono istituire registri per la consegna delle direttive di fine vita dei cittadini da trasferire al Registro nazionale e alle istituzioni sanitarie, su richiesta delle istituzioni stesse o del fiduciario.
Art. 9.
(Trattamento giuridico delle dichiarazioni anticipate di volontà)
1. Le dichiarazioni anticipate di volontà, le loro copie, le formalità, le certificazioni, e qualsiasi altro documento cartaceo od elettronico ad esse connesso o dipendente non sono soggette all’obbligo di registrazione e sono esenti dall’imposta di bollo e da qualunque altro tributo.